GIUSTIZIA PER SAMIR, PRIMA CHE LE FIAMME SI SPENGANO
Un quadro amaro sui costanti abusi inflitti alle comunità degli immigrati in Europa
Mehdi Fikri non fa riferimento a un singolo caso specifico accaduto nelle cronache degli ultimi anni, perché fin troppi simili episodi si ripetono in Francia come nel mondo. Da noi, ricordiamo Stefano Cucchi, ucciso dalle forze dell’ordine nel 2009, una morte da subito sospetta a cui seguì il solito tentativo di insabbiamento delle prove e quindi una lunghissima causa che ottenne parziale giustizia soltanto quando raggiunse il terzo grado in Cassazione. Di quell’omicidio ne fu fatto un film, dopo che per anni la sorella si impegnò in una guerra giudiziale contro l’Arma dei Carabinieri.
Anche in Avant que les flammes s’éteignent, opera prima di Fikri, c’è un ragazzo morto, ucciso dalla polizia, e una sorella che cerca ostinatamente la verità e chiede giustizia. Tuttavia a fine proiezione una didascalia avverte che si tratta di una storia non vera, ma «basata sulla reale battaglia di molte famiglie», perché – a differenza del dramma che coinvolse Cucchi – qui ci troviamo nella periferia di Strasburgo, nel quartiere degli immigrati, quasi tutti musulmani, tra squallidi caseggiati popolari, freddo e neve, e soprattutto un bel po’ di nulla da fare. La gente fatica a trovare lavoro per guadagnare qualcosina: la vita non sembra molto piacevole, ovvio che cercare un po’ di droga diventi il «passatempo» preferito dei più giovani.
Guardando le prime immagini, assai stridenti, che mettono in risalto il carattere di un popolo relegato in un ambiente sbagliato, la sensazione giunge forte in sala e ci si chiede: ma perché questa gente deve vivere lì? In una terra che mai potrà sentire come propria? Con uno stato d’animo costantemente lacerato dalla percezione di sentirsi ospiti, ognuno sempre guardato con sospetto dalla polizia? Perché tutto questo? Anche i più giovani, i più imbarazzati da questo controllo asfissiante e mortificante, quelli di seconda generazione che sono nati lì, e sono francesi a tutti gli effetti, non riescono e non possono inserirsi serenamente in una società che mantiene vive troppe differenze e troppe diffidenze: abitudini, lingua, musica, educazione, oltre che la religione (che forse è il motivo meno incombente in certe comunità). La sensazione dello spettatore (quella recepita dal sottoscritto) è, per fortuna, sostenuta più avanti da uno scambio di battute dei personaggi. Uno di loro innesca l’argomento: «Come possiamo star bene in un posto che non ci appartiene, se siamo cresciuti nella mentalità che bisogna ritornare a casa nostra? Siamo tutti figli di coloro che sono venuti qui per trovare agio, ma ci hanno sempre detto che casa nostra è da un’altra parte e che lì dovremo fare ritorno. Come facciamo a vivere in questa confusione.» Ecco, credo sia qui condensata la più profonda ingiustizia creata da questa vagante marea umana che noi chiamiamo con molta superficialità immigrazione, ma che invece, all’occhio di Fikri, giustamente, è soltanto un fenomeno di confusione scellerato che non meriterebbe d’esistere. Un fenomeno da noi creato sulla disperazione di altri. Siamo noi che per interessi non abbiamo sedato le prime fiamme che s’erano accese.
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Avant que les flammes ne s’éteignent (Prima che le fiamme si spengano), un film di Mehdi Fikri (Francia, 2023), con Camélia Jordana (Malika), Sofiane Zermani (Driss), Sofian Khammes (Adel), Sonia Faidi (Nour), Louise Coldefy (Estelle), Makita Samba (Harchi). Sceneggiatura e regia, Mehdi Fikri. In concorso alla XVIII Festa del Cinema di Roma. Auditorium, Parco della Musica, Sala Petrassi, 24 ottobre
Foto: Sofiane Zermani (Driss) e Camélia Jordana (Malika)
Pubblicato anche su Quarta Parete il 24/10/23