UNA DOLCEZZA SPERDUTA NEL GRIGIORE INGLESE
Il regista si lascia affascinare dalla solitudine ma confonde la lotta tra bene e male
Nel 1928 Victor Young compose una canzone dal titolo Sweet Sue (parole di Will J. Harrisand): da allora il brano è stato riproposto con un centinaio di diversi arrangiamenti, tra i quali Bing Crosby e Benny Goodman nel periodo d’oro del jazz, fino a Red Richard e Johnny Williams negli anni Ottanta. Segno evidente che la dolcezza è sempre la benvenuta, in ogni epoca. E Sue, Sweet Sue, la protagonista del film di Leo Leigh, infatti, pare una creatura senza tempo, legata al presente come al passato, con uno sguardo sereno già volto al futuro. La sua benevolenza verso il prossimo e la disponibilità a nuove conoscenze ed esperienze non alterano l’eternità di un sentimento di cui a volte potremmo avere bisogno.
Un sentimento di cui anche lei va alla ricerca e del quale sente la mancanza soprattutto, quando va in visita alla vecchia madre, per esempio, o quando resta sola seduta in un ristorante in attesa di qualcuno che non arriverà. Leo Leight pone al centro della vicenda una donna non più giovanissima, ma con un gran cuore (e l’amabile viso di Maggie O’Neill), ma poi si trova a dover fare i conti con il mondo che circonda Sue: e ne nasce una continua collisione tra bene e male. Perché nessuno è dolce come lei. Soltanto Ron (Tony Pitts) capisce il valore di questo raro afflato, ma abituato com’è a trattare con la parte predominante, non sa come trovare i modi sinceri per restare accanto a Sue. Lui è in difficoltà, si chiude nel mutismo, a volte imbarazzato ma sempre attratto da Sue, una donna davvero speciale, pronta a rendersi disponibile anche nei confronti di Anthony (Harry Trevaldwyn), il figlio di Ron, un ragazzo ossessionato dalle visualizzazioni dei video che pubblica sui social con le sue confessioni bizzarre ed eccessive, ossessionato dai soldi (è l’amante di un vecchio ricco signore che beve champagne), ossessionato dal lifting e da tutte le sciocche apparenze che circondano i giovani; arriva perfino a scambiare l’esigenza di scattare un selfie per la fatica di un lavoro professionale! La nostra Sue si trova a dover convivere quotidianamente con questo male generazionale che non è rappresentato solo da Anthony.
Foto: Maggie O’Neill è «Sweet Sue», film di Leo Leigh