Roma, 16 dicembre 2025
SHAKESPEARE E MOZART DOVREBBERO ESSERE RISARCITI
I diritti degli «immortali» in aiuto ai giovani artisti
Fra quindici giorni, il 31 dicembre, i diritti che proteggono gli scritti di Thomas Mann scadranno. Con l’arrivo del nuovo anno anche le opere di Paul Claudel perderanno i loro profitti. Saggi, prose e poesie, testi teatrali e musicali di autori deceduti nel 1955 diventeranno di dominio pubblico, compresi quelli di Charlie Parker, padre del bebop jazz. Ogni opera è protetta dal giorno del suo battesimo – che corrisponde al momento del deposito presso la società incaricata – fino a 70 anni dalla morte dell’autore: il dominio scade, appunto, il 31 dicembre successivo al 70° anniversario del decesso. Questo significa che, per esempio, chi vorrà rifare una nuova edizione cinematografica o teatrale della Morte a Venezia dal primo gennaio sarà libero da permessi e da pagamenti per liberatorie, e quindi ci si potrà ubriacare con Aschenbach o con il vecchio Buddenbrook senza alcun timore di essere sorpresi dal controllo delle autorità predisposte. Si cita Thomas Mann solo perché il nome è il più autorevole, e i suoi scritti hanno ispirato tanti altri autori e registi a impegnarsi in riscritture, adattamenti e rielaborazioni, ma il discorso vale per tutti, anche per la meno conosciuta Anne C. Flexner, commediografa statunitense, i cui eredi fra meno di due settimane perderanno, qualora ancora ce ne fossero, gli introiti scaturiti dalle rappresentazioni delle sue commedie che all’epoca pare fossero di enorme successo.
Il diritto d’autore, in Italia, è governato dalla Siae ed è materia di impervie discussioni, soprattutto per quanto riguarda le rappresentazioni post mortem (dell’autore, ovviamente) che sono gestite da persone che spesso non hanno l’esatta concezione di cosa sia un adattamento, o una semplice traduzione, ed erroneamente chiedono una percentuale identica per ogni utilizzo dell’originale, anche quando il lavoro dell’elaboratore esula dal contesto, sconfinando in libere interpretazioni del tutto arbitrarie e che quindi rientrano, in parte, in un loro inedito d’autore. Addirittura capita anche di doversi imbattere in discussioni con i traduttori, i quali pretendono una percentuale di guadagno su opere già scadute. Prendiamo Cechov, ad esempio: succede che cotanto autore (o chi per esso) viene totalmente escluso dalla divisione degli utili, mentre il traduttore (o i di lui eredi) sgomita per rientrare al suo posto tra i dividendi degli incassi, come fosse il padre dell’opera.
Accade pure in lirica, nell’alta lirica, dove il giro economico è molto più cospicuo rispetto alla prosa, e l’assurdo economico è ancora più evidente. Se si mette in scena il Don Giovanni di Mozart, l’autore, che è il massimo genio musicale sulle cui opere campano molti enti lirici, viene considerato alla stessa stregua del suo personaggio: con il tutto esaurito, zero euro a Don Giovanni come per Mozart, o per Verdi con l’Aida, o per Bizet con la Carmen. E i soldi a chi vanno? A chi usa uno spartito di sicuro successo: soprattutto al direttore d’orchestra e al regista, poi agli esecutori, allo scenografo, al costumista, agli orchestrali e a tutti gli altri. È da chiedersi se sia giusto che un regista – prestigioso che sia, ma protetto in cartellone dai nomi più famosi dell’empireo musicale – chiamato a inaugurare la stagione scaligera, prenda un cachet esorbitante, rispetto all’autore che viene totalmente defraudato di ogni tutela economica. È altresì da chiedersi se sia giusto che i più gloriosi enti lirici del mondo quasi mai paghino i diritti d’autori. Chi volgarmente sussurra «tanto quello magna sulle spalle di Puccini», non dice propriamente un’assurdità. Si va all’opera per ascoltare Tosca, prima che per vedere il nuovo allestimento: sicuri che comunque, pur chiudendo gli occhi, le Arie del secondo e del terzo atto ci commuoveranno e ci ripagheranno dell’eventuale delusione visiva.
Possiamo ben dire che, da un punto di vista etico, la spartizione dei denari non sia propriamente corretta: idealmente Mozart andrebbe risarcito, almeno in parte, per quel che ha fatto, visto che le sue opere ogni anno vanno a ruba da chi le sfrutta e dalle quali ricava bene i suoi frutti; e Shakespeare non è certamente da meno! D’altronde non si può neanche pretendere di donar soldi ai cimiteri in omnia saecula saeculorum. Eppure ci sarebbe una giusta e coerente soluzione per salvare le apparenze e per dar peso al diritto d’autore perpetuo, almeno per le opere immortali, quelle di sicuro richiamo, che andrebbero riconosciute da un plebiscito, come potrebbero essere La bohème, Il giardino dei ciliegi, Romeo e Giulietta, I sei personaggi in cerca d’autore e tante altre.
