Egidia Bruno |
RACCONTARE NON È RECITARE
Premesso che Egidia Bruno sa stare in scena, premesso che ha una voce educata per catturare la platea, premesso che la sua dizione è più che corretta e a volte anche suadente, premesso che si è molto ben disimpegnata pure in due brevi momenti canori, premesso tutto ciò, va notato subito con dispiacere che nella sua performance, il cui testo è scritto a quattro mani con Alberto Saibene, sono mancati alcuni elementi importanti: il teatro, per esempio, ossia la trasposizione teatrale di un’idea, la struttura teatrale dello spettacolo, la teatralizzazione di un racconto, l’interpretazione e, quindi, la recitazione. Raccontare una storia a memoria, non è lo stesso che recitarla, anche se la si racconta bene, e nemmeno se qua e là si spargono le caratteristiche voci di qualche personaggio che anima la vicenda. Occorre altro, occorre nutrire la storia con l’interpretazione, scioglierla dalla terza persona per darla in pasto al pubblico e ravvivarla con quel vocabolario emotivo che è alla base di ogni opera che si sviluppi in palcoscenico.
Egidia Bruno ci narra una storia vera, la storia di una sua zia, probabilmente, ma questo è poco importante. È invece determinante che il personaggio protagonista sia una donna qualunque, dalla vita comune, senza troppi scossoni, senza grandi aspettative, senza entusiasmi particolari. Una donna, quindi, difficile da portare in scena. La quale nei primissimi anni Sessanta decide di lasciare il suo paese sperduto tra le montagne lucane per andare a cercar fortuna a Milano. Un passo assai coraggioso, per l’epoca, che dimostra grande spirito d’iniziativa, che denota un carattere fermo, nonostante le apparenti timidezze e qualche insicurezza che la sorprendono durante il primo periodo del nuovo soggiorno. Elementi per costruire un personaggio, nella storia, ci sono, ma restano enunciati e mai vissuti in prima persona.
Lei è Rosella – con una esse – e ha perfino paura delle scale mobili, ma cede presto all’acquisto azzardato di un bikini. Non ha difficoltà a trovar lavoro, nonostante abbia soltanto la quinta elementare. È affascinata dalle vetrine, ma teme via Montenapoleone. Dalla fabbrica passa in un’agenzia pubblicitaria. Apprezza la svelta mentalità cittadina, così distante da quella del suo sud dove ciascuno accetta il destino senza mai ribellarsi. Conosce Ferruccio, poi il Gianni, infine convive, ma per poco, con Michele. Le piace Mina che canta «E se domani, e sottolineo se…». E capisce che, da lassù, la parola terroni aveva unificato il meridione più di quanto non fece il Regno.
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