27 novembre 2025

«Antigone» di Jean Anouilh (regia, R. Latini)

Roma, Teatro Vascello
26 novembre 2025

CONCERTO DRAMMATICO PER VOCI SPARSE E DUETTO

Sarà per l’età che avanza, ma una delle più gustose soddisfazioni teatrali, dopo anni davvero magri, è vedere una platea gremita di gente: e non parlo del pubblico che affolla le prime rappresentazioni solitamente riservate agli invitati, ma di quei paganti che vogliono andare a teatro per interesse (o per piacere), e soprattutto dei giovani, come quelli che l’altra sera, a gruppi, hanno riempito la Sala Nanni del teatro Vascello fino all’ultima poltroncina, per assistere a un’opera tra le più misteriose e affascinanti del panorama del Novecento. Scritta nel 1941, in piena ascesa della dittatura nazista, da Jean Anouilh, che si proponeva di rielaborare la versione di Sofocle dell’antico mito, opponendo alle ragioni affettive della giovane ribelle, figlia di Edipo, quelle delle necessità sociali sostenute dal re Creonte, Antigone riuscì ad approdare in palcoscenico, per la prima volta, soltanto nel 1944, dopo una lunga disputa con la censura che obbligò l’autore ad aggirare alcuni insormontabili ostacoli. Da qui si spiega l’ambiguità della vicenda e la comprensibile reazione che all’epoca suscitò, inducendo molti spettatori a considerare il dramma come una sorta di propaganda a favore della dittatura, solo perché Creonte decreta l’ordine di uccidere la giovane e indomabile Antigone.

C’è tanta storia, dunque, che avvolge le parole di Anouilh: sia antica che moderna. Eppure, un’autentica storia, durante la rappresentazione, non c’è; e Roberto Latini ha reso fruibile l’assurdità di questa vicenda che non ha un preciso filo conduttore, ma che, anzi, è frastagliata di messaggi, di curiosità, di mistero. Concerto drammatico per voci sparse e duetto: soltanto così si potrebbe interpretare il bel lavoro di Latini. Infatti, sono i personaggi, che con le loro voci, ci vogliono narrare la ribellione di Antigone. Il regista immagina alcuni passanti su una strada, alla fermata dell’autobus, che si fermano a illustrare al pubblico un brano del racconto: ascoltiamo, quindi, prima la nutrice (Manuela Kustermann), poi la sorella Ismene (Silvia Battaglio), infine il fidanzato Emone (Ilaria Drago). Dalla Platea risponde sempre una voce (dello stesso Latini) inafferrabile nel buio, irrequieta nel continuo movimento, un affanno nel tempo. Forse è la voce di un coro misterioso, o l’anima di Antigone che parla attraverso il coro degli spettatori: precisamente non si sa e non si deve sapere.

Come non si devono sapere – pardon, comprendere, perché per tutta la vita siamo obbligati a comprendere e Antigone è stanca di dover comprendere – tanti altri particolari che sfuggono, perché si perdono nel disordine della creazione, ma restano vivi ed efficaci nella percezione di un tormento che porterà l’eroina al confronto diretto con il re: il duetto, o se preferite – nel linguaggio contemporaneo – lo scontro. Antigone e Creonte si affrontano con determinazione, ma ciascuno sa che non potrà accontentare l’altro. La fine è scritta nel mito e il mito è inconfutabile: proprio come la parola per il teatro – per questo genere di teatro – che l’operazione di Latini mette in rilievo lavorando con precisione sulla recitazione di ciascun interprete e sulla modulazione e sull’amplificazione delle voci.

L’idea di portare in teatro il mito sotto forma di voce a me è piaciuta: perché l’uso dei microfoni, in questo caso, pur amplificando finanche i sussurri per riempire il buio, acquista un senso teatrale e mai di servizio. L’idea di far agire sulla scena spesso soltanto un personaggio a me è piaciuta: perché, nonostante in ribalta si veda recitare un unico attore, c’è sempre una voce di ritorno che completa il dialogo, evitando le trappole del monologo. L’idea di rappresentare in maniera «classica» (si fa per dire!) soltanto il confronto tra Antigone e Creonte e poco altro, a me è piaciuta: perché lì s’è concentrato un dramma comprensibilissimo, essenziale per capire la ribellione necessaria di Antigone, che a tutto rinuncia fuorché al suo desiderio. L’idea di affidare ruoli maschili a interpreti femminili e viceversa, mi è piaciuta: perché in questo contesto si rafforza il concetto di teatro di parola che regna al di sopra di tutto, come il verbo di un dio. L’idea di far recitare i personaggi con le maschere, anche mi è piaciuta: perché riportano a Sofocle, ma anche alla commedia dell’arte, e quindi al gioco del teatro, che Anouilh aveva previsto: «Questi personaggi stanno per rappresentarvi la storia di Antigone», dice Francesca Mazza nel prologo a viso scoperto. Che significa che si sta per entrare in una zona metateatrale.

A proposito di Francesca Mazza. Anche per lei, come già notai lo scorso anno per Christian La Rosa, quando è fuori dal controllo di Leonardo Lidi, diventa magnifica attrice. E certamente lo è, ma non ho mai avuto il piacere di ammirarla a questi livelli. Allora, bisogna dirlo una volta per tutte: è Lidi che è bravissimo a stravolgere gli attori, che pretende di impostargli una recitazione che a loro non s’addice! Ma questo è un discorso che qui non è giusto proseguire. Il suo Creonte è un dittatore fermissimo e dolcissimo, pacato e severo, e soprattutto di una chiarezza cristallina nella gestualità, nella dizione, nel sentimento. Complimenti vivissimi. (fn)
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Antigone, di Jean Anouilh, traduzione di Andrea Rodighiero. Regia di Roberto Latini. Con Silvia Battaglio (Ismene e Il messaggero), Ilaria Drago (Emone e guardie), Manuela Kustermann (La nutrice e Coro), Roberto Latini (Antigone), Francesca Mazza (Creonte). Scene, Gregorio Zurla. Costumi, Gianluca Sbicca. Musica e suono, Gianluca Misiti. Luci, Max Mugnai. Produzione: La Fabbrica dell’Attore (teatro Vascello); Teatro di Roma (teatro Nazionale). Al teatro Vascello, fino al 30 novembre

Con microfoni (per esigenze di regia)

Foto: Francesca Mazza e Roberto Latini (© Manuela Giusto)

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