09 febbraio 2024

«Otello» di Shakespeare al femminile

Roma, Teatro Quirino
8 febbraio 2024

LE DONNE DI BARACCO GIOCANO ALLA TRAGEDIA DEL MORO

«Io non sono ciò che sono», dice Iago nella prima scena. La frase potrebbe essere spiegata con «Non sono buono come sembro, non amo il mio generale come potrebbe apparire dal mio atteggiamento». Iago, poi, dichiarerà apertamente che lui odia Otello. Per Andrea Baracco – che ha portato in scena l’originale allestimento di una delle più famose tragedie di William Shakespeare – «Io non sono ciò che sono» è anche un’indicazione registica che ha sollecitato una nuova chiave di lettura del testo. Se il personaggio Iago, infatti, non è quel che è, ossia un uomo, potrebbe essere una donna? Forse sì. E se tutto l’odio creato dall’apparente carezzevole fedeltà dell’alfiere del Moro non fosse in realtà un vero odio, ma soltanto un gioco teatrale, questo gioco come si potrebbe renderlo chiaro ed evidente?

Baracco probabilmente ha pensato che se Iago e tutti gli interpreti fossero voltati al femminile il gioco del teatro, anche se si tratta della più spietata tragedia della gelosia, rivelerebbe la sua finzione. Soltanto così saprei io individuare le novità portate in scena e dar loro una spiegazione. A iniziare dal prologo che una superba Federica Fracassi comincia ad arringare sotto la ribalta, giù in platea, calandosi cautamente nel personaggio protagonista del male; alla scenografia «improvvisata» (di Marta Crisoli Malatesta) che non ha nulla di veneziano (anche se poi si dice che siamo a Venezia e che, in Laguna, il Moro dovrà rientrare); ai costumi di ogni epoca che sfoderano accessori tipici (dalla gorgiera cinquecentesca alle simboliche decolleté rosse di oggi); fino a un giocoso trapezio circense che apre il secondo atto. Sono tutti elementi che fanno pensare a un’improvvisata recita dell’Otello realizzata da un gruppo di giovanissime ragazze. Brave, però, anzi bravissime nella loro artificiosa impreparazione.

Devo ammettere che sono stati soprattutto i costumi (ideati da Graziella Pepe) che mi hanno spinto verso questa riflessione sulla possibilità di rendere la tragedia della gelosia un gioco: come a volerla sfatare per cercare di denigrare quel sentimento che troppo spesso porta, ancora oggi, molti uomini alla follia più cieca. Non a caso le ragazze, tutte, dedicano un coro a questa disumana follia: Stay away from me, stai lontano da me. Anche la violenza è screditata: i colpi d’arma bianca non sono inferti con le lame delle spade, ma con i fazzoletti neri di seta, che sui corpi di Cassio e di Roderigo diventano appena un soffio.

Il principio di uguaglianza di genere è rispettato anche per la razza: tutte italiane e bianche, le attrici, compreso il Moro. Una caratteristica dei nostri tempi, che se da una parte protegge le disparità (le cosiddette minoranze) dall’altra toglie forza a qualche battuta: per esempio, quando Otello dà della puttana a Desdemona. Ma capisco che, in un contesto correct come questo, si faccia uno sforzo per esaltare il significato della parola al netto di chi la pronunci. Non la parola di un uomo, non quella di una donna; ergo, non quella di un bianco, né quella di un nero; ma la limpida parola, così com’è.

Tutte le idee di Baracco sono certamente valide in teoria, addirittura encomiabili per la raffinatezza degli intenti con cui cerca simbolicamente di affiancare la lotta al femminicidio: le scarpe rosse, s’è detto, non mancano in scena; così come i momenti di svago in cui tutti cominciano a bere come se si stesse in pausa amicale; ma soprattutto ogni dubbio è chiarito dal finale esplicativo quando, consumata la tragedia, ma ancora non terminata la rappresentazione, le attrici – quelle «morte» uccise – si alzano scambiandosi sorrisi, aiutandosi tra di loro, mentre le luci diventano sempre più limpide. Una sorta di faticoso, angoscioso happy end. In fondo, era solo un gioco, ci vuole dire il regista.

Tuttavia il teatro non è fatto solo di idee che inondano la platea dal palcoscenico. Non è soltanto un fiume che riversa a valle l’acqua della sua fonte prelibata. Esiste anche la curiosità del pubblico che risale la corrente in senso opposto per trovare soddisfazione. Soltanto se la comprensione è appagata l’idea è indiscutibilmente meritevole. A tal proposito va detto, con cautela, che soprattutto nel primo tempo, quando in scena si alternano molti personaggi (tutte donne) e gli spettatori, ancora stupiti dalla sorpresa, cercano di capire chi sia l’una e chi l’altra, quella con le spalle larghe è donna Otello, l’altra piccolina con la voce grossa è donna Desdemona, quell’altra ancora è la comare Cassio, e quella bellissima androgina che scivola muta tra la folla potrebbe essere un serpente in fuxia (l’animo di Iago), poi c’è la rossa che prima era il rosso, l’altra che pure s’era già intravista, insomma in questo confuso gineceo, si fa una gran fatica a discernere le fanciulle vere da quelle finte. Altro che gioco, qui diventa un continuo indovinello! Difficile perfino rintracciare il protagonista, che poteva essere facilmente individuato se almeno avesse avuto la pelle nera (come da copione)! Macché: a rimescolare il minestrone ci si sono messi anche i microfoni – ad altissimo volume – che unificavano le numerose sorgenti delle voci.

Diversamente, nel secondo tempo – quando il dramma si concentra sui quattro personaggi principali (Otello, Iago, Desdemona e Cassio) – il povero spettatore, già messo a dura prova, può finalmente godere del piacere di uno spettacolo di ottima fattura: dalla traduzione (molto aggiornata) di Letizia Russo, al generoso cimento di tutte le ragazze impegnate in un Otello originale, difficile, ma nel complesso di ottimo livello. (fn)
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Otello di William Shakespeare; traduzione e drammaturgia di Letizia Russo. Con Valentina Acca (Roderigo), Flaminia Cuzzoli (Cassio), Francesca Farcomeni (Brabanzio/Emilia), Federica Fracassi (Iago), Federica Fresco (Il doge/Bianca), Ilaria Genatiempo (Otello), Viola Marietti (Montano), Cristiana Tamparuolo (Desdemona). Scene, Marta Crisoli Malatesta. Costumi, Gabriella Pepe. Luci, Simone De Angelis. Musiche, Giacomo Vezzani. Regia, Andrea Baracco. Produzione, Teatro Stabile dell’Umbria, con il contributo speciale della Fondazione Brunello e Federica Cucinelli

Foto © Gianluca Pantaleo

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