Elisabetta Pozzi e Tullio Solenghi |
SOLENGHI FA RIVIVERE LA MASCHERA DI GILBERTO GOVI. UN TRIONFO
E la Giggia – enciclopedica lei! – lo corregge con piglio: «Raggi ultraviolenti».
Steva, che a Genova è il diminutivo di Stefano, e Giggia, in scena, sono marito e moglie, ma molti anni fa lo erano anche nella vita. Lui si chiamava Gilberto Govi, lei Rina Gaioni (detta Gigia), e insieme hanno rappresentato per oltre mezzo secolo il teatro comico dialettale di Genova. Delle opere di Govi, per fortuna, restano alcune riprese televisive, di cui I maneggi per maritare una figlia, è il pezzo forte (oggi si trova anche in internet). A quasi 60 anni dalla morte del grande attore, Tullio Solenghi, genovese doc, rende omaggio a Gilberto Govi: sceglie la Giggia migliore su piazza, Elisabetta Pozzi, anche lei nata sotto la Lanterna, e il risultato è sorprendente: una grande lezione di teatro. Di vecchio teatro, qualcuno dirà: sì, certo, ma fatto bene. Che dico, benissimo.
Solenghi, che da bambino rimase folgorato dall’interpretazione del padre del teatro genovese, e ammette con candore che fu sua la «colpa» se poi ha deciso di far l’attore, ripropone I maneggi di Nicolò Bacigalupo esattamente come Govi la portò in giro per il mondo per molti anni. La scena (qui firmata da Davide Livermore) è quasi la stessa, i movimenti pure, la parlata leggermente addolcita (ma forse solo perché proposta al pubblico di Roma), l’animo dei personaggi è identico, e soprattutto c’è una precisa corrispondenza dei tempi di recitazione. Altrimenti non si ride. Invece, Solenghi – regista – ha cercato, riuscendoci, di ritrovare nella sua compagnia l’equilibrio perfetto tra tempi e intonazioni per far ridere. La coppia Solenghi-Pozzi, con tutti gli altri, è ottimamente assemblata e le risate non mancano. Anzi, era molto tempo che non si rideva così di gusto in teatro.
Il testo di Bacigalupo non è una commedia, ma una farsa (come quelle napoletane di Petito, di Altavilla, fino a Scarpetta) e l’unico scopo della farsa è far ridere. La farsa – occorre dirlo per non esser fraintesi – ha regole differenti dagli altri allestimenti. La battuta deve arrivare diretta agli spettatori, che in questo caso devono vedere l’espressione di reazione dipinta sul viso dell’attore, il quale non può permettersi di rubare un tempo per voltarsi alla platea (altrimenti la risata è persa); ed ecco che, in gran parte, la recita è diretta al pubblico. E Solenghi ne offre un esempio matematico del consorte rassegnato, impotente e vittima dei maneggi di una moglie ingombrante e difficile da gestire; motivo per cui cerca, al di là della quarta parete, con stupore l’avallo poetico dell’immaginario per regalarsi una vaga soddisfazione. Nella farsa i toni di voce spesso sono esagerati, a volte sembrano addirittura esasperati, per accentuare il mordente del personaggio, e la Pozzi s’è dimostrata magistrale nella caratterizzazione comica di Giggia matriarca, dominatrice del marito e regina della casa e delle illusioni.
Sono marito e moglie che vivono ormai il loro rapporto nella simbiosi della schermaglia quotidiana, fatta di battibecchi sulle cose più futili, come la storica gag della gassetta e del pumeo (l’asola e il bottone), di piccole bugie, di malintesi, di contraddizioni, di equivoci verbali, tutti elementi che servono ad arricchire la farsa, a renderla spassosa e spensierata, a far divertire il pubblico. Questa è la missione di chi scrive farse e di chi le porta in scena.
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I maneggi per maritare una figlia di Nicolò Bacigalupo, Con Tullio Solenghi (Steva, alias Gilberto Govi), Elisabetta Pozzi (Giggia), Stefania Pepe (Cumba), Laura Repetto (Matilde), Isabella Loi (Carlotta), Federico Pasquali (Cesare), Pier Luigi Pasino (Pippo), Riccardo Livermore (Riccardo), Roberto Alinghieri (Venanzio). Scene e costumi di Davide Livermore. Trucco e parrucco di Bruna Calvaresi. Regia di Tullio Solenghi. Teatro Quirino, fino al 14 aprile
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