PEDRO, ¿DÓNDE ESTÁS?
So bene che la verità il più delle volte non è carezzevole, ma occorre dirla; e continuerò a dirla, anche se a malincuore, altrimenti si rischia di diventare come quei tanti critici da social che osannano o disprezzano per partito preso senza argomentare il loro parere, giudicando soltanto quel che si vede, senza capire quel che c’è dietro. Quindi, piuttosto che commentare a fondo il «testo esilarante a firma di Emilio Carballido, autore messicano famoso in tutto il mondo e presentato per la prima volta in Italia» (come recita la nota di presentazione), mi attengo alla descrizione di quel che è accaduto durante la recita, affinché si comprenda meglio che per andare in scena occorre una squadra compatta e affiatata. Pensare di recitare un ruolo mentre si costruisce una regia, badare alle luci mentre si ipotizza un cambio di scena è un impegno rischiosissimo che inevitabilmente porta a inciampare nella più impensabile sciocchezza che si materializza per incanto, come per magia.
Nella prima scena due donne sedute fumano una sigaretta in un luogo che – lo si capisce in seguito – è la sala d’attesa del parlatorio di un carcere. La regia sceglie di dichiarare la finzione: per cui le sigarette, in realtà, restano spente anche se portate alle labbra e aspirate gustosamente. Tuttavia, nella sala non essendoci un posacenere, Gabriella decide di raccogliere la cenere (che non esiste) in un fazzoletto di carta che Marlene prontamente tira fuori dalla borsa. Al termine della fumata, le sigarette vengono richiuse (praticamente integre) nella carta; e, per farle sparire, Marlene le infila nella sua borsetta. Altra scena: qualche tempo dopo. Le donne – che hanno scoperto di essere una la moglie e l’altra l’amante dello stesso uomo che si trova in carcere e, nel frattempo, sono diventate amiche – si ritrovano a casa di Gabriella. Marlene apre la borsetta e porge un fazzoletto di carta all’altra che ne ha bisogno. Il fazzoletto si apre e – come per magia – le sigarette cascano, ancora integre, sul tavolo davanti agli occhi sbalorditi di Gabriella.
L’episodio rientra tra quegli inconvenienti spiacevolissimi che in teatro, non devono, ma possono accadere. Nessuno ne è esente. E chi scaglia la prima pietra è un bugiardo. Occorre però riflettere che anni fa esisteva la figura dell’attrezzista, l’antico trovarobe, che si occupava dell’integrità degli oggetti di scena e della loro funzione. Oggi non so se esistono ancora compagnie che si possono permettere di scritturare un attrezzista. Sono certo, però, che la compagnia di Barbara Alesse e di Ernesta Argira non abbia neanche una terza persona che le sostenga durante la recita. E ciò è male, molto male. Così il teatro non si fa. Un attore che sta in scena, concentrato in un’altra personalità che deve proteggere dalle mille insidie, da un vuoto di memoria, da uno sberleffo inatteso da parte del pubblico, dalla distrazione di un applauso, dal bottone della gonna che si scuce all’improvviso, deve sapere che dietro le quinte c’è qualcuno pronto a proteggere lui. Costui deve essere una persona che conosce l’andamento dello spettacolo, i cambi di scena, l’ordine d’entrata dell’attrezzeria, che abbia la prontezza di porgere all’occorrenza un bicchier d’acqua, perché gli attori quando recitano non sono immuni da un attacco di tosse.
Foto: Barbara Alesse (© ???)