TRA L’AUTORE E L’ATTORE C’È DI MEZZO UN REGISTA
Quest’anno, dopo 22 edizioni curate da Rodolfo di Giammarco, il testimone di «Trend. Nuove frontiere della scena britannica» è passato a Carlo Emilio Lerici. Finora ho visto due spettacoli su quattro della annuale rassegna del Teatro Belli, e il livello della drammaturgia mi sembra molto inferiore rispetto al passato. Una forte insoddisfazione femminile lega il testo della Causer a quello di Penelope Skinner. Sia il raccontino declamato al pubblico quanto la sterile regia sono il comun denominatore visivo dei due monologhi. Ma lasciamo stare il primo, già recensito qualche giorno fa.
Fucked è un titolo che, ancora oggi, fa rumore: forse in Italia più che in Inghilterra. La protagonista sigla il suo nome soltanto con la F, che da noi starebbe per fottuta: dalla vita s’intende, ma anche perché ha imparato presto a concedere le sue grazie, ché tali restano anche se fott… abusate. Se un secolo fa (1925) un certo K fu arbitrariamente condotto in un’aula di tribunale per essere processato senza motivo, in F i sensi di colpa sono talmente assillanti che, a soli 19 anni, sente la necessità di autoprocessarsi senza appello davanti alla corte di una platea. Sesso e cocaina sono le prove schiaccianti dell’accusa. Inoltre, una serie di date scandiscono i passaggi, per lei incriminati, risalendo a ritroso nel tempo fino al giorno in cui perse la verginità a tredici anni.
Però, se tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, tra l’autore e l’attore c’è di mezzo un regista. E se il mare talvolta si ribalta a tempesta a causa del vento, il regista la tempesta se la crea da solo. Il testo – l’abbiamo detto in apertura – non è dei più riusciti, tuttavia, c’è materia per ricavarne un ritratto drammatico: la disfatta di una ragazza ancor giovanissima che ha già abbandonato i suoi sogni e che ha perso ogni fiducia per tentare di recuperarli, non è argomento da sottovalutare. Per di più nelle note di regia si legge che nel brano c’è anche «una delicata riflessione sul mastodontico ruolo del senso di colpa delle vittime in situazioni di abuso». Dunque a Martina Glenda non è sfuggito il particolare più importante; ha intuito che sarebbe stato questo il tema centrale del monologo. Eppure ha impostato la recitazione dell’attrice pigiando il pedale del comico (mal riuscito!), optando per la simpatia partenopea dell’interprete, per la leggiadria giovanile di Chiarastella, per la sua eleganza, per il suo essere «di buona famiglia», tutte ineccepibili qualità della Sorrentino, ma non del personaggio che invece richiedeva l’esatto contrario.
Trend. Nuove frontiere della scena britannica (XXIII edizione). Rassegna teatrale a cura di Carlo Emilio Lerici. Al teatro Belli fino al 17 novembre
Foto: Chiarastella Sorrentino (© ???)