10 febbraio 2024

«L’ammazzo col gas» di Roberto D’Alessandro

Roma, Teatro degli Audaci
9 febbraio 2024

SI PUÒ UCCIDERE LA MOGLIE IN SCENA?

Non so se Roberto D’Alessandro si sia reso conto che il suo sfizioso tentativo di asfissiare col gas una moglie, o tante mogli, sia riuscito, in parte, a resuscitare quel genere di teatro che da molti anni, a Roma, era sparito, morto, sotterrato da tanta brutta televisione che anni fa ne aveva usurpato l’impronta, il copyright, per poi ridurlo a semplice esibizione di barzellette. Stiamo parlando del cabaret: quel tipo di spettacolo che – grazie alla partecipazione del pubblico – unisce il divertimento con la cronaca avversa al buoncostume e con quelle calamità quotidiane con le quali ciascuno di noi è costretto a convivere.

Una parentesi storica. Nei pressi di via Merulana, negli anni in cui il sottoscritto, all’epoca poco più che adolescente, già frequentava teatri e teatrini della capitale, esisteva un delizioso salottino denominato La Chanson (qualcuno lo ricorderà) di tal Marcello Casco, luogo dove si esibivano molti comici, soprattutto partenopei che arrivavano a Termini, col rapido, anche pochi minuti prima di andare in scena. Tra questi ricordo Lucia Cassini, un giovanissimo Dodo Gagliarde, e poi Gastone Pescucci (che era di casa), I rottambuli (futuri Trettré) quando nel trio c’era Peppe Vessicchio. Ma La Chanson – lo rammenteranno in pochi – fu il palcoscenico che battezzò a Roma un altro Trio, I Saraceni. Furono chiamati (anzi, si proposero loro a Casco) per una improvvisa sostituzione e rimasero in scena ininterrottamente per circa tre mesi. Fu un successo clamoroso. Era il 1978, nessuno li conosceva, ma loro si chiamavano Massimo Troisi, Lello Arena ed Enzo Decaro. E facevano cabaret. Li vidi per la prima volta davanti a venti/venticinque spettatori (tanti ne conteneva quel salotto ovattato dal velluto), qualche tempo dopo tornai ad ammirarli in un gremito Giulio Cesare che poteva contare di un parterre con più di mille poltrone. Erano finalmente diventati La Smorfia.

Qualcuno giustamente si chiederà cosa c’entri questo salto mortale all’indietro di quasi mezzo secolo, con lo spettacolo visto al Teatro degli Audaci che è ben più grande della Chanson e che si trova in una zona di Roma non proprio centralissima. Il primo motivo è la sensazione che emana il calore protettivo del velluto che circonda la sala (qui è rosso, lì era blu), poi lo scorrere incerto del sipario che l’attrice ha poi dovuto sistemare durante la rappresentazione, il palcoscenico basso (anche se ampio) e soprattutto l’attore napoletano che si presenta al pubblico e lo intrattiene con quelle battute consolidate e da sempre familiari. Gianni Ferreri – benché abbia avuto un trascorso televisivo – trasmette subito l’afflato della simpatia e con poche parole accende una lucina su quel cabaret che oggi s’è spento: s’intrattiene in proscenio a scherzare con gli spettatori. «Voi siete i Sanremo-resistenti», esordisce ammirando una platea non completamente piena, prima di cominciare a «vivisezionare» gli uomini dalle donne, gli sposati dai single, per poi presentare la sua partner, Danila Stalteri, appunto, la moglie in tutte le sue sfaccettature.

La coppia dà vita a sette scenette matrimoniali, implacabili, gustose, condite con sarcasmo, acume e leggerezza, anche se si avvitano attorno a qualche luogo comune (che però viene puntualmente sottolineato). D’altronde l’arte della convivenza da secoli è quasi immutata. Le fissazioni dell’uno e le insofferenze dell’altra resistono sin dai tempi di Mosè e di Sefora. C’è la moglie coccolosa eccessivamente premurosa, l’insicura, quella gestante che approfitta della condizione per non muovere un dito, la moglie antisuocera (ruolo in cui la Stalteri offre il meglio del suo repertorio), e la racchia-ricca; così come c’è il marito sessuomane (un classico), e quello che si crede vittima della muliebre gelosia.

Gli interpreti con disinvoltura si muovono tra un divano e un tavolo per punzecchiarsi vicendevolmente più che accarezzarsi, per provocarsi più che comprendersi. I temi della discordia sono i soliti: le mamme, i figli, il mangiare, l’amante, la tavoletta del water sporca, il sesso e il rubinetto del gas. Sembrerebbe in tutto e per tutto un antico revival, ma Roberto D’Alessandro introduce la sirena che suona quando viene lesa la morale controllata dal politically correct che diventa più insopportabile di qualunque suocera, di qualunque moglie e di qualunque marito.

Dunque, la domanda è semplice: è ancora ammissibile ammazzare una moglie? I tempi certamente lo sconsigliano, finanche di poterlo pensare, ma Ferreri e Stalteri ci suggeriscono che, a teatro, con simpatia e buonumore, ancora si può. (fn)
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L’ammazzo col gas, drammaturgia e regia di Roberto D’Alessandro. Con Gianni Ferreri e Danila Stalteri. Scene, Cri.Escions. Costumi, Eleonora Tondo. Luci e Fonica, Christian Martorana

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