LE URNE VERGINI DI MARCO E RANUCCIO
«Italia dove sei?», urla disperato Ranuccio, scrutatore in un seggio elettorale, in una zona decentrata della Capitale, quando viene a sapere che l’affluenza nazionale non raggiunge nemmeno il due per cento. Addirittura le «sue» urne, quelle che sono sotto il suo irreprensibile controllo, sono ancora vergini: neanche un’anima ha varcato la soglia del seggio 4607. Ma per noi, che vediamo la scena dall’esterno, gran parte dell’Italia è lì, davanti ai nostri occhi, rappresentata dai due personaggi tirati fuori dal manuale del migliore umorismo nostrano, descritti mirabilmente da Giacomo Ciarrapico: sono Ranuccio Fava e Marco Fioretti. Il primo appare subito timido e complessato, eccessivamente rigoroso, un burocrate nell’animo, fedele all’impegno preso, severo con il mondo e con se stesso; l’altro è l’esatto contrario, estroverso, irriverente ma simpatico, dal sorriso sfrontato ma mai aggressivo e dall’atteggiamento tipico di chi vive di espedienti al limite della legalità.
La pièce, che al primo impatto fa subito pensare a una denuncia sociale a causa dell’assenteismo dilagante alle ultime votazioni elettorali, invece si concentra sulla sfida caratteriale tra due personalità opposte e tipicamente italiane: il piccolo travet, misero nell’aspetto, monotono nelle abitudini, e anche un po’ patetico, contro lo sfaccendato strafottente costretto a brigare per ottenere guadagni, eppure generoso. Ranuccio, diligente, è convinto che fra poco il seggio si riempirà di elettori ligi al loro dovere di cittadini democratici e ossequiosi del diritto al voto, mentre Marco, più sgamato, già intuisce che il ponte lungo, il «pontone», terrà gli italiani lontani dalla loro residenza, e già rilassati in spiaggia, compresi il presidente e il segretario del seggio che ufficialmente si spacciano per malati. Da qui s’innesterà una serie di piccole scaramucce, polemiche un po’ meschine, che in breve apriranno imprevedibili squarci sulla vita privata dei due «sfigati».
L’autore, quindi, usa il seggio come un ring dal quale non si può fuggire e dove gli antagonisti sono costretti ad affrontarsi a viso aperto, toccando tutte le corde della comicità. Lo scontro, sempre più esilarante, si sviluppa in più round: il buio, al posto del gong, stabilisce la fine di ogni ripresa, e il ritorno della luce dà inizio alla successiva. Situazione e ritmi restano uguali e costanti dal principio alla fine, e seguono un preciso spartito comico della migliore qualità. Man mano che gli argomenti diventano emotivamente più drammatici (per Ranuccio è la separazione dalla moglie, per Marco l’approssimarsi di debiti da saldare) l’intensità del divertimento aumenta.
Carlo De Ruggieri e Luca Amorosino costruiscono i loro personaggi con impeccabile rigore, non travalicando mai il limite di un eccesso che sarebbe alla loro portata, ma che ridurrebbe l’efficacia del copione. Nessuno dei due si disperde mai in inutili sberleffi o in esibizioni di personale simpatia, sicché l’intesa resta concentrata dietro la scrivania, dove per lo più si svolge l’intera vicenda, catturando sempre più l’attenzione del pubblico, che, per i due attori, non esiste neanche per un minimo ammiccamento. Così si recita. Questa è la spiegazione della riuscita di uno spettacolo davvero comico: la serietà degli interpreti. Troppo spesso oggi si confonde il genere comico con l’avanspettacolo di basso ordine! Non si vuol capire che l’ammiccamento al pubblico dalla ribalta è avanspettacolo e non ha nulla a che fare con la comicità.
Foto: Carlo De Ruggieri e Luca Amorosino (© ???)