26 maggio 2024

«Diari d’amore» di Natalia Ginzburg

Roma, Teatro Argentina
25 maggio 2024

MORETTI, IL CAIMANO

E così, Nanni Moretti, senza essere né attore, né regista di teatro, «tomo tomo», raggiunge il primo palcoscenico cittadino portando in scena due atti unici di Natalia Ginzburg, che raggruppa sotto il titolo di Diari d’amore. Il motivo dell’improvviso e inatteso atterraggio del cineasta di Bianca sulla ribalta dell’Argentina, come debuttante metteur en scène, lo si potrebbe rintracciare nella fortuna che certi sessantottini, dalla Palombella rossa, hanno seminato in passato, ed ora ne raccolgono i frutti, ma prima che sia troppo tardi; oppure, visto che successi teatrali il nostro Michele Apicella, il nostro don Giulio, non ne ha mai raccolti, lo si potrebbe recuperare nell’abbaglio che il clamore dei suoi lungometraggi ha riscosso in chi rimase affascinato da quella Cosa girata al tempo della «Svolta della bolognina» e da altre opere più popolari. Tuttavia, riuscire a confezionare un film non è la stessa cosa che allestire una rappresentazione scenica (e viceversa), e lo si è visto: la staticità dei due atti è imbarazzante. Ma se il primo Dialogo si svolge in un letto matrimoniale e in parte ciò giustifica l’immobilità della situazione, non si può dir lo stesso per Fragola e panna dove le pecche sono notevoli e diverse.

La Ginzburg, di primo mattino, entra in punta di piedi in camera da letto di una coppia ormai stanca della convivenza, origlia, e ne trascrive il Dialogo. Al risveglio, moglie e marito cominciano a dibattere di piccole cose, delle difficoltà economiche, delle insoddisfazioni reciproche, delle noie presenti e passate che procurano le rispettive mamme, tuttavia le loro parole sono spente, ogni emozione è sopita al limite del ridicolo, mai nulla di vivace trapela nemmeno nelle pause. E quando lei finalmente si decide a confessare di avere un amante, si intravede in lontananza il bagliore della tragedia che però fatica ad accendersi. L’unico momento in cui i due si animano, pur se di fiacco fervore, riguarda la figlia: «Me la porto con me in campagna», dice lei; «No, viene con me a Bologna», ribatte lui. Anni di convivenza sembrano sciogliersi come una pastiglia in un bicchier d’acqua, fino a quando un banale contrattempo annulla tutto e la quotidianità riprende silenziosa e monotona come sempre. Si sbadiglia come se nulla fosse accaduto.

Quando due attori sono bloccati in un letto, la scena è sorretta esclusivamente dalla loro recitazione e l’ottimo Valerio Binasco trova la chiave giusta per continuare a sonnecchiare, quasi in un pigro soliloquio, appena surreale, accompagnando il suo personaggio, sconfitto come uomo e come marito, verso una disfatta che mai sarà. Tira fuori tonalità che ricordano il mondo di Woody Allen: il suo sarcasmo disperato, il suo divertito autolesionismo. Così anche la Marta di Alessia Giuliani, apparentemente svagata, ben si accorda alla comica tragedia che la coppia ormai persegue da lungo tempo. Le sollecitazioni della regia son poche. Certamente non hanno intaccato la bella prova recitativa degli interpreti, ma i due interventi di Concetta, la donna di servizio di cui si ascolta solo la voce, sembrano far parte di un’altra commedia che si svolge in quinta. Tra le due situazioni manca un collante!

In Fragola e panna, invece Moretti offre il meglio della sua inesperienza teatrale, a cominciare dall’idea della scena: una casa di campagna, in quel di Rocca Priora, che sembra una villa di lusso californiana, con due immensi divani posti nell’atrio, uno dei quali copre completamente l’unico mobile dove ci si può rifornire da bere. Sì, avete capito bene: l’unico elemento che attira le azioni dei partecipanti è tenuto ben nascosto! Tutto il resto appare improbabile: perfino la storia risente di incertezze – non so se siano dell’autrice. I tempi non corrispondono alle battute – probabilmente per qualche incauto taglio. Esempio: la serva esce e rientra dopo un attimo raccontando di aver fatto cose che non avrebbe mai potuto compiere in una manciata di secondi, nemmeno se simbolici! E la stranezza si ripete, ancora più eclatante, quando giungono notizie da Roma, di una ragazza appena fuggita dal convento dei Castelli. Dico, le vogliamo dare un tempo più teatrale a questa disgraziata fanciulla per raggiungere, dalla campagna, la capitale, andare a piazza Quadrata e farsi una messa in piega dal parrucchiere? Non è uno stacco cinematografico, è teatro.

La Ginzburg suggerisce, con le battute scritte, attimi di panico. Flaminia, infatti, è vistosamente angosciata dalla presenza in villa dell’ex amante di suo marito, eppure i dialoghi si svolgono come nelle antiche commedie salottiere: tutti seduti tranquilli ad ammortizzare le proprie emozioni sui morbidi cuscini blu del gran divano! Caro Diario, in palcoscenico non esistono i primi piani: il corpo è lì nella sua interezza e deve recitare esattamente come la parlata, anzi deve completarla; il movimento per il personaggio è espressione di carattere oltre che vitale. Si recita con le spalle, con le braccia, camminando, zoppicando, sbattendo il piede oltre che la lingua. Ogni azione corrisponde a una emozione del personaggio, al suo carattere, alle sue paure e alle sue certezze. Se si annullano i movimenti, si cancella gran parte del sottotesto. Non è un caso che soltanto la Tosca di Daria Deflorian riesce a trasmettere l’anima completa di un personaggio; ed è l’unica che, essendo la serva, non può sedersi. Comunque è molto brava e assai spiritosa.

Quel che, però, è davvero scandaloso – e chiedo scusa per il termine ingrato – è che per un’operazione teatrale, nemmeno eccessivamente colossale, ben lontana dall’essere maestosa come quelle che una volta si ammiravano all’Argentina, con sorprendenti cambi di scena a vista, palazzi che crollavano, regni che si aprivano, battelli che fendevano le onde della platea, navi cariche di ciurme, e quante ne abbiamo viste… dicevo, per un’operazione teatrale che conta in scena soltanto cinque attori, un letto e due divani, si siano mosse otto produzioni (italiane, svizzere e francesi), di cui tre Teatri Nazionali, oltre a una collaborazione extra-teatrale:
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale;
Teatro di Napoli – Teatro Nazionale;
Teatro Ert (Emilia-Romagna) – Teatro Nazionale;
Lac Lugano Arte e Cultura (Svizzera);
Chateauvallon-Liberté (Tolone, Francia);
TNP Villeurbanne La Criée (Lione, Francia);
Théatre Nationale de Marseille (Francia);
Maison de la culture d’Amiens (Francia);
e la collaborazione con Carrozzerie n.o.t.

Questa ostentazione di egide, questa profusione di investimenti – che non saprei dire a quanto ammontano – sono una pesante offesa, non solo per i tanti attori nostrani – bravissimi attori diplomati – che preferiscono da sempre il palcoscenico ai più ricchi set di cinema e televisione, ma anche per i registi – veri registi – di teatro, che sanno perfino posizionare un divano o far muovere gli attori in scena. Tutti loro, comprese le maestranze, per realizzare un sogno, troppo spesso, lavorano anche gratuitamente o accettando accordi, con piccole produzioni private, al di sotto della paga sindacale. E quanti faticano anni per trovare una produzione che accetti di collaborare con uno sconosciuto. E allora mi verrebbe da dire: Tu, che ti definisti un autarchico, tu, più che una cosa di sinistra, stavolta hai fatto la parte del Caimano! E comunque, Sogni d’oro. (fn)
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Diari d’amore, due atti unici di Natalia Ginzburg. Regia di Nanni Moretti. Scene, Sergio Tramonti. Costumi, Segoloni. Produzioni: Teatro Stabile di Torino; Teatro di Napoli; Teatro Ert (Emilia-Romagna); Lac Lugano Arte e Cultura; Chateauvallon-Liberté (Tolone); TNP Villeurbanne La Criée (Lione); Théatre Nationale de Marseille; Maison de la culture d’Amiens; in collaborazione con Carrozzerie n.o.t. Teatro Argentina, fino al 2 giugno
Dialogo, con Alessia Giuliani (Marta) e Valerio Binasco (Francesco)
Fragola e panna, con Arianna Pozzoli (Barbara), Daria Deflorian (Tosca), Alessia Giuliani (Flaminia), Giorgia Senesi (Letizia), Valerio Binasco (Cesare)

Foto: Alessia Giuliani e Valerio Binasco (© Luigi De Palma)



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