NAT ALLE PRESE CON L’ISTINTO SESSUALE CHE CONDUCE AL SENTIMENTO
Si potrebbe definire «povero ma intenso» il film della spagnola Isabel Coixet, presentato in concorso alla Festa del Cinema. Un amor, tratto dal libro di Sara Mesa, si svolge in uno squallido villaggio di campagna, abitato da una decina di persone, non di più, dove tutti si conoscono e ciascuno, pur non volendo, sa ogni cosa dell’altro. L’impossibilità di evadere da questo microcosmo costringe la vicenda a rimanere chiusa in un recinto: ecco perché è povera. D’altro canto, invece, la storia è abbastanza strutturata e i personaggi ben delineati, se non fosse per quel padrone di casa (Luis Bermejo) dichiaratamente descritto in maniera eccessiva come «perfido e cattivo» sin dalla prima battuta. È lui che accoglie Nat (Laia Costa) in un piccolo casale diroccato, pretendendo l’affitto ma rifiutandosi di riservare un ambiente decente alla ragazza. Il tetto è rotto e pieno di infiltrazioni che, quando piove, sembrano cascate. I rubinetti perdono acqua e il bagno è inesistente: eppure non siamo nella giungla e nemmeno in tempi troppo antichi. È una storia contemporanea, e tali premesse la rendono un po’ sbilanciata.
Nat lavorava all’Ufficio immigrazione come interprete. Conosce molte lingue base e anche qualche dialetto africano, e quando si rende conto che le sue traduzioni simultanee possono essere determinanti per l’avvenire di un immigrato, allora si sente assalita dal peso di una responsabilità insostenibile e fugge via. Si ritira in questo villaggio, lontano dalla città, e affronta con riluttante disinvoltura una nuova vita, dove inizialmente è convinta di poter essere responsabile soltanto di se stessa, ma ben presto, sia le esigenze di comunicazione che i più naturali istinti, la spingono a relazionarsi col prossimo e a dover affrontare una serie di rapporti e di scelte dalle quali lei si sente soffocare.
Ogni parola sembra che la esponga troppo, e quindi, anche durante una semplice cenetta tra vicini, preferisce rinchiudersi in un mutismo difensivo e sbriciolare il pane. Osserva meticolosamente tutti coloro che la circondano scoprendo che la persona più affidabile e disinteressata è un’anziana signora malata di demenza senile. Nell’isolamento, anche un po’ isterico, che Nat si è creata in questo brullo paesaggio campagnolo il suo unico amico è un cane randagio, terrorizzato dalle trascorse esperienze, che lentamente ritrova fiducia nella nuova padrona. Esattamente come fa lei con lui.
Una sera Andreas (Hovik Keuchkerian), burbero tedesco (che poi non è teutonico, ma di origini armene), le offre la possibilità di uno scambio alla pari: «Io ti riparo il tetto e tu vieni a letto con me». Una proposta, che, per quanto sia dichiarata in maniera civile e sincera, per Nat è inaccettabile. Tuttavia non aveva ancora fatto i conti con il suo corpo; con gli istinti che esso ora reclama. Le vengono in soccorso alcuni scritti di Simone Weil (i cosiddetti Quaderni) che sta traducendo per una casa editrice. Compito della filosofia è certamente quello di consigliare l’uomo a comprendere il mondo in cui si trova, mostrandogli, se possibile, alcune indicazioni sul modo per vivere meglio. Da questa constatazione, Nat scopre il momento delicato della sua esistenza, e nelle parole della Weil percepisce che, solo attraverso il corpo, l’essere umano sente il contatto con il mondo esterno. Solo così l’inadeguata proposta di Andreas potrebbe diventare l’unica realtà possibile.
Foto: Laia Costa è Nat in «Un amor» di Isabel Coixet (© ???)