16 maggio 2024

«Cerniera», testi di Anna Segre

Roma, Teatro Porta Portese
15 maggio 2024

SI PUÒ SCRIVERE UN SORRISO ANCHE COL MOSCONE CHE RONZA

Talvolta anche la critica deve sopportare il peso di un prologo che non sempre si sposa con la performance del palcoscenico. Non è per far polemica, ma è per segnalare quanta poca compostezza si riserva alla fatica di chi sta in scena. A spettacolo cominciato, con l’attrice che già aveva rotto il ghiaccio sotto i proiettori affrontando la platea, al botteghino, nel foyer poco distante dalla sala, separata soltanto da una tenda, una pentola di fagioli ha preso a borbottare profondamente disturbando la concentrazione sia dell’interprete che del pubblico. Dispiace che simile comportamento venga da chi fa parte del teatro. Dispiace pure che ci sia gente che arriva in ritardo pensando di poter far uso delle tonalità casalinghe e della maleducazione che si porta appresso. I ritardatari, infatti, per non deludere la strafottenza che li distingue, accomodandosi in sala hanno preteso anche i posti in prima fila. Et dulcis in fundo, appena seduti, hanno tirato fuori il cellulare. Certuni farebbero meglio a restare prigionieri del tinello a vedere spot pubblicitari.

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Un antico detto partenopeo segnala che l’importuno ronzio di un moscone è portatore di buone nuove, e se questo arriva dopo un minaccioso, quasi drammatico, frastuono di un treno che fugge sui binari andando incontro al destino della sua Karenina, s’intuisce che Anna stavolta è stata graziata: la Cerniera che chiudeva il «corpo vivo» di un naufrago della vita finalmente si apre e i pensieri sgorgano in un tumulto di parole, in singoli versi, in poesie più complesse, in progressive follie. In scena Giuditta Cambieri porta con sé l’ultimo bagaglio poetico di Anna SegreA corpo vivo, edito da Marietti1820 (2023) – e lo riversa in proscenio come fosse una cascata disordinata, assai irruenta, perché Anna, o quel che volete, è piena di vita, una fresca ebollizione di speranza. Nei suoi versi l’ironia diventa essenza palpabile grazie all’interpretazione gioiosa e scanzonata della Cambieri.

Il treno che è passato all’inizio sfiorando la tragedia non torna più; invece, di tanto in tanto, si riascolta il volo del moscone che allieta di novelle il rapporto giocondo che i versi formano e fondono. Allora si capisce anche meglio il titolo: Cerniera diventa sinonimo di legame: che si apra o che si chiuda, una cerniera è l’incastro perfetto di due lembi. Dunque, un amore. Un amore fiero, un amore spavaldo che ha la sicurezza di poter sopportare anche un sano «vaffa». Non si tratta di versi giocosi, ma la Segre sa bene che con i versi si può giocare. E si può scrivere un sorriso, anche se il moscone insiste a disturbare.

La cavalcata poetica è ben sorretta da fondamenta visive, cui Christian Angeli (che ha curato la regia insieme con l’attrice) ha donato la consistenza di oggetti stravaganti al limite dell’eccentrico: c’è un metronomo sospeso, un termosifone, un cappio pronto all’uso, una sedia che diventa una scala, nuvole colorate che somigliano a ragnatele, insomma una ricca fornitura di attrezzeria per mimica e poesia. Giuditta Cambieri, infatti, ne fa un uso poetico, sempre leggero ed ironico, a volte canzonatorio, irriverente, ma affettuoso, cosicché l’oggetto diventa anima e corpo di un sentimento che la poesia dichiara imperturbabile.

In prima fila una poltrona lasciata libera, illuminata, è la voce muta dell’autrice, ma è anche l’altro lembo di una cerniera indissolubile. (fn)
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Cerniera, testi di Anna Segre, interpretati da Giuditta Cambieri. Regia di Christian Angeli e Giuditta Cambieri

Foto: Giuditta Cambieri (© ???)


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