SERGIO LEONE E I PRIMI 40 ANNI DI NOODLES E MAX
In un libro, la genesi del capolavoro cinematografico raccontata da Piero Negri Scaglione
Il 28 settembre 1984, quaranta anni fa, usciva nelle sale cinematografiche italiane «C’era una volta in America», capolavoro di Sergio Leone, considerato dal pubblico uno dei film più emozionanti di sempre, e dai cinefili tra le opere più riuscite; un film pieno di fascino che ha nella sua gestazione una storia altrettanto affascinante. L’ha raccontata Paolo Negri Scaglione pubblicando per Einaudi (2021) «Che hai fatto in tutti questi anni».
Il 14 giugno 1982, poco meno di un mese prima che Dino Zoff alzasse la coppa del mondo al cielo di Madrid, alle 9.30 del mattino, a Roma, Sergio Leone dà il via alle riprese del suo nuovo film. Si gira in una piccola sala teatrale di fronte al Campidoglio, chiusa al pubblico dal 1969 a causa di un piccolo incendio. Il regista, con Robert De Niro, Olga Karlatos, Mario Brega e il produttore esecutivo Claudio Mancini si danno appuntamento al Teatro della Cometa, insieme con altre comparse di Cinecittà, mentre alcuni tecnici, con lo scenografo Carlo Simi già hanno allestito la «fumeria d’oppio dove De Niro/Noodles è disteso a terra, la lunga pipa in bocca. Raccoglie il giornale con la notizia della morte dei suoi tre compagni» e ascolta per la prima volta lo squillo di un telefono che solo lui sente suonare.
È sempre il 1969, quando, oltre al rogo della Cometa, Corrado Mantoni – così comincia il meraviglioso racconto di Negri Scaglione – presenta in Rai «A che gioco giochiamo», e invita Leone che da poco ha terminato di lavorare alla sua ultima pellicola, C’era una volta il West. Per la prima volta annuncia pubblicamente l’intenzione di voler girare un film diverso: «Basta western, adesso faccio C’era una volta l’America.» Si sarebbe dovuto chiamare così, ma da quel momento al primo ciac, trascorsero tredici anni, durante i quali il regista romano avrebbe fatto in tempo a sfornare anche C’era una volta la rivoluzione, un trattamento che nasceva con il titolo di Messico, poi pubblicizzato come Johnny & Johnny e che alla fine arriva sugli schermi con quello di Giù la testa, 1971.
All’epoca Leone già sta archiviando da tempo centinaia, forse migliaia, di fotografie che gli stimolano l’immaginazione per il suo lungometraggio. Un desiderio che probabilmente cova da molti anni, non si sa di preciso quanti, ma, particolare non trascurabile, gli manca una trama. La prima idea concreta sul film si realizza quando Giuseppe Colizzi – il regista che nel ‘67 lanciò sul grande schermo la fortunata coppia Bud Spencer & Terence Hill – gli regala una copia di Mano armata, un romanzo scritto da tal Harry Grey. In America il volume fu pubblicato nel 1952 con il titolo The Hoods, una storia di gangster capace di regalare molti spunti cinematografici. Quando Leone legge il libro, anzi pare che glielo abbiano letto, è il 1966. Il buono, il brutto e il cattivo, ancora non è uscito e già dice che farà un film su quella storia.
Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo il mare, sentenzia il proverbio, e in questo caso, a dividere gl’intenti, c’è proprio l’oceano perché, se i sogni aumentano e i desideri galoppano, le difficoltà si moltiplicano e i viaggi in America diventano sempre più frequenti. L’idea di Leone, tuttavia, prende corpo; ne parla con chi potrebbe collaborare all’impresa, ma evidentemente i tempi per la realizzazione non sono maturi e i soldi necessari sono ancora molto lontani. Il film nella sua mente già c’è: ci sono perfino i rumori, le voci, le inquadrature, i ritmi, ma manca la sceneggiatura, manca la musica, manca una produzione e manca il cast. E non ci sono soprattutto i permessi per poter girare un film tratto dal romanzo di Grey. Di realistico, insomma, non c’è nulla. Tuttavia sopravvive il sogno che è l’anima del cinema e nessuno più di Leone lo sa. Giunto a New York vuole conoscere l’autore del libro, diventa suo amico (o quasi), e viene a sapere che i diritti cinematografici sono già stati comprati da Joe Levine che li ha rivenduti a Dan Curtis.
Al festival di Cannes del 1971, raggiunto un accordo tra due case di produzione italo-francesi, il film è annunciato come «un affresco alla Fitzgerald» e il cast stellare sarà composto da Henry Fonda, Charles Bronson, Gabriele Ferzetti, Ugo Tognazzi e Romolo Valli, ma finora l’unica certezza è che della sceneggiatura ancora non è stata scritta neanche una parola. Successivamente Alberto Grimaldi, intenzionato a produrre davvero il film di Leone, compra i diritti di Mano armata e scioglie così le prime difficoltà per la realizzazione del sogno. Sempre lui dà il via alla caccia allo sceneggiatore. La prima selezione premia Leonardo Sciascia ma, dopo un incontro col regista, lo scrittore siciliano preferisce abbandonare il progetto; poi tocca a Ernesto Gastaldi, quindi all’americano Norman Mailer, ma nessuno riesce a soddisfare le esigenze di Leone che nel frattempo vede con maggior chiarezza le immagini di un cinema che racconta il mito del C’era una volta. Alla fine la scelta si concentra sulla coppia Benvenuti e De Bernardi, ai quali viene affiancato Enrico Medioli, il numero uno, il più importante. Leone – lo dice testualmente – insiste su Medioli, collaboratore di Visconti, uomo assai colto e raffinato, per essere contraddetto: «Per questo i registi italiani oggi fanno tanti disastri: non chiamano mai uno per farsi contraddire.» In seguito arriveranno anche Arcalli e Ferrini. Tutti sotto l’attenta supervisione di un Leone più che mai deciso a realizzare il suo sogno.
Si stabiliscono i periodi in cui sarà immersa la vicenda, e che in seguito diventano anni ben precisi. Il racconto principale si svolge il 3 dicembre 1933, data della fine del proibizionismo; ma ci sarà un prologo ambientato nel 1922, anno in cui gli Stati Uniti vissero un periodo di eccezionale prosperità economica ed infine un lungo epilogo narrante che cadrà nel 1968, l’anno delle rivoluzioni sociali, «ma la politica non c’entra», avverte Leone. In effetti si capisce che i cambiamenti di quell’anno daranno alla storia soltanto il pretesto per far chiudere il cerchio all’esistenza di un mondo, e un di passato, che scomparirà misteriosamente dietro un camion dei rifiuti. O forse da questo risucchiato. Nessuno lo saprà mai, nemmeno il Leone più audace. (fn)
Pubblicato anche su Quarta Parete il 2/1/24