Il libro di poesie |
Roma, 18 novembre 2024
«LA SEPARAZIONE È IL PRINCIPALE ATTO DI DOLORE DELLA VITA»
Chiedo scusa all’autore della silloge se mi permetto di cominciare questo soliloquio sul suo volume da una sensazione assolutamente personale. Scopo della poesia è proprio il tentativo di entrare nelle pieghe della sensibilità altrui: così è accaduto e così l’ho fatta mia. D’altronde, il titolo della raccolta diventa un richiamo per ricordare la madre di Vincenzo Mastropirro, che mai mi ha conosciuto, ma che invece il sottoscritto è riuscito a gustare, pur se a distanza, grazie alle brevi frasi che il figlio scriveva sul suo profilo Facebook, riportando piccoli aneddoti carichi di saggezza popolare, di lapidarie sentenze tanto colorite d’affetto quanto spietate nel giudizio. Trascrivo dalla postfazione di Angela De Leo che, a differenza di me, conosceva Ninetta, donna «coraggiosa, battagliera e volitiva con cui il figlio era solito battibeccare in duetti dispettosi d’amore, ricamo di note tenerissime.»
Ti confesso, caro Vincenzo, che la lettura fugace di quei duetti dispettosi mi manca molto. I brevi dialoghi, oltre a divertirmi, mi avevano fatto riscoprire l’antichità della terra quando si fonde con la verità del linguaggio, la pervicace onestà delle donne del Sud, come tua madre che non ho mai conosciuto personalmente ma che tu hai reso viva e presente nella mia indole meridionale. Mia madre è nata in città, in una famiglia borghese, ed è naturale che nelle sue parole non abbia mai riscontrato il sapore rustico della terra, né la ruvida carezza di un affetto sempre grezzo e sempre verace, autentico come soltanto il frutto caldo di un terreno fertile e bruciato dal sole, sa essere.
Queste sensazioni di figlio, eterne e primordiali, Mastropirro è riuscito a riscriverle, non più in forma di dialogo sulla pagina di un social, ma in versi, semplici e saporiti, per i tipi di Faraeditore, in ricordo della madre scomparsa. Sessantaquattro poesie (come gli anni dell’autore, quando il volume è stato pubblicato) scritte per lei, per la solitudine che ha lasciato, per il senso del distacco che si patisce e per l’attaccamento agli affetti più cari ed intimi che restano e sui quali ci si concentra per beatitudine ereditata. In Se mi conosci… la mamma di Vincenzo non parla più. Lascia parlare, con le sue parole, il dolore del figlio. «La separazione è il principale atto di dolore della vita», annuncia in esergo l’autore, anticipando un’assenza che ancora non trova requie nel suo animo. Se vorrai posso essere tuo figlio sempre… è il primo verso di un canto di speranza, nel quale si può intuire il cammino di quel bambino, quello che piangeva sulle pagine a quadretti, verso le braccia aperte che lo accolsero sin dalla nascita e che sempre lo accoglieranno; quello stesso bambino che ora, adulto, sta per azzardare il più tenero dei ricatti: stringimi ancora con le forze residue delle tue braccia. / Fallo e ti lascerò andare senza lacrime. Ed ecco che il volume diventa quell’abbraccio reciproco senza lacrime, per tanti figli ma con una sola madre.
Non è un caso, credo, che il volume sia scritto in due lingue: una rivolta al passato e l’altra al presente. Il dialetto aspro, come idioma di concepimento con il quale Mastropirro s’è formato ed è cresciuto, e poi l’italiano, come evoluzione della forma retorica e divulgativa. La forza culturale dei versi di Mastropirro la si «tocca» a piene mani, proprio nella radice di un linguaggio genuino e grezzo che affonda nell’appulo humus come canto irriverente nei confronti della nostra società commercializzata, che ha fatto del dialetto pugliese quella parlata imbranata e buffa che tutti ormai conosciamo attraverso la televisione spicciola che ci spinge a sorridere di una lingua dal suono talvolta storpiato.
Mastropirro invece torna indietro nel tempo per ritrovare l’origine della sua terra attraverso le parole che sua madre gli ha lasciato. Oggi la si sottovaluta sempre di più, ma la lingua, quella con la quale siamo nati, è ciò che siamo: è la nostra essenza e il nostro passato. Mà, te so’ viste sotte la crausce: ascoltando il suono sappiamo molto più della mera indicazione di un figlio che ha visto la madre sotto la croce. In questo verso c’è una storia nascosta che Mastropirro rievoca per sentirsi più vicino a sua madre e a se stesso, alla sua terra e ai suoi avi, perché questo è il suono che ha concepito tutta la sua ascendenza fatta di donne con volti scavati nella gioventù.
Foto: La copertina del volume (© Mauro Ieva)