VA IN SCENA IL RADIODRAMMA DI MARIA
Oscar de Summa nella sua radiocronaca dell’evento, descrive bene i particolari colorandoli con sprazzi di abile comicità; con grande passione ed entusiasmo cerca di mostrare agli ascoltatori, con le parole, quel che accade lungo il corso di Erchie: dipinge bene i caratteri di coloro che osservano sbigottiti una ragazza che, con una pistola in mano, ha deciso di diventar donna. In un paese del nostro sud, si direbbe: ‘o fatto è gruosso assaje! E la curiosità monta ad ogni dettaglio.
Ma il pubblico degli ascoltatori, caro Oscar (permettimi di parlarti a tu per tu), è seduto in platea; ed è un pubblico teatrale, e vorrebbe che succedesse qualcosa da vedere. Una storia detta tutta al microfono diventa un radiodramma (una specie di teatro che si faceva per radio tanti anni fa). Su un palcoscenico è fondamentale che le storie consistano e si muovano. Un microfono (così come tu l’hai usato) a teatro rappresenta l’esatto contrario: ossia, una fissità inconsistente. Non bastano gli effetti sonori, creati a bocca e deformati da un mixer, ad accendere l’immaginazione visiva dello spettatore che invece continua a vedere davanti a sé, aimè, soltanto una voce. I radiodrammi, oltre ad essere trasmessi a più voci, erano ricchi di queste sonorità. Soltanto la radio consiste esclusivamente della vivacità della voce. Sul palco non bastano nemmeno sporadici disegni proiettati sul fondale per far sentire l’aria di una pièce teatrale. Se tutti quanti noi, in platea, avessimo chiuso gli occhi, aprendo bene le orecchie, non avremmo perso nulla del tuo lavoro, anzi forse avremmo recepito di più, perché maggiormente concentrati sull’udito, senza altre distrazioni. Ma questo non è teatro. Non basta neanche saltare da un microfono all’altro per illudere qualcuno di aver costruito uno spettacolo teatrale.
Foto: Oscar de Summa (© Lucia Baldini)