15 gennaio 2024

In morte di un poeta napoletano


di Francesco Esposito
in collaborazione con
F. Nicolini

Ricordo di Enzo Moscato, il più pasoliniano degli scrittori partenopei

𝑃𝑒’ 𝑐𝑜𝑝𝑝’ ‘𝑒 𝑙𝑜𝑔𝑔𝑒, 𝑝𝑒’ 𝑠𝑜𝑡𝑡’ ‘𝑒 𝑝𝑎𝑛𝑛𝑒 𝑠𝑡𝑖𝑠𝑒,
𝑚𝑜 ℎ𝑎𝑛𝑛’ ‘𝑎 𝑣𝑢𝑙𝑎̀ 𝑠𝑡𝑖 𝑐𝑐𝑎𝑟𝑡’ ‘𝑒 𝑚𝑢𝑠𝑖𝑐𝑎,
𝑡𝑢𝑡𝑡𝑒 𝑠𝑡𝑖 𝑛𝑖𝑟𝑒 𝑎𝑐𝑐𝑜𝑟𝑑’ ‘𝑒 𝑐𝑢𝑛𝑐𝑒𝑟𝑡𝑖𝑛𝑜...

Enzo Moscato ci ha lasciato. Se n’è andato senza colpi di scena, senza alcun fracasso, in punta di piedi, con la solitaria discrezione nota a chi lo conosceva; quella che lo ha sempre contraddistinto: la stessa che lo ha mantenuto fuori dal coro. Lui, colto poeta solista, è stato sin da subito associato ad Annibale Ruccello e Manlio Santanelli, esponente di quel fenomeno autorale che la critica battezzò identificandolo come la «Nuova drammaturgia post Eduardo». Quasi contemporaneamente i tre iniziavano a scrivere di teatro mentre il vivente monumento eduardiano continuava a intimidire, anche inconsciamente, ormai da decenni. Il suo teatro, il suo modo di far teatro, il suo successo planetario quasi metteva soggezione ai giovani che si apprestavano a scrivere per il palcoscenico. 

Dei tre, senza togliere meriti e allori agli altri, Moscato è stato l’autore più originale, con una cifra e uno stile più personali. A differenza di Ruccello, ad esempio, che ha operato la sua innovazione attraverso una profondissima ricerca sulla lingua napoletana, Enzo Moscato ha reinventato un modo di scrivere, soprattutto ha ideato il suo mondo per riscrivere il Teatro napoletano, cambiandone gli orizzonti, modificando i punti di vista. Ha avuto la forza – che oggi risulta essere quasi una prepotenza – di uscire dal manierismo eduardiano, per trovare le sue più intime partenze e i suoi arrivi nei personaggi descritti più che nelle storie raccontate. Archeologo delle viscere più profonde della nostra sapienza, ha creato un linguaggio riesumandolo dall’anima di una lingua che – pur essendo dentro di lui e dentro di noi – avevamo dimenticata; e l’ha fatta esplodere come fa un fuochista con le granate colorate quando in cielo brillano i fuochi riflettendosi a mare. La scrittura inedita e rivoluzionaria di Moscato, «luogo dell’incontro-scontro tra culture diverse», è stata impastata con la carne, con il sangue, lo sperma, l’acqua e la terra della triplice città Althénopis/Partenope/Neapolis: quella esposta alla luce (forse ancora non bagnata dal mare), quella misteriosa del sottosuolo (sempre più nascosta e segreta) e quella invisibile, sporca, oscura dei bassifondi, illuminandola come una tremula fiammella. ma calda, purificatrice, necessaria.

Nel 1986 muore tragicamente, all’improvviso, Annibale Ruccello. La Napoli teatrale e culturale ne è sconvolta. Da poco Isa Danieli aveva portato al successo il suo «Ferdinando» e l’eco della scomparsa di Ruccello fu per Moscato, che fino a quel momento aveva appena seminato i germi della sua nuova poesia teatrale (Festa al celeste e nubile santuario, il lavoro più applaudito) fu ingiustamente oscurato dal risalto che la morte aveva donato al suo amico e collega. I riflettori si accesero su Ruccello morto, discostandosi da Moscato vivo, il quale fu costretto quasi a ricominciare per riconquistare il ruolo che gli competeva. Annibale ed Enzo, figli di una stessa cultura, hanno scelto due strade differenti per parlare di Napoli, Il primo più morbido, il secondo più aspro. Un dualismo che si ripeteva in riva al golfo, dopo che anni prima era stato proposto, in maniera del tutto simile, da Raffaele Viviani e da Eduardo.

A leggere bene la sua opera si può dire che Moscato è stato anche e soprattutto un autore ricco di fedeltà intellettuale nei confronti della propria cultura a cui non ha mancato di restituire sincera riconoscenza. In molti suoi lavori, infatti, si può riscontrare l’allusione, il particolare, il riferimento, l’ispirazione, l’omaggio al teatro di ogni tempo: da Goldoni (Le doglienze degli attori a maschera), ad Artaud (Magnificenza del terrore), da Eduardo (Tà-kài-Tà) a Jerry (Ubu re) e tanti altri commediografi e artisti. Uno su tutti, però, ha segnato il suo percorso di scrittore, quel Pier Paolo Pasolini che riecheggia in ambiente dipinto dalla penna di Enzo Moscato.

Visionario, narratore, ironico, dissacrante, leggero, irriverente, colto cantatore profetico, irripetibile genio libero e signore del dramma, con lui si chiude un capitolo importante della nostra storia teatrale: lo scrivo con dolore e commozione, convinto che la fiammella della sua poesia di scena continuerà a vibrare, illuminandoci di Fantasmi e di Giovani spiriti.

𝑁𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒:
𝑎𝑔𝑔𝑖𝑜 𝑝𝑟𝑢𝑣𝑎𝑡𝑜 𝑎 𝑚𝑢𝑧𝑧𝑒𝑐𝑎̀ ‘𝑎 𝑝𝑎𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒, 
𝑠𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑚𝑒 𝑓𝑎̀ 𝑎𝑣𝑣𝑒𝑑𝑒̀, 
𝑠𝑡𝑎𝑛𝑑𝑜𝑛𝑒 𝑛𝑎𝑠𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜. 
𝐶ℎ𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑐𝑎 𝑙𝑎𝑠𝑐𝑖𝑜 𝑒̀ 𝑙’𝐼𝑚𝑝𝑜𝑠𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒: 
𝑠𝑐ℎ𝑒𝑔𝑔𝑒, 𝑐𝑟𝑎𝑠𝑡𝑢𝑙𝑒, 𝑝𝑖𝑐𝑐𝑜𝑙𝑖 𝑓𝑟𝑎𝑚𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖: 
𝑐𝑎𝑟𝑡𝑒 𝑐’𝑎𝑏𝑏𝑟𝑢𝑐𝑖𝑎𝑛𝑜, 𝑐𝑒́𝑛𝑛𝑒𝑟𝑒 -
𝑝𝑒𝑛𝑧𝑖𝑒𝑟𝑖 𝑐’𝑎𝑏𝑏𝑟𝑢𝑐𝑖𝑎𝑛𝑜, 𝑐𝑒́𝑛𝑛𝑒𝑟𝑒 -
𝑐𝑒́𝑛𝑛𝑒𝑟𝑒, 𝑐𝑒́𝑛𝑛𝑒𝑟𝑒 
𝑠𝑢𝑙𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑐𝑒́𝑛𝑛𝑒𝑟𝑒...

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Enzo Moscato (Napoli, 20 aprile 1948) è morto, dopo una lunga malattia, sabato 13 gennaio 2024, all’età di 75 anni. Intesa la sua attività di drammaturgo: ha lasciato oltre sessanta opere per il teatro, collaborando anche ad alcune sceneggiature. È stato anche attore, soprattutto interprete dei suoi personaggi

Pubblicato anche su Quarta Parete il 15/1/24

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