05 dicembre 2025

«Misura per misura» di Shakespeare (regia, G. Bisordi)

Roma, Teatro India
2 dicembre 2025

GOCCIA DOPO GOCCIA IL VASO DELLA CONFUSIONE TRABOCCA

Quando si ha la pretesa di voler migliorare il Bardo si rischia di combinar pasticci. Qualcuno, in soccorso dello spettacolo, tenterà una difesa: «Non si voleva migliorare, ma aggiornare». Peggio mi sento! Nel tentativo di attualizzare il testo, la regia s’è arenata nella polvere più stantia: quella che s’annida nella confusione. Malgrado qualche apparenza vetusta, Shakespeare resta nostro contemporaneo e comunque lo si usi ne esce sempre vincitore: per argomenti, per poesia e per linguaggio. Se lo si manomette in maniera imperfetta si rischia di rimanere schiacciati dal peso drammatico dei suoi protagonisti e tutto il soperchio della regia diventa vecchio e obsoleto. In Misura per misura si parla, prima ancora che di prostituzione, che di leggi troppo severe, che di minacce e di perdoni, si parla di debolezza umana: anche l’uomo più rigido e austero crolla di fronte alla tentazione della lussuria; solo chi ha fede resiste.

Avvicinandosi al testo ci si trova tra le mani un delicatissimo marchingegno scenico che oscilla in continuazione tra sacro e profano. Giacomo Bisordi, che cura la regia, commette l’errore di valutare le due opposte categorie con due misure differenti. Pigia il pedale sull’esibizione del profano, per dimostrare quanto male ci sia nel mondo in generale e quanto male prolifichi intorno al corpo e all’onore della donna. Anche Isabella è arrabbiata per questo, mentre invece dovrebbe essere al di sopra di ogni tentazione: Vanda Colecchia si cala nelle vesti della novizia con un’intenzione troppo attuale, da donna che cerca riscatto, facendo così dimenticare la sua incrollabile devozione divina; con quel piglio sofisticato, con quella rabbia tipica femminista, come fa a chiedere di condannare la colpa ma di assolvere il colpevole? Non è credibile! Isabella dovrebbe essere la più misurata di tutti.

All’allestimento della commedia shakespeariana che si svolge in palcoscenico si alterna, sul fondo, il video del racconto, in prima persona, di una ragazza dell’est che si prostituisce a Roma (nel testo è evidenziato il dilagare della prostituzione a Vienna) e si propone come regista del progetto teatrale. Mah! Sono proprio quei filmati che diventano la parte più vecchia e obsoleta dell’operazione. Lo squallore provocato dall’inquadratura realistica di un preservativo usato lasciato sul comodino, o la registrazione di un breve dialogo tra puttana e cliente (lui saluta impacciato, tira fuori i soldi e lei che gli indica il bagno invitandolo a farsi la doccia prima dell’amplesso) non potranno mai trovare un equilibrio corrispondente al linguaggio di Shakespeare, che ogni goffaggine spazza via con un soffio. Tutto crolla fuorché gli attori.

La commedia originale non vive di solo profano: forse Bisordi se ne accorge e corregge il tiro, mostrandoci all’improvviso immagini del Vaticano con il funerale di papa Francesco. Sarebbe questo il sacro? E se non lo è (e per me non lo è) cosa dovrebbero rappresentare le onoranze funebri del Pontefice sovrapposte alla vicenda che si consuma in scena? Mentre la contrattazione immorale tra Angelo e Isabella continua, mentre il duca si traveste da frate in visita alle prigioni (le cui celle sono diventate gabinetti chimici come quelli che vediamo nei cantieri edili) di tanto in tanto, la voce della prostituta romena torna a farsi sentire senza intonazioni adeguate e quindi senza lasciare alcun segno, se non fastidio, come il ronzio di una mosca disturbatrice. Ci si accorge di lei soltanto quando passa davanti allo scheletro del Globe di Villa Borghese, oppure quando entra in Santa Maria della Vittoria al Quirinale per ammirare l’Estasi di Santa Teresa del Bernini. Finalmente una significativa immagine sacra!

Tralasciando i filmati alla loro inutilità, in scena la commedia prende quota grazie soprattutto alla recitazione incisiva di Arne De Tremerie, nel ruolo del perfido Angelo, che mescola il duro fiammingo (sua lingua nativa) alla dolcezza dell’italiano e all’inglese: un miscuglio che lo rende nocivo finanche nella parola, una ricercatezza che l’attore sa sfruttare al meglio. La traduzione istantanea è visibile sul fondale, ma il regista, chissà perché, opta per i microfoni ad archetto. Mi chiedo: se dobbiamo leggere la maggior parte delle battute sul fondale a cosa servono i microfoni? Una risposta l’avrei: all’ingresso un cartello avverte che ci saranno «scene di nudo», quindi i microfoni servono a rendere ridicoli quei nudi che sono nudi di personaggi degli albori del Seicento, però, con cinturone di servizio e antennina che spunta dalle chiappe! Quando, i registi moderni, capiranno che anche il nudo è un costume di scena, e il più delicato, che esige rispetto, misura e armonia?

Infatti, ho un’altra domanda, alla quale, però, risposta non trovo: quei nudi, erano davvero necessari? A parte una piccola gag comica tra il frate e il pisellino di un carcerato non ho trovato altre ragioni che giustificassero il costume adamitico esposto, se non un riferimento dantesco che vuole i condannati ignudi. A questo proposito sento di dover elogiare anche la performance di Francesco Russo ben calato sia nei ruoli comici che in quello drammatico di Lucio. La sua verve è trascinante e ironica sempre. Anche quando si trova di fronte al regista che costruisce una scena all’impronta e chiede un microfono. Un secondo microfono. Non gliene bastava uno: come se il potere in teatro si misurasse a microfoni!

Il finale, poi, che concentra quarto e quinto atto, è un riassunto in formato Bignami, a cui nessuno crede. Seduti a un tavolo, tirano le somme distribuendo giustizia senza convinzione. Sono personaggi privi di peccato e lontani dalla virtù che hanno dismesso i loro intenti, hanno perso le loro attrattive. E Isabella, che in questo confuso allestimento non viene chiesta in moglie dal duca, come goccia che fa traboccare il vaso, termina ballando quasi indemoniata. Non chiedetemi il perché. (fn)
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Misura per misura, di William Shakespeare, traduzione e adattamento di Chiara Lagani. Regia di Giacomo Bisordi. Con (in o. a.) Vanda Colecchia (Isabella), Arne De Tremerie (Angelo), Dimitri Galli Rohl (il Duca), Michele Lisi (Escalo), Irene Mantova (Mariana), Edoardo Raiola (Claudio), Francesco Russo (Lucio e altri), e (in video) Miruna Cuc. Scene e luci, Marco Giusti. Costumi, Caterina Rossi. Suono, Dario Felli. Video, Lorenzo Bruno. Regista assistente, Paolo Costantini. Consulenza drammaturgica, Theodora Patiti. Produzione: Teatro di Roma (Teatro Nazionale) in collaborazione con Centro Teatrale Santacristina. Al teatro India, fino al 14 dicembre

Con microfoni

Foto: Vanda Colecchia ed Edoardo Raiola (© Manuela Giusto)

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