16 febbraio 2024

«Buonanotte, mamma» di Marsha Norman

Mariangela D'Abbraccio e Marina Confalone

15 febbraio 2024 (fino al 25/2)

IL DRAMMA MANCATO DI UN SUICIDIO ANNUNCIATO

Il debutto italiano di Buonanotte, mamma fu un evento teatrale che difficilmente gli amanti delle grandi occasioni potranno dimenticare. Era il mese di luglio del 1984 quando Giovanni Arnone, eroico impresario (come soltanto una volta esistevano), per il Festival di Spoleto, organizzò in un’unica giornata due differenti allestimenti del testo di Marsha Norman: uno («‘Night, mother», in versione originale) diretto da Tom Moore, al Caio Melisso, con Anne Pitoniak e Kathy Bates e l’altro al Teatro Nuovo con Lina Volonghi e Giulia Lazzarini per la regia di Carlo Battistoni. Un duplice successo per l’autrice della commedia, da poco vincitrice dell’ambito Pulitzer. I racconti leggendari dell’epoca ricordano che in platea si distribuivano fazzoletti di carta, tante furono le lacrime di commozione versate dagli spettatori. Lacrime che coinvolsero soprattutto la Norman, allora trentacinquenne, la quale per l’occasione si era preparata un discorso ufficiale in italiano, ma l’emozione tra il pubblico, al termine della rappresentazione nostrana, fu talmente coinvolgente che proprio lei preferì esprimersi in inglese approfittando del filtro emotivo di un interprete.

Emozioni, lacrime, fazzoletti, eventi straordinari in quel lontano ’84 – e non era nemmeno uscito ancora il film (1987) con Anne Bancroft e Sissy Spacek, che diede risonanza mondiale al testo – che invece l’altra sera alla Sala Umberto sono mancati. Se al testo si può trovare un difetto, questo si concentra sul personaggio della madre che prendendo atto della volontà suicida della figlia, dovrebbe reagire con fatti più concreti, mossi a salvare Jessie piuttosto che contribuire a distendere un dialogo senza via d’uscita. Critiche già mosse, già dette, e anche ampiamente scritte. Ma la Norman, invece, avendo la possibilità, tramite la scrittura, di teatralizzare un atto estremo vuole indagare proprio sulle menzogne attorno alle quali spesso si costruiscono i rapporti familiari.

Nei primi minuti Jessie maneggia una pistola: la pulisce, ne prova il meccanismo, mostra i proiettili nuovi. Noi tutti – seguendo un’antica lezione di Cechov («Se al primo atto di una commedia si vede un fucile, al terzo sparerà») – sappiamo che quella pistola certamente non sarà portatrice di buone novelle, anche perché il regista Francesco Tavassi introduce il dialogo con l’inquietante immagine del passaggio in scena di un’ombra che fa presagire il dramma. Con questo non si vuol dire che ci sia un’anticipazione – uno spoiler, come si dice oggi – dei fatti che accadranno, ma quando l’arma appare tra le mani di Jessie diventa fin troppo spontaneo leggerne l’associazione.

In locandina i nomi delle due attrici fanno da richiamo. Marina Confalone, nel ruolo di Thelma, e Mariangela D’Abbraccio, come Jessie, avrebbero dovuto esaltare le qualità drammatiche del testo, invece, qualcosa (che cerca di strizzar l’occhio all’umorismo) non ha funzionato. L’abbiamo detto: non è la volontà suicida che deve essere messa sotto la lente d’ingrandimento, ma le cause che provocano il disperato rifugio. Nel dramma, infatti, viene rappresentata una fuga dalla vita e non, come invece appare, la preoccupazione di quel che si lascia. Importante per Jessie è scappare da un’esistenza vanificata dalla menzogna e non prendere le precauzioni per sua madre che rimarrà sola. Importante, ancor di più, per Thelma, è il baratro sulle finzioni del passato che le si è aperto di fronte alla risoluta dichiarazione della figlia.

Per antitesi «Buonanotte, mamma» vuole essere il buongiorno sul mondo della verità viva, o che torni a vivere, e non il buio sulla morte della menzogna: ché non basta. Nell’estremo sacrificio di Jessie si dovrà intendere la speranza di una nuova vita familiare senza bugie, soprattutto senza omissioni: «Hai mai amato papà?» è una domanda che sulla coscienza di Thelma deve pesare come un macigno, perché per tutta la vita lei ha barato con se stessa nei confronti dei figli facendogli credere altro. Quando Thelma confida del rapporto clandestino del marito (di Jessie) con un’amante, è una rivelazione che sconvolge la figlia, anche se in cuor suo lo immaginava, perché in quell’istante conosce un altro sudicio segreto di sua madre: la consapevolezza del tradimento del suo uomo. Queste battute, e altre, sono determinanti per comprendere le ragioni di fuga di Jessie da sua madre e dal mondo. Più il dialogo diventa incalzante, più la ragazza fugge lontano, mentre sua mamma dovrebbe cercare di acciuffarla prima che sia troppo tardi. Il continuo affanno emotivo di cui la trama necessita, nella versione di Tavassi, non c’è: sarà per gli eccessivi tagli al testo (per accorciare i tempi dello spettacolo!) o per la recitazione empaticamente distante in un dialogo estremo tra madre e figlia? Probabilmente l’effetto è dovuto ad entrambe le cause, ma certamente la mancanza più evidente è da imputare alla Confalone, la quale più che disperarsi per l’approssimarsi del suicidio della figlia (che per una madre significa il totale fallimento della propria vita), sembra esaminare, quasi freddamente, i propri sensi di colpa come se intorno a lei null’altro stesse accadendo.

Quest’atteggiamento, che corrisponde quasi a un autoironico esame di coscienza (che il testo appena sfiora), porta l’attenzione del pubblico a concentrarsi su due temi differenti e diversamente protagonisti, mentre protagonista è soltanto una estrema tragedia familiare che si sta consumando nell’infelicità di un mondo che Jessie avverte anche nelle notizie che le giungono dall’esterno attraverso i giornali. L’intero pianeta è devastato dallo stesso peccato, la menzogna. Non c’è altra via di scampo. Allora, la vita diventa soltanto quel che vede di futile intorno a sé: la televisione, l’uncinetto, le vivande in frigo che scadono, la mela caramellata, le vecchie padelle di sua mamma, la pistola del padre, che diventa l’unica soluzione possibile, la sola arma contro tutte le pene che ha sofferto: dalle crisi epilettiche, fino al disastroso matrimonio che l’ha costretta a una non vita. (fn)

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Buonanotte, mamma di Marsha Norman. Con Marina Confalone (Thelma, la mamma), Mariangela D’Abbraccio (Jessie, la figlia). Scena, Alessandro Chiti. Costumi, Maria Rosaria Donadio. Musiche, Davide Cavuti. Luci, Marco Palmieri. Regia, Francesco Tavassi

Foto © Alessandra Trucillo

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