QUATTRO BURATTINI SUL PALCO,
IL GATTO E LA VOLPE IN REGIA
Stanco di ascoltar monologhi – nel solo mese di dicembre ne ho visti ben sette, e ciò non è bene – anziché recarmi a vedere l’ennesimo soliloquio (ché non mancavano proposte nel quotidiano cartellone!), ho preferito scegliere una commedia di minor richiamo, il cui manifesto faceva intendere che sul palco si sarebbero esibiti quattro attori. «Almeno si sentirà qualche dialogo», ho pensato, «e ci sarà un po’ di movimento in scena, magari anche con qualche battuta simpatica», ho pensato ancora, «toh, Roberto Ciufoli e Simone Colombari firmano insieme la regia: due nomi che in teoria dovrebbero essere una garanzia», ho pensato in ultimo. È che alle volte ci si rende conto in ritardo che lasciarsi convincere dal troppo pensare è una strategia assai imprudente, se non addirittura una tattica spericolata. M’è andata male, anzi malissimo. Sarebbe stato più prudente un insano solito monologo.
Eppure l’idea di base dell’autore di questa sciagurata rappresentazione non era malvagia. Quattro scalcagnati furfanti organizzano il rapimento del papa per chiedere un congruo riscatto al Vaticano, ma al momento di agire, quando due esecutori già hanno avviato il complotto del sequestro, la televisione annuncia che il pontefice è morto da poche ore. Purtroppo Gianmarco Crò porta avanti situazione e dialoghi nella maniera più raffazzonata (comicità sciocca e ripetitiva e senza alcuna logica, nemmeno credibile quel tanto che occorre per ingannare il pubblico di Roma, che di conclavi se ne intende). Pure i quattro attori non dimostrano alcuna cura nel costruire i ruoli: per loro è importante soltanto dire la battuta con il massimo della carica e il minimo della sfumatura. Ma la mia delusione non è stata infuocata né dall’autore, né dagli interpreti, i quali – in parte – sono addirittura incolpevoli: non avrei mai il coraggio di puntare il dito dritto su di loro, i cui nomi, sconosciuti al gran teatro, non meritano una severa stroncatura.
Il buon critico non deve fustigare chi già è, con evidenza, vittima di una disarmante presa in giro, come Pinocchio con le sue monete d’oro, ma deve stanare il gatto e la volpe. Ora, io non so chi, tra Ciufoli e Colombari, sia lo zoppo e chi il cieco, ma conosco abbastanza bene il loro passato e le esperienze che hanno vissuto in teatro, e non da ieri, ma da quando eravamo tutti più giovani e allegri. Se le esperienze servono a riempire il bagaglio del mestiere, i loro bagagli, all’epoca, o erano bucati o qualcuno di recente glieli ha sequestrati. Di tutto quel che avrebbero dovuto imparare in quarant’anni di palcoscenico, nella loro regia a quattro mani, non si è notata nemmeno una briciola di onorato teatro. Neanche un tentativo meritevole di biasimo per questa produzione firmata «Cattivi amici». Un presagio!
Il palcoscenico dei Servi non è quello del San Carlo! Va sfruttato – come tutti i palcoscenici del mondo – per quello che è, non per quello che s’immagina che sia. Se si occupa il fondo con tre scale e una panca con sopra quattro o cinque barattoli di pittura, se si affolla la parte centrale del palco con una scrivania da un lato e dall’altro un cavalletto che regge una vistosa lavagna, se si stringe il proscenio con un grande bidone dell’immondizia (vuoto, quindi inutile) e un altro ingombro con altre pitture, scusate, signori registi a quattro mani, dove pensate che possano agire gli attori, uno sull’altro come gli acrobati al circo? Quando si riempie una scena di cianfrusaglie che poco c’entrano con la trama, se non per una battuta didascalica iniziale che indica «una stanza in ristrutturazione», vuol dire che si cerca un sistema per non far muovere gli attori, che significa trovare un modo per far prima, cioè per sbrigarsi e poter poi correre altrove e inseguire altri impegni, proprio come il gatto e la volpe.
Foto: Due delle quattro vittime (© ???)
