DOPO 120’ DI BLACK ASSOLUTO ARRIVA BEETHOVEN
Riunione condominiale con morso all’orecchio
Quando i titoli di coda introducono il secondo movimento della Nona di Beethoven, in sala, si avverte finalmente un sollievo «Molto vivace». Ma è già tardi, purtroppo! Un film che si autocelebra con una musica tanto immensa dovrebbe essere paragonabile almeno a un capolavoro. Non è così. Eppure, sulla sinossi pubblicata sul programma del Festival, si legge: «… che cita esplicitamente La finestra sul cortile». Saremo buoni e non lo diremo né a Hitchcock, né a James Stewart e nemmeno a Grace Kelly, ma Black box è ben lontano dall’essere un film apprezzabile. Non ci si aspettava, certamente, che una regista tedesca (di origine turca) pretendesse di illustrarci come funzionano le riunioni condominiali. In tema, finora, il migliore esempio cinematografico, il più esplicativo in materia, il più ironico e surreale, resta quello di Paolo Villaggio con «Fantozzi subisce ancora» del 1983. Da allora molti altri tentativi sono stati fatti, ma di uno come questo, grossolano e inutilmente drammatico, scritto e diretto da Asli Özge, se ne poteva fare a meno.
Benché si tratti di un incontro condominiale involontario, non ufficiale, ma determinato da esigenze di sicurezza antiterroristica, i condomini di un edificio piuttosto trascurato, al centro di Berlino, si ritrovano quasi tutti assemblati in cortile, con la polizia che non li fa uscire dalla proprietà e li trattiene per varie ore finché il pericolo terroristico non venga eluso. Nella clausura coatta, mentre qualcuno rimpiange la detenzione adottata durante la pandemia, altri si danno da fare per sistemare al meglio i bidoni dell’immondizia. Ogni discussione condominiale comincia dalla spazzatura per poi salire in alto fino all’attico e alla soffitta disabitata, e infine ridiscendere giù negli scantinati e accorgersi dei pilastri pericolanti o addirittura (come accade nel film) già crollati. Ogni particolare è tutto già noiosamente archiviato nei verbali delle assemblee di condominio dalle quali siamo ossessionati, ma ieri sera l’abbiamo rivissuto al cinema senza nemmeno l’artifizio dell’ironia e del sarcasmo che avrebbe reso l’argomento più appetibile e ridanciano.
La Özge – presente in sala – ha portato la telecamera all’interno di qualche appartamento, smascherando così anche alcune incomprensioni familiari, ma nulla di nuovo né di eclatante. In salle de bain si è soffermata sulla mancanza degli assorbenti. In sala da pranzo su un bambino che fa la pipì nel vaso di una pianta. In soffitta ha scoperto un cadavere, morto da poco, che però non si sa chi sia e non si sa perché sia morto e cosa c’entri col condominio. In un’altra toilette, con la parete tappezzata dal più classico dei Mondrian, si nasconde il presunto terrorista che viene arrestato soltanto perché trovato in possesso di alcuni striscioni di carta esposti, durante una precedente manifestazione, contro il dominio di Putin.
Foto: Luise Heyer e Jonathan Berlin «Black box» di Asli Özge