Friedrich Nietzsche |
UNA IMPORTANTE POSTILLA FILOSOFICA
Mentre cerco ancora di smaltire i postumi di una fulminante influenza che da qualche giorno mi costringe ai domiciliari, sono riuscito a decifrare uno degli ultimi scarabocchi che, nell’oscurità della platea, avevo appuntato sul taccuino durante la recita. Ciò avveniva per lo spettacolo di Michele Sinisi: I masnadieri di Schiller. Già recensito. Su carta avevo riportata la frase di Karl che urla all’autorità clericale: «Il mio pulpito è la vendetta», tralasciando l’ultima parola segnata, ché non capivo più, perché – come canzonava mia madre quando andavo a scuola – sono un asino per natura! Stamattina, invece, in quel geroglifico incomprensibile, all’improvviso, è apparso chiarissimo, come una falce di luna nel cielo terso, il nome di Nietzsche, e la mente s’è illuminata dello stesso pensiero partorito, quando, nella foga recitativa di Paternoster, avevo notato il salto temporale che Sinisi proponeva per dare un senso logico all’insubordinazione della masnada dei ribelli di Schiller.
Abbiamo già detto che l’opera dei Masnadieri vide la luce tra il 1777 e il 1780, mentre Nietzsche nacque nel 1844; e quando il Karl Moor di Sinisi pronuncia il nome del filosofo, è ovvio che si faccia un sobbalzo sulla sedia: che è la reazione che il regista si aspetta dal pubblico. Purtroppo, sia il fervore che ha accompagnato il finale dello spettacolo, sia soprattutto la mia pessima grafia e, in ultimo, l’alterazione mentale provocata dallo stato influenzale, mi hanno indotto a glissare, mentre scrivevo la recensione, su questo che è il punto chiave dell’operazione del Sinisi. Infatti, citando Nietzsche, la disobbedienza dei Masnadieri e la loro implacabile cavalcata, sostenute dal senso di vendetta, assumono una qualità filosofica che nel testo di Schiller c’è, ma non si vede (proprio come nella Milano di Totò e Peppino: «la nebbia c’è, ma non si vede»). Nel senso che quelle intenzioni benefiche e progressiste sono sotto gli occhi di tutti, ma i ragazzacci sfrenati e irriverenti, che pur le animano, non avrebbero mai potuto spiegarle se non attraverso la lettura postuma del pensatore del Superuomo e di Zarathustra.
La ribellione, la vendetta, la violenza di un unico individuo, come quelle di una masnada di giovinastri e come quelle di un intero popolo – ci vuole indicare Sinisi - sono viste tanto da Schiller, che le preannuncia, quanto da Nietzsche, che le decifra e le spiega, come atto di rivolta collettiva contro l’immobilità dello stato a cui si appartiene. Nietzsche indica questo comportamento sociale delineando lo sviluppo di una «esistenza catilinaria», cioè di quel «sentimento di odio, di vendetta e di rivolta contro tutto ciò che è, ma non diviene più». Pertanto, seguendo sempre le teorie del filosofo, occorre prima demolire lo statu quo per poi poter procedere alla possibilità di «costruire nuove configurazioni di vita individuale e comunitaria»*.