UNA REGIA SUGGERITA DAL CARATTERE BRIOSO DELLA HACK
Ci sono spettacoli che nella loro semplicità trovano un equilibrio perfetto tra la scrittura e l’interpretazione, tanto da radunare, nella platea gremita della Fortezza Est a ridosso della Casilina, un pubblico sia di adulti che di giovanissimi. Un simile equilibrio in scena non è mai casuale, ma merito dell’attenta regia di Marco Usai che cura la realizzazione di un suo testo apparentemente «sgangherato», cioè composto da singoli episodi sciolti, che però, ricuciti insieme, restituiscono integra la vita di Margherita Hack, geniale astrofisica morta nel 2013 all’età di 91 primavere (era nata nel 1922 a Firenze), fino al 1964, anno in cui conquistò la direzione dell’Osservatorio di Trieste.
La scrittura di Margherita tra le stelle – da non confondere con «Margherita delle stelle», film andato in onda sulla Rai nel marzo scorso – sembra essere ispirato (ma le note di regia non lo specificano) dal libro autobiografico «Nove vite come i gatti», eppure il testo per la scena viene trattato come un veloce e scattante ripasso di appunti rubati durante una lettura. Grazie a un ritmo incessante, non si avvertono mai lentezze narrative, anzi tra un episodio e l’altro, spesso volutamente manca un anello di congiunzione per snellire i tempi della rappresentazione.
Davanti agli occhi degli spettatori sono gli effetti di luce e i rapidi cambiamenti di costume dei quattro interpreti che suppliscono a queste necessarie piccole mancanze di scrittura; sono i tempi di recitazione che sfumano un quadro per accenderne subito un altro, senza legarli direttamente; ma, grazie a un serrato montaggio quasi cinematografo, le sequenze si susseguono briose e divertenti. In scena soltanto pochi elementi, alcuni simbolici, altri più realistici: la bicicletta, per esempio, è vera, ma l’automobile è soltanto un volante. Una cassa contiene alcuni oggetti pronti a saltar fuori al momento giusto, altri vengono introdotti all’occorrenza dagli attori. Valeria Romanelli è la Hack che dopo la maturità classica si iscrive all’università, per poi volare in America in cerca di affermazione.
Margherita è una ragazza vivace e ribelle, estroversa e solare, e la regia pare essere stata suggerita dal carattere della protagonista, sempre frizzante ed energica, anche nei momenti malinconici o di sconforto. È lei – la bravissima Romanelli – che conduce il gioco teatrale come un direttore d’orchestra: con battute precise e ritmate impone i tempi degli ingressi ai suoi colleghi, i quali di volta in volta si alternano nei più svariati personaggi. Un paio d’occhiali, un cappello, la parlata leggermente camuffata, la camminata modificata e la trasformazione diventa subito illusione. Se gli attori sono bravi e i ritmi non offrono al pubblico motivo di pensare ad altro, l’inganno è al sicuro e il successo garantito dalla predisposizione della platea.
Posti in piedi, pubblico seduto a terra, a due passi dagli interpreti, eppure dopo poche battute eravamo tutti rapiti e concentrati sulle vicende di Margherita Hack, alle prese con le autorità fasciste, con i professori dell’università, con le invidie dei colleghi di lavoro, e soprattutto con le difficoltà che, negli anni Cinquanta e Sessanta, doveva affrontare una donna intraprendente e incapace di piegarsi a un sistema sociale ancora troppo maschilista.
Il meccanismo costruito da Usai impiega altri tre interpreti. Egli stesso, concentrato soprattutto nella parte di Aldo, marito e grande sostenitore della donna, ma pronto a rivestire anche ruoli minori. Chiara Tomei, a mio parere la migliore della compagnia, eclettica e cronometrica: non perde un colpo nel mostrare le innumerevoli caratterizzazioni, non sono riuscito a contare tutti i suoi camuffamenti. Teo Guarini, impeccabile e camaleontico, si adopera per completare il lungo catalogo dei personaggi, italiani, francesi, americani, dislocati in tutto il mondo. Chi ha che fare con le stelle ha anche l’abitudine a stabilire un rapporto spazio/tempo, così ecco arrivare dall’antichità Galileo con Aristotele in una accesa disputa sul centro dell’universo.
Foto: Valeria Romanelli e Chiara Tomei (© L. Fabriziani)