CARLO, ROVINATO DALLE LOTTE INTERNE
Stare meglio è un’espressione impersonale – non a caso nel titolo è usato il verbo all’infinito – che, se riferita agli individui, s’addice tanto a un singolo, quanto a una comunità illimitata che può comprendere gli abitanti di un paesino, di una metropoli o addirittura di una nazione. Senza voler sconfinare all’estero, che sarebbe troppo, Giacomo Ciarrapico, autore del racconto, immagina l’organizzazione della vita di un signor Carlo governata da un sistema interno al suo corpo predisposto sul genere repubblicano, cioè ben inquadrato in una Costituzione (che sono le regole di base del comportamento umano), in cui ogni decisione quotidiana viene gestita dal corrispondente ministero, sollevando poi inevitabili discussioni parlamentari tra maggioranza e opposizione fino ad arrivare alla crisi di governo, alla sfiducia e alle classiche elezioni. Così che per spingere il signor Carlo a leggere un libro o andare a teatro dovrebbe intervenire il ministero della cultura, per curare il fisico la Sanità, per i rapporti con il prossimo il dicastero degli esteri, per vincere la pigrizia e andare in palestra s’attiva il ministero dello sport, e per il controllo delle spese quello delle Finanze.
Insomma, il signor Carlo, che è figlio della nostra Italia, (non) funziona esattamente come la nostra disorganizzazione politica e sociale. Che significa: l’infelicità di un individuo è strettamente legata alle sorti del paese in cui vive e alle tensioni di cui si ciba derivate da leggi e burocrazia. La sua sana e robusta costituzione di un tempo accusa qualche cedimento. È la seconda volta che mi capita di assistere alla messa in scena di un testo di Ciarrapico. Esattamente un anno fa vidi «Un giorno come un altro», che anche girava intorno al sistema politico vissuto dai cittadini: lì era un dialogo tra due scrutinatori in un seggio in cui le elezioni andarono deserte e la situazione paradossale raggiunse irresistibile comicità. Oggi il soliloquio – faccio fatica a identificarlo come monologo – vede il bravissimo Carlo De Ruggieri nel ruolo del protagonista di un racconto esilarante, che molto assomiglia a un antieroe di stampo kafkiano, stile Gregor Samsa. Il personaggio, apparentemente immobile davanti a un microfono, si confessa a se stesso, facendo rivivere, dentro di se, oltre al suo dramma, tutti i suoi componenti, indicandoli grossolanamente con gesti vaghi sulla pancia e sul petto. Quindi, da una parte si può individuare la Farnesina, dall’altra il Viminale, al centro il Parlamento con l’ala destra e la sinistra, e intorno il popolo che soffre le insoddisfazioni e le amarezze di Carlo e della sua vita grama, rovinata dalle lotte interne.
In effetti non accade nient’altro di vistoso, ma, come scrivevo proprio ieri sull’amplificazione che il palcoscenico riesce a donare al piccolo gesto di una mano, di un dito, oppure all’impercettibile lamento appena sussurrato, sta alla bravura dell’interprete far vivere altri personaggi che non si vedono o lasciare l’impressione che si stia parlando realmente con un altro, aiutandosi con la gestualità del viso con i cambi repentini del tono della voce. Il teatro talvolta può esser fatto soltanto di recitazione, e se il testo è brillante, originale e interessante, e l’attore sa distillarlo, sillaba dopo sillaba, dando un’espressione significativa e logica a ogni frase, non c’è possibilità di annoiare, come solitamente accade con i monologhi.
Ciarrapico penetra, con la scrittura, nelle viscere del suo personaggio immaginario, istallando lì la sua personale visione sarcastica del mondo politico del nostro sconquassato paese; e De Ruggiero lo fa suo quel mondo, restituendolo con dovizia di particolari sentimentali; sì, esattamente: lo rende sentimentalmente vivo, anche da un punto di vista costituzionale. Di un suo problema interiore, infatti, ne fa una res publica, mettendo in piazza quella che molti avrebbero ritenuta essere una questione privata. Carlo ci confessa addirittura l’operato dei servizi segreti che agiscono di nascosto perfino nei suoi stessi confronti, smascherandoli senza incriminarli, perché sa bene che ogni organizzazione sociale ha la necessità di convivere con organi occulti, come la mafia, per esempio.
Con microfono
Foto: Carlo De Ruggieri (© ???)
