07 dicembre 2024

«Franciscus» di e con Simone Cristicchi

Roma, Teatro Quirino
6 dicembre 2024

SANTITÀ, IERI SERA IL QUIRINO ERA STRACOLMO…

Per una volta giochiamo anche noi a far la finzione, come solitamente accade a qualunque interprete della scena, e fingiamo di scrivere a papa Francesco, non già perché sia il primo pontefice che ha scelto di battezzarsi sul trono di Pietro con il nome del santo d’Assisi, ma perché la messinscena sulla vita del «poverello rivoluzionario» ci riguarda molto da vicino; e lui, il Papa, pastore di un gregge che pare si stia disgregando, ha tutto il diritto di essere informato. Adesso, però, come si comincia una lettera al Papa… va be’, proviamo!

Santità,
ieri sera il teatro Quirino era stracolmo di gente. Il colpo d’occhio lanciato un attimo prima che si spegnessero le luci in sala mi ha sorpreso: non capita spesso di vedere una platea tanto piena e tanto ansiosa per lo spettacolo. Fa piacere per il teatro, fa piacere per Roma, fa piacere per Cristicchi e fa piacere per Franciscus. Sì, perché osservando i visi di alcuni spettatori, ho avuto la netta sensazione che qualcuno fosse lì per mera devozione al santo, per partecipare a un omaggio inconsueto dedicato al patrono d’Italia. Tuttavia, in un passaggio critico in cui si paragonava il passato al presente, l’artista ha voluto sottolineare che le chiese oggi sono vuote, forse perché all’interno di esse manca la gioia, ha detto. Non che i teatri se la passino meglio, Santità: ma Simone Cristicchi l’altra sera ha saputo portare una ventata di gioia davvero intelligente e assai dolce, con qualche canzone (ne ha piena facoltà!), qualche divertente trovata, qualche ragionamento calzante, qualche rimprovero evidente, e (senza esagerare) anche qualche ottimistica speranza.

Ma sul fatto che le chiese sono vuote vuote – Santità, ha ragione Cristicchi – occorre riflettere: forse avremo bisogno di una guida più presente tra di noi, ma non una guida spirituale, piuttosto una guida che ci faccia da esempio e ci dimostri che il denaro non ha quel valore che gli stiamo dando, perché non possiamo ridurre tutto a uno scopo economico. La domenica, quando lei s’affaccia alla finestra, la piazza sottostante, non so se ha presente, solitamente è piena e festosa. Vien da pensare che lei, come Cristicchi, è portatore di gioia: quindi, laddove c’è gioia si forma una comunità, ma dove alberga la tristezza la gente fugge. Anche i ristoranti, benché sempre più cari, sono pieni e allegri. Dunque questi preti, che Lei invia nelle varie parrocchie d’Italia, per quale motivo sono divulgatori di tristezza e di miseria? Miseria della parola! Ne vogliamo parlare, Santità? E perché tengono le chiese sempre chiuse? Anche loro sono stati contagiati dalla «epidemia della solitudine»? E perché lo Spirito santo non è più con loro? Che è successo? Perché l’altra sera, a teatro, gli spettatori al finale applaudivano con calore e avevano gli occhi lucidi e si abbracciavano commossi e felici e quando entrano in chiesa, invece, trovano soltanto freddo e silenzio? Santità, quest’è un problema che va risolto, e non possiamo essere noi del teatro a prenderci questa responsabilità.

Eppure Cristicchi non ha fatto i salti mortali, non ha raccontato barzellette, ma ha illustrato la vita del Santo con la semplicità di un cantastorie e con qualche coloritura di un simpatico personaggio che conosceva bene Francesco: «Mi nombre est Cencio». Un tipo schietto, dalla parlantina veloce e ruspante. Un commerciante di stracci che snocciolava parole in un dialetto arcaico e popolare, un miscuglio di umbro, tosco, latino, spagnolo, francese e provenzale. Un povero benestante rimasto fregato e senza lavoro e finito anche lui nella miseria.

A proposito, Santità, ancora una parola, se mi permette. Cristicchi ha ricordato che san Francesco si è spogliato di tutte le sue ricchezze per mettersi in cammino verso l’umanità, come un «novello pazzo» emulatore di Gesù, vestito della sua sola povertà e della sua parola. L’autore ha fatto anche una profonda considerazione, a suo modo poetica, ma assai pungente: ha detto che «la miseria è la mancanza del necessario, mentre la povertà è la mancanza del superfluo». Io sono d’accordo con Cristicchi; e lei, Santità? Anche lei è d’accordo? Però, c’è un particolare che non mi torna: se io oggi mi spogliassi di tutto il superfluo (che per san Francesco era anche la casa), non potrei mai andare incontro alla gente a parlare liberamente nelle piazze senza essere immediatamente identificato da un vigile comunale che mi multerebbe per occupazione di suolo pubblico, mi chiederebbe documenti, codice fiscale, domicilio e residenza, e tante altre superflue amenità; e non potrei mai raggiungere il mondo islamico per incontrare il sultano di turno, o chi per lui, senza una giacca e una cravatta, senza un passaporto, e senza cellulare. Chi mi prenderebbe sul serio senza cellulare? Dove potrei ricevere l’sms, il pin o la password per poter accedere alla mia piccola porzione di povertà senza scivolare immediatamente nella miseria, nella solitudine e nella paura di essere scoperto povero dalla Agenzia delle Entrate? Sarei costretto a nascondermi in un bosco e parlare agli uccelli: gli unici che mi ascolterebbero, solo loro potrebbero insegnarmi a vivere senza la pec o senza lo speed! Ma la parola – l’arma buona con la quale nel medioevo san Francesco ha conquistato la fiducia in tutta Europa e forse più – che fine farebbe la parola, che è sacra? La dovremo soffocare in un bosco?

Vede, Santità, essere poveri, oggi, così come lo intendeva san Francesco, nel suo concetto rivoluzionario di libertà, è un privilegio che non possiamo permetterci. Cristicchi ci ha dato un’ottima indicazione, è vero, ma anche tanto da pensare: questa vita che conduciamo, o che forse ci conduce essa per mano, offre a qualcuno soltanto la possibilità di spogliarsi… per denaro, Santità. Sì, ha capito bene: per denaro! Anche questo l’ha suggerito Cristicchi per prenderci un po’ in giro, ma io credo che non sia così distante dalla realtà.

Comunque, Santità, se stasera non ha altri impegni, vada al teatro Quirino: detto tra di noi, ne vale la pena. (fn)
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Franciscus, il folle che parlava agli uccelli, scritto, diretto e interpretato da Simone Cristicchi, Testo scritto con Simona Orlando. Canzoni inedite di Simone Cristicchi e Amara. Musiche e sonorizzazioni di Tony Canto. Scenografia, Giacomo Andrico. Luci, Cesare Agoni. Costumi, Rossella Zucchi. Al teatro Quirino, fino a domenica 8 dicembre

Foto: Simone Cristicchi (© ???)

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