31 maggio 2024

Sala Umberto, la stagione 2024/25

Roma, Teatro Sala Umberto
29 maggio 2024

I TEMPI, ALESSANDRO, I TEMPI

Una famosa battuta di una commedia che fece epoca negli anni Sessanta dice: «I tempi, Ric, i tempi». Scorrendo il programma della Sala Umberto, che il patron Alessandro Longobardi ha presentato martedì 28, di fronte a una platea gremita, quella frase m’è tornata alla mente come un avvertimento; quasi come un’allerta che richiamasse l’attenzione a cercare di individuare, al di là delle parole dette sul palco, la logica della composizione della prossima stagione. L’antica sala di via della Mercede gode di una nobile storia teatrale: lì si esibirono i più eccelsi artisti dell’avanspettacolo e del varietà. I nomi di quei protagonisti oggi sono ben leggibili lungo il corridoio che dall’atrio raggiunge la platea. Dopo gli splendori del periodo d’oro ci fu un immancabile declino: soprattutto quando al sipario si preferì il grande schermo e la Sala fu declassata prima a cinema di seconda visione, poi addirittura alle proiezioni a luci rosse. Infine nel 1981, grazie all’intervento dell’Eti, resuscitò come teatro del centro salottiero della Capitale. In questi ultimi anni, con la scomparsa di molti altri importanti teatri romani, ha avuto l’occasione di poter fare il salto di qualità e imporsi con proposte raffinate, d’élite, potendo finalmente ospitare compagnie di prestigio rimaste orfane delle solite sedi. Tuttavia, a leggere il programma presentato – che conta ben 29 titoli – sembra che si sia fatto un passo indietro. E appare evidente che un certo timore abbia preso il sopravvento.

Longobardi dice che il suo intento è quello di voler dare più spazio ai giovani, di voler aiutare la nuova drammaturgia, di voler lanciare gli attori meno conosciuti: iniziative encomiabili, ma che... magari fossero! Il primo spettacolo in cartellone, per esempio, è un dramma musicale costruito sull’affascinante storia di Beatrice Cenci; colpisce benevolmente l’elenco dei nomi poco famosi degli artefici. Li voglio nominare: Zoe Nochi, Antonio Melissa, Stefania Fratepietro, Lorenzo Tognocchi, Ilaria Deangelis, Paolo Gatti; libretto di Giuseppe Cartellà e Simone Martino che ha composto anche le musiche. Una simile operazione solitamente riesce ad arrivare sul palcoscenico dopo circa un anno di lavoro (se non di più), dal momento in cui è stata completata la scrittura (parole e musiche). Bisogna, infatti, trovare una produzione, selezionare il cast, organizzare la preparazione, ideare una regia, concertare le idee con i collaboratori, poi le prove, le scene, i costumi. Chi ha fatto teatro, in palcoscenico e tra le quinte, sa bene quanta fatica c’è dietro la festa e l’emozione di un debutto.

L’apparato è complesso, e Longobardi, che da qualche tempo è anche produttore, conosce perfettamente i difficili ingranaggi che compongono un allestimento, compresi gli imprevisti. Io sono dalla sua parte quando sento dire che vanno aiutate le compagnie dei talenti più freschi. Sposo in pieno la sua ideologia quando sostiene che bisogna rinnovare i flussi stantii in palcoscenico. Ma resto deluso quando vedo che lo spettacolo tiene il cartellone dall’11 al 13 settembre. Tre repliche. Se i nomi dei protagonisti non sono famosi (e per fortuna in questo caso non lo sono, perché non provengono dal circo televisivo che è garanzia di squallore teatrale), lo spettacolo avrà la possibilità di decollare grazie alla campagna pubblicitaria (che però costa), alle critiche e al passaparola (che invece sono gratuite). Soltanto così si potrà aiutare una compagnia alle prime armi. Soltanto così si potrà regalare soddisfazione a chi ha lavorato oltre un anno per dimostrare le proprie capacità. Non basta mettere a disposizione una ribalta per tre giorni che non servono a nessuno: né al teatro che non avrà il tempo di provare ad ammortizzare le spese di apertura della sala, né ai componenti della compagnia che non ne ricaveranno alcuna autentica gratificazione perché soltanto amici e parenti avranno il tempo di andare ad applaudirli, non ne beneficerà il pubblico a cui non è concesso il tempo di organizzarsi per vedere l’opera, e non ne potrà approfittare nemmeno il critico che, se riesce ad assistere alla prima rappresentazione, pubblicherà un articolo che leggeranno per tempo non più di quattro effettivi spettatori.

Ed ecco che la famosa battuta di quella commedia che fece scalpore sessant’anni fa si potrebbe così rileggere: «I tempi, Alessandro, i tempi». I tempi sono importanti. I tempi rafforzano la qualità. Servono per dar fiducia a tutti. Sono essenziali per costruire il futuro. Sono necessari per far da trampolino alle nuove leve. Indispensabili per consentire anche un ricambio di pubblico e dar credito alle belle e giuste iniziative che Alessandro Longobardi ha annunciato, ma senza l’adeguata dose di pratica convinzione.

Desta, infatti, ancor più sospetto Tanti sordi. Polvere di Alberto, spettacolo dedicato all’icona capitolina cinematografica del Novecento, presentato con ammirevole entusiasmo giovanile da Marco Cavalcoli, Barbara Chichiarelli, Elvira Frosini e Daniele Timpano, tutti sul palco, però in cartellone dal 3 al 6 ottobre. Soltanto quattro recite. E si tratta anche di una coproduzione della casa: quella Viola P. che è proprio di Longobardi! Questo, all’occhio di chiunque, significa fare un investimento nel quale non si ha piena fiducia. Che senso ha produrre un lavoro e poi mostrarlo alla chetichella? L’identico atteggiamento si riscontra per professionisti di ben altra levatura, ma con abitudini prettamente teatrali, che non godono della eco televisiva, con le tre date offerte a Edoardo Sylos Labini (27-29 settembre); i due giorni di Matthias Martelli che presenta il meraviglioso Mistero buffo di Fo (22-23 ottobre); i tre giorni a Peppe Barra; i due al Romeo e Giulietta allestito da Marco Zoppelli; i tre di Antonio Catania; i due a Marco Incudine.

L’attendibilità del mio discorso, che probabilmente non sarà apprezzato, trova credito nel suo contrario: e cioè che a nomi più famosi e più appetibili per il botteghino, dei quali fanno parte artisti di ottima esperienza teatrale (Biagio Izzo, Carlo Buccirosso, Massimiliano Gallo, Paola Minaccioni, Simone Colombari, Max Paiella e Ninni Bruschetta) viene concesso un periodo ben più lungo. Buccirosso addirittura con una doppia proposta: L’erba del vicino è sempre più verde (dal 6 al 22 dicembre) e Il vedovo allegro (1-13 aprile). Si obietterà che Buccirosso fa ridere con la sua leggerezza mentre Gianluca Merolli invita alla commozione portando in scena il dramma di Stella Kowalski (Un tram che si chiama desiderio) di Tennessee Williams.

Capisco perfettamente che l’impresa teatrale (intesa sia come gestione di una sala che come ente produttivo) debba sempre fare i conti con gli imprevisti economici, ma è pur vero che tanto l’impresario quanto il gestore sanno perfettamente di aver intrapreso un’attività ad alto rischio finanziario: occorre saper valutare il prodotto artistico quasi sempre indicato solo su carta e in poche righe, è necessario conoscere il pubblico, le mode, le influenze del momento. Egli è certamente il più esposto allo scivolone. Tuttavia questi rischi non possono essere un motivo per chiudersi in trincea per sventolare bandiere più popolari e scoccare qualche intrepida freccia di nascosto. È apprezzabile ed encomiabile il tentativo di Longobardi di voler lanciare in ribalta Francesco, Maria, Salvatore, Anna, Michele, Valentina, Teresa, Tindaro, Luigi, Tommaso e tanti altri, ma questi non devono rimanere soltanto nomi senza cognome. Hanno tutti il diritto di farsi conoscere e riconoscere (mi raccomando a come si compongono le locandine). Per ottenere che ciò si avveri occorre tempo. E qualche rischio. (fn)
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Teatro Sala Umberto, stagione teatrale 2024/25. Presenta Alessandro Longobardi. Ospiti presenti sul palco: Simone Colombari e Max Paiella, Edoardo Sylos Labini, Gianluca Merolli, Marco Cavalcoli, Barbara Chichiarelli, Elvira Frosini, Daniele Timpano, Francesco Alberici, Marco Zoppello, Antonio Catania, Tommaso Agnese, Giancarlo Nicoletti, Elisa D’Eusanio, Giampiero Rappa, Francesco Di Leva, e con il maestro Attilio Di Giovanni. Interventi video di: Lina Sastri, Peppe Barra, Massimo Venturiello, Paola Minaccioni

 

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