FICARRA È BRAVO, MA SEMBRA GIOCARE FUORI CASA
Il riallestimento di Non ti pago è un omaggio a Luca De Filippo, scomparso troppo presto dieci anni fa: fu la sua ultima regia e l’interpretazione con la quale si congedò dal palcoscenico. Carolina Rosi, sua moglie nella vita e compagna di scena in tanti spettacoli, trova il commovente coraggio di riaprire quel copione per celebrare «il rito della memoria» (direbbe Tabucchi), restituendo fedeltà alla messa in scena del 2015. Oggi il ruolo di Ferdinando Quagliuolo è affidato a Salvo Ficarra, per definizione attor comico in una parte che è anche comica, il quale nella parlata conserva tempi e cadenze della sua Palermo: certamente è un bene che dimostra immenso rispetto per la scrittura di Eduardo, tuttavia, tolto dalla custodia di Picone e lasciato in un’arena di soli napoletani, e soprattutto senza la supervisione di un attento accordatore, lo Stradivari non suona al meglio delle sue possibilità comiche, quelle a cui ci ha abituato.
Nel momento più esilarante della commedia, per esempio, quando attorno al tavolo seggono l’avvocato e il prete, insieme con il protagonista, è Mario Porfito che detta i tempi e dirige il trio con ritmo indiavolato e canzonatorio. Senza la sua consueta spalla, Ficarra sembra giocare fuori casa, ma comunque riesce a giostrarsi con abilità andando a segno con battute d’effetto in una comicità dove si deve adattare; mentre noi tutti siamo abituati a vederlo giullare spontaneo e scanzonato. Ma quel che all’apparenza sembrerebbe un’imprecisione è, a mio modesto avviso, un atto di riguardo nei confronti del testo: l’attore mette da parte il suo personaggio «storico» e cerca una soluzione consona per un ruolo che oggi appare fuori luogo più come pater familias all’antica che come stravagante interprete di nuvole e sogni per recuperare quei significati che il popolo attribuisce ai numeri da giocare il sabato in ricevitoria.
La regia, infatti, seguendo il filone fantasioso e paradossale del gioco del lotto, strizza l’occhio alla farsa, accentuando i caratteri grotteschi di tutti i personaggi, alcuni dei quali adottano i classici stereotipi della risata: così c’è l’assurdo ballo tra Bertolini (ottima la prova di Andrea Cioffi) e Aglietiello (l’esperto Nicola Di Pinto), la ridicola protesta dei vicini Frungillo per la morte improvvisa del cane. Ciascuno porta la propria dose caricaturale ed eccentrica. Certamente si ride: sia per le trovate sceniche che per le battute del testo (e qualcuna anche aggiunta). Ed è proprio il Ferdinando Quagliuolo di Ficarra che invece cerca di sottrarsi a questa lettura cercando anche negli atteggiamenti più duri di ridicolizzare un uomo che tratta moglie e figlia come fossero sottomesse.
La commedia è del 1940. Eduardo la portò in scena a dicembre, quando l’Italia era già entrata in guerra da qualche mese: c’era necessità di ridere, più che valutare il severo comportamento di un padre che dà un forte schiaffo alla figlia intimandole di ritirarsi in camera sua, e di un marito che, alle giuste proteste della moglie, le ordina il silenzio sotto la minaccia di fare altrettanto con lei. Oggi tutto questo sarebbe inammissibile, ma grazie a Ficarra, che mette in rilievo serioso anche la parte sgradevole del personaggio, si può ridere pure del nostro passato, di come eravamo tra le mura di casa quando il patriarcato era una autentica regola. Ficarra fa scelte indipendenti: lascia il napoletano ai partenopei e la farsa a chi è meno carogna del suo Ferdinando.
Si nota una discreta cura nella recitazione di certuni, in altri meno, ma quel che lascia a desiderare è il concertato dei movimenti, subordinati a un arredamento che offre spazi assai ridotti dove poter agire, per cui quasi tutti i dialoghi si svolgono a centro scena tra due persone che sono obbligate a restar ferme, oppure tutti seduti al tavolo o sul salottino composto da divanetto e poltroncina. All’inizio del secondo atto la cameriera dice a Carmela che donna Concetta e Stella sono in un’altra stanza a parlare con il prete; quando questi entrano in scena, si intuisce che abbiano terminato la discussione e che quindi stanno per salutare don Raffaele (simpatica interpretazione di Marcello Romolo); invece i tre si risiedono e continuano il dialogo rendendo vano l’incontro precedente a cui non abbiamo assistito: Eduardo, ovviamente, sempre molto attento alle didascalie, non commette questo errore.
Foto: Salvo Ficarra, Nicola Di Pinto e Carolina Rosi (© Salvatore Pastore)
