I GENERALI DI DUNCAN INTERPRETATI DA STANLIO E OLLIO
L’idea di portare la rappresentazione del potere all’interno di un mondo circense ha un suo valore, sia artistico che intellettuale. L’idea, o forse meglio, il desiderio di cercare ispirazioni nelle fantasie del miglior Fellini, ma anche nelle malinconie di Chaplin, è comprensibile, tant’è naturale rivolgersi a quel passato con il quale molti di noi hanno convissuto per decenni. Tuttavia, costruire l’immagine dello spettacolo affidandosi a un’iconografia che rievoca clamorosamente l’espressionismo un po’ grottesco del cinema muto avrebbe dovuto essere il campanello d’allarme. Gianni De Feo, che, prima di essere un bravo attore e un ottimo cantante, è un uomo di teatro verace, un animale da palcoscenico indipendente come pochi ce ne sono in Italia, sembra aver pensato a Macbeth Circus Show partendo da un concetto visivo ben preciso che ha saputo trasferire perfettamente nell’operato di Roberto Rinaldi, il quale s’è ingegnato per trovare, tra scena e costumi, un equilibrio semplice ed efficace per accostare le atmosfere cinematografiche di un tempo alla leggerezza delle favole o addirittura all’impalpabilità dei sogni.
Grazie alle intuizioni giocose di Rinaldi e soprattutto al trucco, con il quale i tre interpreti si camuffano, mostrando maschere che ricordano le espressioni dei pagliacci da circo, si arriva a comprendere bene il baco che ha dato vita a questa contrastante raffigurazione che ha nell’impatto visivo una forza e una chiarezza che la sua parola invece non ha. Ripeto: l’idea di portare la rappresentazione del potere all’interno del mondo circense è interessante, soprattutto se l’intrigo è tratto dall’archetipo inesorabile e poetico, crudele e lungimirante del Macbeth di Shakespeare. Ed ecco che allora quel genere favolistico – che trucco, scene e costumi evocano – diventa una rivisitazione più tradizionale del Rocky Horror Picture Show: che fu opera prettamente musicale, però!
Per un simile progetto, l’essersi affidati alle parole eterne di un classico shakespeariano – benché rielaborato da Paolo Vanacore con tagli, aggiunte e ricami personalizzati – mi ha ricordato una vecchina che tanti anni fa, guardando l’espressione già fin troppo eloquente del suo cane, amava esclamare: «Ah, se avesse la parola!». Eh no, cara signora, se avesse la parola sarebbe un sovraccarico di interferenze: il suo modo di comunicare, in silenzio, con gli occhi, è così intenso e ricco di tali sottigliezze che sono sufficienti gli impercettibili movimenti della testa, delle orecchie, talvolta appena piccole vibrazioni delle labbra o del naso per trasmettere un pensiero, per tradurre un’emozione. Allo stesso modo il trucco con il quale De Feo ha pensato di dipingere i volti dei personaggi è così chiaro e poetico che non ha bisogno di parole; la sua espressione e la sua gestualità e quelle di Eleonora Zacchi e Riccardo de Francesca – ai quali dir semplicemente bravi forse è poco, ché bisognerebbe dir completi per l’eleganza con cui si rivestono di grottesco – la loro espressione e la loro gestualità, dicevo, e la mimica sono così eloquenti e vigorose che la parola diventa un di più, addirittura un eccesso.
Già sento la voce del critico pedante che sottolinea: ma allora come fai a tradurre la vicenda del Macbeth senza uso di parole? Io non lo so e non sono io che devo preoccuparmi di questo, però il signor Stuart Blackton, per esempio, che si è interrogato sul caso, ci riuscito con un film nel 1908. Cinema muto, ovviamente! Comunque non è detto che la parola deve essere totalmente cancellata da quest’operazione, ma sicuramente dosata, anzi centellinata, forse millesimata, perché troppe spiegazioni ubriacano. E la conferma giunge dal fatto che chi conosce la tragedia di Macbeth subito individua in quei due tipi buffi, che strizzano l’occhio a Stanlio e Ollio, i generali dell’esercito di Duncan (Macbeth e Banco); che poi diventano Macbeth e la sua diabolica Lady; e infine, con Miss Witch, arriva pure la strega che però in verità si diletta più in perfidie (come la matrigna di Biancaneve) che in profezie. E chi non conosce la tragedia di Macbeth non si farà mai troppe domande.
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Macbeth Circus Show: la rappresentazione del potere, di Paolo Vanacore (da un’idea di Gianni De Feo). Musiche originali di Alessandro Panatteri. Scene e costumi di Roberto Rinaldi. Con Eleonora Zacchi, Riccardo de Francesca, Gianni De Feo. Regia di Gianni De Feo. Produzioni: Camera musicale romana, Florian metateatro, Centro artistico Il grattacielo. Al Teatro Lo Spazio, ancora sabato (h. 18) e domenica (h. 17)
Foto: Riccardo de Francesca, Gianni De Feo ed Eleonora Zacchi (© ???)