NULLA È COME APPARE. NEMMENO L’ETÀ
Appena terminata la proiezione di Giurato numero 2, quel subdolo pensiero sorto nel buio della sala, che è un chiaro paradosso, provocato dall’inquadratura di un particolare, prende consistenza cominciando a diventare un sospetto quasi realistico: allora, dare sfogo anche alle più improbabili domande diventa una necessità per liberarsi di un assurdo impeto di goliardia. Non è la prima volta che mi sorprende questo irrisorio delirio dopo aver visto una pellicola di Clint Eastwood, perfetta nella realizzazione: dalla sceneggiatura alle inquadrature, dalla fotografia al montaggio. Sì, è vero, si nota che la mano del regista è un po’ vecchio stampo, rispetto agli scatenati registi delle ultime generazioni, ma la limpidezza del racconto è di tale avvincente risolutezza che un pizzico di elegante stagionatura giova alla comprensione della storia e dei caratteri dei personaggi, ergo al piacere di vedere un bel film. Quindi quel pensiero ironico, quel delirio inverosimile, che somiglia a una boutade, diventa un’impellente dichiarazione di stima per chi ha cominciato a far cinema settant’anni fa.
Oggi Eastwood conta 94 primavere e, con lo spirito di una matricola, si mette alla prova dietro la macchina da presa per la 46ª volta con un thriller capace di rapire lo spettatore dopo pochi minuti, grazie alla sceneggiatura di Jonathan Abrams coraggiosa e in netta controtendenza rispetto al generale flusso giustizialista che vuole fidanzati, mariti e compagni unici indagati per gli omicidi delle loro donne. La coppia Abrams-Eastwood non vuole mettere in discussione né l’esistenza né la gravità dei delitti commessi, ma pone sotto i riflettori i metodi (anche psicologici) – ovviamente americani, ma che non sono molto differenti dai nostri – di come sono condotte le indagini e si sviluppa il processo a carico di imputati spesso condannati dalla voce del popolo ancor prima di essere giudicati.
Il film si apre e si chiude con l’immagine della statua di Astrea bendata con la bilancia tra le dita, proprio per sottolineare di come viene travisata l’idea della giustizia che in teoria dovrebbe essere infallibile, ma che invece è sempre condizionata dalle perplessità, dalle convenienze e dalle convinzioni di uomini fragili, influenzabili e corruttibili. Il giallo, quindi, cede immediatamente il posto al genere thriller: infatti allo spettatore viene subito dichiarata la verità, affinché sia lui a immedesimarsi nella dea della Giustizia e ad avere tra le mani la soluzione più logica e onesta, quella che dovrebbe portare a una sentenza ineccepibile. Soltanto con la chiara visione di come si sono svolti i fatti lo spettatore diventa l’arbitro più rigoroso per poter esprimere un giudizio sull’autore dell’omicidio di Kendall.
Molti indizi, ma nessuna prova, portano il processo a concludersi con più dubbi che certezze, cosicché il giudice passa «la parola ai giurati» che decideranno le sorti di James, unico indiziato. Eastwood si ispira palesemente all’opera di Sidney Lumet del 1957, ma a differenza di quel processo che vedeva i dodici giurati completamente estranei alla vicenda discussa in aula, in questo il giurato n. 2 sa qualcosa che gli altri non possono sapere. È il motivo che lo spinge a tentare di ribaltare l’esito di una prima votazione colpevolista, che lo vede in netto svantaggio per tentare di salvare il futuro di un uomo che rischia l’ergastolo.
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Giurato numero 2, un film di Clint Eastwood. Sceneggiatura, Jonathan Abrams. Fotografia, Yves Bélanger. Montaggio, David S. Cox e Joel Cox. Musiche, Mark Mancina. Con Nicholas Hoult (Justin Kemp), Toni Collette (Faith Killebrew), J. K. Simmons (Harold), Chris Messina (Eric Resnick), Zoey Deutch (Ally Kemp), Cedric Yarbrough (Marcus), Kiefer Sutherland (Larry Lasker), Gabriel Basso (James Sythe), Francesca Eastwood (Kendall Carter), Leslie Bibb (Denice Aldworth), Amy Aquino (giudice Thelma Hollub). Regia, Clint Eastwood. Al cinema
Foto: sul set l’attore protagonista Nicholas Hoult insieme con Clint Eastwood (© ???)