01 dicembre 2025

«Mi manca Van Gogh», di e con Francesca Astrei

Roma, Teatro India
30 novembre 2025

«COME SARANNO QUEI CORVI?»

Lei fa la guida in un museo: ci mette passione, studio e tanta energia per tenere a bada un gruppo d’immaginari visitatori irrequieti, un po’ sfrontati, un po’ maleducati. Di fronte a un quadro di Van Gogh, anch’esso fantasioso, Francesca (ma il nome è quello dell’interprete) dichiara la sua predilezione per il pittore olandese, si percepisce una debolezza che le tocca l’animo, mentre le impertinenze dei turisti la distraggono, la offendono, le fanno male. Lei reagisce con ironia davanti al tizio che usa incautamente il cellulare durante la spiegazione storica e artistica di una tela, redarguisce la signora che sgranocchia patatine. E, da una dizione perfettamente italiana e professionale, scivola su accenti più dialettali per frenare gli eccessi caustici, per smorzare la rabbia con la simpatia, per cercare di entrare in confidenza con la truppa irrispettosa e recuperare la loro attenzione. Opta per la cadenza napoletana – anche se l’attrice è nata a Roma – ma preferisce la parlata periferica, quella vesuviana resa famosa dalle incertezze lessicali di Massimo Troisi. Sfrutta l’empatia del comico di «Ricomincio da tre», senza però calcare la mano, appena appena, giusto per aprire un varco comico, prima della virata.

Lei, la guida che per arrotondare lavora in un bar, parla ancora con leggerezza della pazzia e della morte del pittore e cita Antonin Artaud che nel 1947 scrisse un saggio dal titolo icastico: «Van Gogh, il suicidato della società». Non era pazzo Van Gogh, evidentemente, e non era pazzo nemmeno Artaud. Il monologo, a questo punto, abbandona quadri, pittura e museo per recuperare un ricordo che ha per protagonista Michela, un’amica della guida. Anch’essa non era pazza. Dall’ottimismo dei girasoli si passa al dramma delle conseguenze del revenge porn: tema scottante che colpisce i più deboli, a volte anche i più generosi e indifesi, ricattati nell’intimo, mortificati nella dignità. Argomento sempre più attuale, lo leggiamo tutti i giorni. Francesca Astrei scrive e interpreta Mi manca Van Gogh per non dire che l’assenza forse è un’altra, autentica o immaginata (non lo sappiamo), comunque reale, nel senso che purtroppo appartiene alla nostra realtà.

È un testo, che debuttò nel 2022 e che speriamo torni presto in ribalta, comico e drammatico, ironico e «silenzioso»: non urla, non scalpita, non drammatizza, ma si mantiene sempre in equilibrio, tra il divertimento e l’impegno, sul ritmo delle parole e dei gesti, sulle battute e sulle improvvise sospensioni. Non esige una regia esteriore (in scena c’è solo lei e una macchia bianca sul fondo che rappresenta i quadri), perché la regia è nel personaggio, fermo, quasi immobile al centro dello spazio, che trova l’estasi in una «Notte stellata», la curiosità in uno «sguardo a tramezzino» e il gusto una «spremuta d’ansia». Il dramma arriva nella frenesia di un mattino dietro il bancone del bar, tra caffè e cappuccini, macchiati e senza lattosio: è l’irrequietezza futile dell’umanità che non s’accorge del passaggio dei corvi neri. Come saranno quei corvi, si chiede Francesca, saranno buoni o cattivi, sazi o rapaci? Nel pennello di Van Gogh sono soltanto un innocuo segno nero, ma due giorni dopo l’artista si sparava una fucilata in pieno ventre. (fn)
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Mi manca Van Gogh, di e con Francesca Astrei. Produzione: Teatro di Roma (Teatro Nazionale). Al teatro India, domenica 30 ultima replica 

Con microfoni

Foto: Francesca Astrei (© Francesca di Paola)

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