IL «SISTEMA» IMPONE IL SILENZIO
Non c’è notizia di una versione tradotta in italiano di Afraid to talk, e allora avventuriamoci in un semplice gioco di traduzione, molto indicativo per comprendere l’operazione cinematografica. Nel nostro idioma il titolo della pellicola di Edward L. Cahn sarebbe «paura di parlare» (neanche tanto male, e sembrerebbe perfino inedito!), un timore che però nel film è appena accennato, ma se voltiamo in italiano anche il titolo della commedia di Albert Maltz e George Sklar, da cui il lungometraggio è tratto, allora tutto torna: letteralmente «Marry-go-round» significa «la giostra»: nel linguaggio che meglio s’adatta all’ambientazione del dramma si dovrebbe preferire il termine «il sistema», parola comune ai clan della malavita. Quindi se si tratta di un sistema assai sporco, si capisce bene perché qualcuno abbia paura di parlare e preferisce il silenzio.
Molto importante individuare il periodo a cui si riferisce la vicenda che coinvolge gangster e amministratori comunali. Siamo tra il 1930 e il ‘31, quando il proibizionismo si accavalla con la grande depressione (il 29 ottobre 1929 ci fu il drammatico crollo della borsa americana) e le bande malavitose avevano il controllo totale sulla distribuzione delle bevande alcoliche, arma di ricatto per coinvolgere le autorità cittadine che, oltre a essere lautamente remunerate per chiudere gli occhi, sottobanco pure non disdegnavano divertirsi nei music hall, dove tra donne e whisky la vita poteva sorridere anche a un triste impiegato del comune. Il sistema dei gangster funziona a perfezione!
Lo sfondo su cui si articola la storia di una città senza nome è molto chiaro: tra la popolazione che non ha soldi sufficienti per campare e già soffre la fame, il sindaco uscente sta per ricandidarsi e ha bisogno di voti sicuri che cerca di recuperare tramite il rappresentante del suo partito; ma l’omicidio di un boss, commesso in un grand hotel, porta lo scompiglio. Unico testimone dell’assassinio, un bell-boy che si trova casualmente nella stanza. Portato al commissariato ha paura di parlare, ma gli agenti lo convincono a indicare il colpevole. Si tratta di Jig Skelli, boss rivale del morto, che così prenderebbe in gestione anche i locali che fino a quel momento erano di competenza dell’altro. Il procuratore immediatamente lo arresta, e i voti a favore del sindaco aumentano, ma spuntano fuori alcuni documenti che provano la corruzione di tutti i rappresentanti delle istituzioni. Skelli usa l’arma del ricatto per tornare in libertà. Resta, dunque, un colpevole da mostrare alla cittadinanza: sotto le elezioni la polizia distrettuale non può lasciare libero un assassino. Il capo del partito riporta al sindaco i dati dell’immediato calo del numero di elettori. Il sistema degli amministratori vacilla!
Occorre trovare una soluzione e il giovane cameriere, da eroe dell’onestà, in poche ore, diventa un criminale. Il sistema adottato dalle massime autorità cittadine (sindaco, procuratore, questore, giudici e avvocati) sembra ritrovare il giusto equilibrio per sposarsi perfettamente con quello dei fuorilegge, ma l’imprevedibile accade e la giustizia trionferà.
In un quadro di sfida al codice della censura, l’opera di Cahn fa breccia su tutti i principi generali: gli standard morali vengono infranti; così come la Legge è messa in ridicolo e le autorità che la rappresentano vengono dipinte alla stessa stregua dei banditi. Non basta il colpo di coda del lieto fine per risollevare le sorti legali di una pellicola che ha palesemente denunciato le attività illecite della malavita e la costante e crescente complicità del potere colluso. Addirittura il procuratore, con velleità di governatore, oltre ad essere tra i maggiori invischiati, diventa l’amante di una delle donne del clan, prima di essere trucidato.
Foto: (da sin) Tully Marshall, Eric Linden e Frank Sheridan