NON GIOVA LA GIOVIALE SPESIERATEZZA DI MARINA
Che una commedia scritta nel 1959 e che abbia come tema centrale una questione di corna popolari in una Milano di periferia, tipica dell’epoca, possa risentire dei suoi 65 anni, credo sia normale. Il tradimento, travestito da gossip, oggi è argomento di cui si cibano anche i maggiori quotidiani, compreso il sito online del colosso della centralissima via Solferino, e serve per conquistare lettori a buon mercato in cerca di facili occasioni per spettegolare sul «bel mondo» dei vip e non certo per ricavarne lezioni moraleggianti: come invece seppe esporsi, allora, Giovanni Testori con La Maria Brasca.
L’autore, prendendo a pretesto le esuberanze di una giovane donna (la protagonista avrebbe 27 anni) che vive in casa di sua sorella Enrica già sposata e madre, costruisce un appassionato intreccio amoroso tra Maria e Romeo, che presto si macchierà del tradimento di lui con una certa Renata. Non bastano avvertimenti e raccomandazioni da parte della sorella e del di lei marito: consigli che per Maria diventano motivi di paragone tra le corna fresche che le mette il suo innamorato e quelle stagionate che il cognato impone alla moglie.
Nel 1959, quando ancora non esisteva la legge sul divorzio (che arriverà undici anni dopo) e le case d’appuntamento erano da poco state proibite (febbraio 1958), il tradimento dello sposo era purtroppo ancora una prassi familiare molto diffusa in ogni rango: tantissime donne lo tolleravano, proprio perché la frequentazione secolare nei bordelli da parte dell’uomo aveva assuefatto la moglie alla sopportazione di una logora consuetudine. Su questo squallido sfondo sociale, le figure di Enrica, sposata e rassegnata, e di Maria, nubile e ribelle, si fronteggiano con battute avverse, confrontandosi con mentalità e pensieri opposti, sfidandosi di continuo, rasentando più volte la rottura, ma sempre con il fine di difendere l’amor proprio: l’una rinunciando completamente ad avere rapporti con il marito, l’altra ostinandosi a riportare il traditore sulla retta via.
La grande abilità di Testori è stata quella di aver compreso, sin da subito, che il suo testo sarebbe potuto scivolare facilmente nel moralismo. Tutti gli intellettuali hanno bene a mente che i tempi cambiano, e velocemente. Per questo motivo scelse, proprio lui, Franca Valeri, allora quarantenne, quale prima interprete di Maria Brasca, ragazza apparentemente frivola, spiritosa, sempre allegra, ma con uno sguardo illuminato da una fulgida intelligenza e da uno spirito assai sagace. Esattamente come era la Valeri! La regia, allora, era di Mario Missiroli e le musiche di Fiorenzo Carpi.
Nel 1992, quando Testori affidò, per la prima volta, il testo alla cura di Andrée Ruth Shammah, la nuova protagonista contava addirittura 61 primavere: era Adriana Asti, attrice indomita, dal carattere ribelle, di spirito fortemente provocatorio. Esattamente come era l’anima innovativa della sua Maria Brasca! Gli anni di un’artista, soprattutto se donna, solitamente non si sbandierano, ma in questo caso la padronanza e la presenza scenica hanno un valore determinante sull’esito della rappresentazione. Ecco perché furono preferite due attrici di grande esperienza a dispetto della giovane età della protagonista. E la scelta conteneva in sé già una precisa idea di regia concentrata sulla figura di Maria. L’indiscutibile sensibilità ironica della Valeri, la stravagante audacia della Asti disegnavano una Brasca, in entrambi i casi, completamente al di fuori di ogni contesto moraleggiante e soprattutto caratterizzavano una donna proiettata in un mondo futuro e mai circoscritto al presente.
In questa edizione, ancora diretta dalla Shammah, animata dalla evidente fresca leggerezza di Marina Rocco, quantunque brava, Maria Brasca acquista dolcezza e ingenuità, cavalca la tipica gioviale spensieratezza della gioventù, predilige certamente la bellezza e la sensualità, gioca agevolmente perfino con una spudorata innocenza, e purtroppo tutti questi pregi, visivamente gradevoli, non aiutano il testo a scrollarsi di dosso i suoi 65 anni, non riescono ad alleggerire il peso fatuo di una società che non esiste più, non esaltano quella ribellione femminile (che fu necessaria) di cui oggi se ne parla usando il trapassato remoto. E, da divertente contesto moraleggiante, la commedia diventa un consumato manuale moralista. La colpa non è della Rocco, ma di chi l’ha scelta. Di chi ha creduto che il ritratto di una società del 1960 potesse risorgere, vivo e graffiante, proprio come quando l’autore lo scrisse, ponendolo – lui – a difesa di una recitazione, per l’epoca, modernissima e raffinatissima, colta e potente di due giganti del palcoscenico del nostro Novecento.
Foto: Marina Rocco e Filippo Lai (© Lorenzo Barbieri)