LA TRAGEDIA DI SAN SIRO DELL’89 È ORA RACCONTATA ALLO SPAZIO DIAMANTE
Grande soddisfazione ieri sera in via Prenestina per Pino Le Pera che ha inaugurato lo Spazio Diamante di Alessandro Longobardi. Tre sale, finalmente completate, aperte a tutte le discipline dello spettacolo, ma concentrate soprattutto sul teatro e sui giovani. Un luogo alternativo che può ospitare fino a 360 spettatori. L’onore di battezzare la stagione è toccato a Giampiero Cicciò, direttore artistico, del Festival inDivenire, giunto alla quinta edizione, il quale ha presentato lo spettacolo vincitore del Premio del pubblico: Il cuore debole di Antonio, scritto da Simone Giacinti. Una drammatica storia intorno al mondo del calcio.
Testo a tinte giallorosse che si propone di ricordare Antonio De Falchi, il diciannovenne che il 4 giugno 1989, nel piazzale dello stadio di San Siro, fu ucciso a calci e pugni da un gruppo di teppisti rossoneri. La partita era Milan-Roma, il campionato era ormai agli sgoccioli. Il Milan aveva appena vinto la Coppa dei Campioni a Barcellona e sarebbe stata quella l’occasione per festeggiare, ma un’ora prima dell’inizio della gara quattro tifosi romanisti furono avvicinati da un branco di malintenzionati: Fabrizio, Alfredo e Angelo riuscirono a scappare, Antonio restò a terra, ebbe la forza di rialzarsi, ma stordito dalle percosse, dopo pochi passi, ricadde al suolo quasi esamine. Inutile fu la corsa all’ospedale. Il medico dichiarò che Antonio era morto perché aveva il cuore debole.
Era la Roma di Voeller, di Giannini, di Nela. Era la Roma di Liedholm e di Viola. Era la Roma dei Feddayn, il gruppo degli ultrà che all’Olimpico seminava il terrore per l’abbigliamento mascherato e per gli incitamenti minacciosi, ma Antonio e i suoi amici non appartenevano a nessuna brigata. Erano quattro ragazzi di Torre Maura. Decisero di seguire la squadra del cuore per la trasferta milanese: sciarpe al collo e zainetto coi panini. Si va e si torna lo stesso giorno, col treno speciale organizzato per isolare il viaggio dei tifosi. Sono partiti in quattro, ma sono tornati in tre e col cuore spezzato.
Simone Giacinti racconta il dramma di Antonio come fosse un interrogatorio in questura. È Roberto (i nomi dei ragazzi nel testo sono fantasiosi) che risponde alle domande delle autorità e descrive il momento della partenza per Milano, traccia il ritratto degli amici, ricorda i loro incontri domenicali a casa di Antonio che aveva la radio per ascoltare Tutto il calcio minuto per minuto con le voci di Enrico Ameri e di Sandro Ciotti. C’era er Secco sempre scontroso e pronto al litigio cor Pecorella che cacagliava, s’intoppava con le parole, balbettava, e poi c’era Antonio, più taciturno ma gentile e premuroso, e poi, di là in cucina, c’era mamma Esperia che … per anni, dopo la morte del figlio, è stata adottata come la mamma della Curva Sud.
Il racconto di Roberto ha il pregio di essere interpretato da Flavio Francucci che si rivolge direttamente al pubblico nel quale vede il commissario che lo interroga, ascoltatore attento. Flavio è convincente sin da subito; si percepisce in lui un’emozione che monta gradualmente; si dibatte con scioltezza tra l’impaccio per la confessione e il dolore per il ricordo dell’amico scomparso; gestisce bene anche le eruzioni di goliardia nel quale si rifugia nei momenti più critici. È lui che tiene la scena dall’inizio alla fine restando incollato davanti agli spettatori e tenendoli tutti a bada. Davvero bravo!
Giacomo Bottoni (Er Secco) e Simone Giacinti (Pecorella) si limitano a spalleggiarlo con brevi flashback, talvolta un po’ ripetitivi, talvolta eccessivamente caratterizzati. Giovanni Bonacci (Antonio) è un’ombra tra di loro: la sua anima partecipa all’affetto degli amici, ma lui non parla, non c’è, non c’è più. Questa è la migliore intuizione registica di Francesco Giordano che fa muovere Antonio al servizio della scena, come fosse lui a far rinascere i ricordi nella memoria di Roberto. Sul fondo, tra quattro sedie che di volta in volta formano i diversi ambienti, un pannello su cui scorrono alcuni disegni che simboleggiano spazi e tempi della narrazione. Salta all’occhio la riproduzione in miniatura della maglia della Roma con il numero 3: particolare commovente per chi sa che fu quella di Sebino Nela, il quale la lanciò ai tifosi al termine di una partita, un paio di mesi prima della tragedia di San Siro. Quella maglietta, per caso, finì il suo volo nelle mani di Antonio De Falchi.
Foto: Giacomo Bottoni, Simone Giacinti, Flavio Francucci e Giovanni Bonacci (© ???)