18 novembre 2024

«Barbablù» di Hattie Naylor

Roma, Teatro Belli
17 novembre 2024
Per la rassegna Trend
Nuove frontiere della scena britannica

CON L’ESTASI DELLA SUBORDINAZIONE CALA IL SIPARIO SU TREND XXIII

Al termine della performance, tra gli applausi di una platea affettuosa, Edoardo Frullini, oltre ai canonici ringraziamenti, ha raccontato un breve episodio, accaduto sabato sera, che introduce bene il discorso su questo barboso Barbablù. Una signora all’ingresso ha chiesto cosa si rappresentasse, e il protagonista, che in quel momento arrivava al Belli, ha illustrato brevemente il racconto scritto da Hattie Naylor. L’altra, un po’ contrariata, ha espresso il desiderio di voler vedere in palcoscenico storie più leggere e non di violenza, ma l’attore ha ribattuto dicendo che è compito di un certo genere teatrale far luce su questioni, anche scomode, che affliggono la quotidianità di tutti. Quindi, teatro sociale. Teatro che, come in questo caso, s’impegna a far conoscere storie talvolta vere, talvolta inventate che ricalcano episodi della realtà. Nello specifico, dunque, trattandosi del personaggio di una famosa favola noir di Charles Perrault, si parla ovviamente di femminicidio: e – concordo con Frullini – il teatro spesso ha il dovere di affrontare temi scottanti per portarli alla ribalta, denunciando, contestando, accusando. Principio verissimo e sacrosanto.

Ma siamo in palcoscenico e soprattutto altre regole occorre rispettare. Frullini ha studiato un testo a memoria, basato su storie verosimili (proprio com’è il teatro), e ce lo ha declamato nel mezzo di una scenografia alquanto scarna. A terra soltanto un folto intricato cordame che indica la tessitura di una gabbia, una trappola per vittime consenzienti. Appese, dall’alto, ci sono una camicia, una giacca, una cravatta che al termine della vestizione formeranno l’abito nuziale del mostro Barbablù. Tutto qui, perché Frullini si districa soltanto sulla parola monologante e nient’altro che possa ammantare di teatralità la sua esibizione che resta sospesa tra la frivolezza della favola e la crudeltà della verità. Durante la narrazione il pubblico ascolta la cronaca di tre stupri condita di particolari assai intimi, la cui ripetizione, esclusivamente letteraria, risulta un po’ stucchevole: nessuna novità sul fronte scabroso! Due dei tre episodi terminano con l’uccisione della donna, il terzo ha un finale a sorpresa, ma nemmeno troppa.

Tuttavia, il testo offre qualche spunto psicopatico interessante che riguarda la tirannia della natura nel rapporto sessuale, l’estasi della subordinazione, la ricerca del dolore e quindi la scelta del carnefice. Barbablù usa questi temi per tentare di scagionarsi; in realtà s’intuisce che si tratta di argomenti che sono al vaglio dei migliori psicologi, i quali cercano di studiare al meglio le ragioni che causano un numero tanto alto di femminicidi. Susan, Annabelle e Giudy sono le tre vittime di Barbablù, la cui furia assassina si scatena quando le prescelte cercano di scardinare la porta dell’ego del loro aguzzino, soprattutto quella che conduce a scoprirne il passato.

In scena però si vede soltanto un ragazzo – in verità, troppo giovane per incarnare il malvagio di Perrault, ma non per rappresentare un violentatore seriale – che, però, conduce una narrazione socialmente anomala. Il teatro sociale, infatti, ha bisogno di una partecipazione collettiva, ossia di un testo che aggreghi la platea, che porti gli spettatori dalla parte di chi denuncia, dalla parte di chi contesta, dalla parte di chi accusa: solo così si può partecipare emotivamente al dramma del ribelle di turno e condividerne empaticamente le ragioni. Ma come si può pretendere che qualcuno si immedesimi in un violentatore o appoggi le teorie di un assassino? Allora non è teatro sociale, quello di Frullini, eppure vorrebbe esserlo: pare averne le pretese per come è rappresentato. Purtroppo, invece, è soltanto il racconto perverso di uno psicopatico da cui dissociarsi, un racconto moderno e noioso costruito sulla falsariga della favola di Perrault. Un racconto che non riesce ad essere né carne né pesce, o – usando le parole del protagonista – né rossa, né granito.

Così termina la XXIII edizione di Trend, la rassegna teatrale sulla nuova scena britannica, una drammaturgia che sembra soffrire ogni anno di più dello stesso malessere del teatro nostrano. Quest’anno ho notato una carenza comune in tutti gli allestimenti che ho visto (quattro su tredici): dalla discutibile qualità dei testi, all’abbondanza di monologhi inconcludenti, dalle scenografie ridotte all’osso, agli attori meno convincenti rispetto al passato, fino ai registi fin troppo acerbi. A loro discolpa non si può ignorare la mancanza sempre più preoccupante di risorse economiche che mortificano simili iniziative culturali. Comunque, un grazie particolare a Carlo Emilio Lerici che ci ha provato. (fn)
____________________
Barbablù, di Hattie Naylor; traduz. Monica Capuani. Con Edoardo Frullini. Regia di Giulia Paoletti. Al teatro Belli

Trend. Nuove frontiere della scena britannica (XXIII edizione). Rassegna teatrale a cura di Carlo Emilio Lerici. Al teatro Belli, la rassegna è terminata

Foto: Edoardo Frullini (© ???)

Pour vous