27 ottobre 2025

«Idillio. Leopardi e la luna», di Luigi Moretti

«Idillio. Leopardi e la luna», di Luigi Moretti

Roma, Teatro Tordinona
26 ottobre 2025

NEL «CANTO DEL PASTORE ERRANTE», TUTTA LA RABBIA DEL POETA

«Cara Luna, io so che tu puoi parlare e rispondere…» Si tratta dell’incipit del Dialogo della Terra e della Luna che fa parte delle Operette morali, e sul quale si avvolge l’Idillio ideato da Luigi Moretti: un intrattenimento in versi e prosa sulla poetica lunare di Giacomo Leopardi; un’analisi appassionata sul profondo rapporto di studio e amore, di mistero e devozione tra Leopardi e la luna; ma soprattutto, un intimo dialogo costruito con le parole del poeta recanatese, e con quel suo «potere di comunicare – attraverso l’immaginifica luna, scrive Calvino – una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo».

A raccontarci questo incantesimo è l’esile figura di Giacomino, anch’esso un po’ lunare, il quale dice di essere l’ex custode di Palazzo Leopardi: quarantacinque anni trascorsi, in epoca più recente, a controllare l’ingresso del sontuoso edificio. Quasi mezzo secolo dedicato al servizio più semplice tra poesia e letteratura. «Che ne potevo sapere io di poesie e di letteratura! Eppure – confessa l’omino con spiccato accento marchigiano – quando ho cominciato a sfogliare qualcuno di quei libri, mi sono incuriosito e ho letto tutto quel che c’era da leggere». Così Giacomino è diventato, per il palcoscenico, l’alter ego di Giacomo, specializzato sulla luna e sui suoi significati. In effetti, Giacomino, con le dovute precauzioni, ha preso il posto di Calvino che voleva intraprendere una simile lezione, ma poi… «Poi ho deciso che la luna andava lasciata tutta a Leopardi. Perché il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare» (da «Lezioni americane», Leggerezza).

Moretti, attraverso le parole del personaggio che interpreta, entra subito nel rapporto simbiotico tra il poeta e la luna, accostando il dialogo familiare del custode alla contemplazione del cielo, osservando nel riflesso del nostro satellite (in verità, mai lo chiama così, sarebbe una diminutio) il dolore del poeta e la sofferenza di tutta l’umanità. Leopardi usa la luna come uno specchio che vede come un mistero, ma che, invece, conosce perfettamente: già «a quindici anni scrive una storia dell’astronomia di straordinaria erudizione», ricorda ancora Calvino. E prendendo a pretesto le voci lunari, le sospensioni, le leggerezze, Moretti cambiando postura, entra nella voce del poeta e ci mostra la luce della poesia.

Alla luna Leopardi confessa «il rimembrar delle cose passate». Poi Alcante confida a Melisso che «Guardando in alto: ed ecco all’improvviso / Distaccasi la luna». E in un lungo e piacevole pellegrinaggio, passando dalla Luna nel cortile dello Zibaldone s’arriva alla «macchia bruna» della Paralipomeni della Batracomiomachia, fino a quella che «rivela serena ogni montagna» de La sera del dì di festa, al Tramonto della luna che rende «orba la notte». La luna serve al poeta per confrontarsi. Nella luna c’è il riflesso di se stesso e del mondo. La luna diventa la perfetta silenziosa complice. Secondo Giacomino, la luna è il simbolo di quella felicità impossibile da raggiungere. E allora, ecco, inaspettato il grido rabbioso del poeta: «Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai…». Anche Leopardi si ribella alla sua musa, alla sua amica, alla sua amante notturna, rimproverandola di starsene lassù a guardare e di trascorrere la sua vita come quella del pastore senza preoccuparsi delle nostre sofferenze. Il poeta ha preso atto che la luna risponde alla Terra, ma non ai suoi abitanti.

Chiedo perdono se ho dedicato tanto spazio alla poesia, ma è materia infinitamente piacevole. Non mi sono dimenticato che però in palcoscenico diventa anche materiale teatrale, molto delicato, più delicato di quello stesso che si trova nei libri. In teatro la poesia va trattata con estrema delicatezza perché per un attore la luna diventa la platea nella quale si specchia, a cui parla, declama, si confessa. Lo spettacolo è costruito secondo una logica e una sensibilità che in musica viene definita in crescendo. Ottima scelta. Peccato, però, che l’esecutore non abbia avuto l’occasione di ascoltarsi mentre declamava i versi su un sottofondo musicale del quale la poesia ne avrebbe fatto volentieri a meno.

Mi spiego: che bisogno c’è di far scorrere le note di Chopin sotto il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia? Significa che: o non si crede che la musica di Chopin, per quanto dolce che sia, abbia una forza incredibile, o non ci si fida della solidità dei versi di Leopardi. Due colossi artistici, messi uno sull’altro, entrano in collisione emettendo un fragore chiassoso, mentre sia nel musicista, che nel poeta l’intenzione è opposta. Il Romanticismo, se proposto alla seconda potenza, sa essere di una violenza insospettabile: è bene tenerlo a bada! La poesia di Leopardi sa essere indipendente, sa camminare da sola, semmai sono le parole di Giacomino che hanno necessità di un sostegno musicale. Invece, una volta con Satie, una volta con Donizetti, Leopardi s’è ben cullato, ma il pubblico con quale orecchio ascoltava i Canti leopardiani e con quale la Gymnopédie? (fn)
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Idillio. Leopardi e la luna, un intrattenimento in versi e prosa di Luigi Moretti sulla poetica lunare di Giacomo Leopardi. Diretto e interpretato da Luigi Moretti. Scene, Guerrino Andreani. Costumi, Stefania Cempini. Scelta musicale, Mario Salvi. Luci, Ettore Bianco. Al teatro Tordinona 

Foto: Luigi Moretti (© Officina fotografica)

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