La bambola di Giada, Ossia L’Ovvia naturalezza della follia
Elegante senza esagerare, misurata nelle confidenze, delicata nelle osservazioni: così si presenta Anna, donna senza troppe pretese, ma con una serie di paranoie nascoste, derivate da rapporti familiari dove è cresciuta in quel di Orvieto. Ora s’è trasferita nel capoluogo pontino e vive in una casetta che divide con la signora Rosa che la tartassa con manie da insopportabile precisina. In ufficio fa amicizia con il ragionier Tonino Scarpa: tra i due nasce un’intesa che in breve tempo si trasforma in un rapporto sentimentale che porterà Anna ad andare a convivere con l’uomo.
La buona riuscita della messa in scena, oltre all’esperienza della Prandi, è dovuta alla intelligente regia di Renato Chiocca che ha ideato una semplice gabbia stilizzata dove sono rinchiuse tutte le fobie e le ossessioni di Anna, a cominciare dal suo desiderio d’essere bambola, una velleità della quale sembra aver paura. Anche il rispetto che, suo malgrado, mantiene nei confronti della signora Rosa, si ripercuotono sulle sue fragilità. Anna non esce mai fuori dalla gabbia, nella quale trova sia protezione che angoscia: l’educazione glielo impone. È il male delle persone perbene, lo stesso che all’improvviso esplode per un nonnulla e le fa apparire iraconde e ingiuste.
Ciò accade quando, messo fuori finalmente il piede dalla gabbia, conosce meglio Tonino e in lui trova un sostegno. Scapolo e tranquillo, vive in un appartamento di dodici stanze, con un’anziana cameriera. Il colpo di fulmine arriva appena l’occhio di Anna ammira un rubino incastonato in un anello al dito di cui nota perfino la perfezione dell’unghia. La leggerezza della libertà la rende euforica, ma la convivenza con il nuovo compagno costringe Anna a sentirsi chiusa nuovamente in gabbia, malgrado scopra di non essere più una bambola, ma un’affascinante donna in sottoveste.
C’è ancora un’occasione (raffinata, per di più) in cui riesce a riemergere dalla claustrofobia delle sue ansie, ed è quando, sfilandosi le mutandine, percepisce di avere – con quel gesto suadente – catturato l’uomo in pugno e di poter ottenere da lui la soluzione momentanea alla sua galoppante paranoia che accompagna l’attrice in un crescendo recitativo fino all’inatteso folle epilogo.
Foto © Umbi Meschini