Roma,
Teatro Ugo Betti
3
febbraio 2024
«IL MIRANDOLINA» DI LUCA GUERINI PORTA I PANTALONI (SBRINDELLATI)
La
più famosa opera di Carlo Goldoni, nel corso di circa tre secoli (è del 1753),
è stata adattata, riadattata, rinnovata, rivoluzionata, violentata, e forse
qualcuno ha avuto anche l’impudenza di maltrattarla. Fu sempre lui, il solito
Luchino Visconti, nel 1952 a togliere definitivamente alla Locandiera
quella patina di manierismo ottocentesco dove s’era incrostata per duecento
anni. Ispiratosi ai colori piatti, senza ombre, di Morandi, con un colpo di
spugna cancellò i ridicoli salottini dorati e le pulciose parrucche stoppose,
regalando moderna dignità all’antica nobiltà e rendendo marchesi, conti e
camerieri uomini egualmente e democraticamente eleganti, privi di ogni finzione
ridicola e mossettine inverosimili alle quali era difficile credere. Dopo di
lui anche Strehler seguì la stessa direzione mettendo in scena la Trilogia
della Villeggiatura.
Da
allora non si è mai più tornati indietro. Ogni rappresentazione goldoniana ha
sempre mantenuto un’impronta stilistica che affonda le radici nel Novecento.
Verso la fine dei pericolosi anni Sessanta alcune sperimentazioni furono fatte
anche a danno di Mirandolina, di Don Marzio, di Lunardo e altri protagonisti
dell’opera del maggior commediografo italiano.
Probabilmente
anche quest’ennesimo adattamento della Locandiera di Luca Guerini
andrebbe interpretato come una sperimentazione. Perfino il titolo è stato
modificato prendendo i nomi dei quattro personaggi sopravvissuti alla stesura
del nuovo copione: Il «Mirandolina», il Cavaliere, il Marchese, Il
Conte. Dall’articolo maschile già si dovrebbe intuire la trasformazione: la
locandiera non è più una donna, ma un uomo (Alessandro Fuligna), il
luogo dove si svolge la vicenda non è più una locanda, ma un centro estetico
dove si incontrano un marchese (Vincenzo Filice), un conte (Marco
Berti) e un cavaliere (Gabriele Bagnoli).
Luca
Guerini, a cui non manca nulla della persona perbene (ci tengo a
sottolinearlo), trova anche l’accortezza di far scrivere sul manifesto che «lo
spettacolo contiene scene di nudo integrale non volgare». Siamo abituati ormai
a ogni stranezza in scena, e il nudo integrale è diventato (purtroppo) quasi
una normalità. Anche i personaggi femminili interpretati da uomini (e
viceversa) sono all’ordine del giorno: proprio l’altra sera un ragazzo di nome
Claudio sul palco era diventato Pupa, la settimana prossima Otello sarà donna,
insomma, ormai è talmente tanta l’abitudine allo scambio dei generi, che quando
mi guardo allo specchio resto tra il sospettoso e il sorpreso!
Non
è più il nudo integrale ad attirare l’attenzione, e non è nemmeno Mirandolina
con i pantaloni. È piuttosto il tipo di pantaloni che segna la matrice di
questo spettacolo, che resta un’idea non sviluppata, perché affatto adornata. La
Locandiera, così come la scrisse Goldoni, è una commedia in cui si parla
solo di danaro, di interessi, e quasi mai si accenna alle autentiche affettuose
debolezze umane. Ella stessa finge sensualità senza mai portare avanti il
sopravvento dei sensi. Il gioco della seduzione c’è, ma è finto più che mai.
Mirandolina adopera l’arma della femminilità non per accalappiare l’uomo
sentimentalmente o sessualmente, ma per imporsi su di lui. È solo un intrigo di
potere che lei esercita nella sua locanda. Ecco perché in questa commedia abiti
e costumi sono fondamentali: non per stabilire se la protagonista sia uomo o
donna, ma per mostrare che il Marchese è un nobile decaduto e il Conte è un
arricchito; il Marchese ha un pantalone rattoppato e liso mentre il secondo ha
un vestito impeccabile. Portando sulla scena personaggi in mutande, o anche
senza, significa volergli togliere l’identità e ogni traccia del loro passato.
Idem per il cavaliere.
Un
discorso diverso merita il Mirandolina: come si può corteggiare un ragazzo che,
proprio per come è vestito, non ha nulla di affascinante? Mirandolina, versione
originale, non è bella, ma ha fascino da vendere. Qui invece lo vediamo in
T-shirt bianca, slabbrata e impataccata, pantaloni della tuta grigi
sbrindellati e sciatti, scarpe da ginnastica sudice, capelli disordinati: un
personaggio deve essere curato nei minimi dettagli per rendere credibile il suo
valore. E il Mirandolina, così come si presenta al pubblico, non è un
personaggio, ma un qualunque giovane che s’incontra per via, alla fermata
dell’autobus mentre torna a casa dalla partita di calcetto.
Se
il regista ha pensato a un centro per massaggi, soprattutto colui che gestisce
deve avere un abbigliamento impeccabile e appetibile, altrimenti non stuzzica
alcuna fantasia. E a teatro si crede soltanto con la fantasia. Diciamoci la
verità, caro Guerini: una donna non si sarebbe mai vestita così male per
giocare a sedurre.
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Il
«Mirandolina»,
il Cavaliere, il Marchese, Il Conte (dalla Locandiera di Carlo Goldoni),
adattamento originale e regia di Luca Guerini. Con Alessandro Fuligna, Vincenzo
Filice, Marco Berti, Gabriele Bagnoli
Foto
© Luca Guerini
Pubblicato anche su Quarta Parete il 4/2/24