Giordana Faggiano (La ragazza sul divano) e Pamela Villoresi |
IN SCENA PASSATO E PRESENTE A CONFRONTO
Bisognerebbe conoscere il testo originale, in norvegese, per stabilire la mole di glacialità che blocca i legami tra la ragazza e la sorella e la loro madre con lo zio. Un intreccio familiare emotivo vissuto per anni su un divano, o attorno ad esso. Jon Fosse, autore del dramma, pone al centro della vicenda un sofà che, come una spugna, assorbe tutto: il detto e il non detto, il silenzio e l’assenza, il patimento e l’abbandono. La ragazza sul divano è certamente un dramma strettamente legato alle latitudini boreali. Lei, la giovane sorella remissiva che trascorre la vita chiusa nella sua sofferente delusione, è l’emblema della freddezza nordica. Vittima della vita degli altri, si lascia far del male con caparbietà, illudendosi di proteggersi dietro il velo della solitudine. Tuttavia è un personaggio che anche noi latini dovremmo tener d’occhio e studiare con maggior attenzione, specie in quest’ultimo ventennio, in cui il nucleo familiare, quello che una volta era la prima piazza vivace e chiassosa per ragazzi che esercitavano le loro prime prove di vita, sembra oggi vacillare e immalinconirsi, se non addirittura inaridirsi.
La perfetta traduzione di Graziella Perin restituisce integralmente la freddezza dei dialoghi, la sterilità apparente dei sentimenti. E su questa glaciale pista di pattinaggio, assai insidiosa, Valerio Binasco costruisce un’intelaiatura mediterranea a questa storia tipicamente nordica, nella quale un marinaio (Fabrizio Contri) abbandona per mesi la moglie (Isabella Ferrari), dando sporadiche notizie soltanto tramite qualche rara cartolina. Per avvicinare l’intensità del dramma alle nostre passioni sceglie Pamela Villoresi che interpreta quella stessa ragazza sul divano, vent’anni dopo, ugualmente infelice, sposata, alla costante ricerca della protezione della propria solitudine. Le sofferenze non cambiano: sono le stesse di quand’era ragazza. Le ferite dell’abbandono sanguinano ancora: ma si tratta di una donna che reagisce con la disperazione appassionata tipica della nostra terra che è calda, ma non arida. La Villoresi, infatti, traduce in accesa rabbia, la morta illusione della (scandinava) ragazza che fu. Binasco, accostando in scena il presente con il passato, accende un lume di speranza, probabilmente vana, ma efficace per il nostro modo di comprendere l’abbandono, la solitudine e la sofferenza.
Il lavoro del regista, qui, sembra più raffinato e meticoloso di quello dell’autore: tradurre – visivamente – i sentimenti in scena è arte da cesellatore. A sinistra, c’è la figura originale: una ragazza scolpita nella stolidità di una statua, con i suoi silenzi, la sua costante assenza dalla vita, la sua granitica solitudine, lo sguardo rivolto al nulla. A destra, c’è una donna che si ribella al passato cercando di affogare l’inadeguatezza a vivere nella confusione dei colori che però sono devastanti. I suoi quadri sono brutti – dice – perché si sente incapace di dipingere quel che non si vede: rifiuta il passato, ma non riesce ad accettare il presente. Ed è questa lotta che, malgrado la contraddizione, la mantiene attaccata alla vita.
Isabella Ferrari con Michele Di Mauro e Giulia Chiaromonte |
La trama si consuma in poche parole. È la storia di un tradimento. La moglie del marinaio, stufa dell’assenza del marito, si lega al fratello di lui (Michele Di Mauro). Consumano i rapporti in casa di lei, dove ci sono le due figlie: una più chiusa (Giordana Faggiano) che vive eternamente sul divano in attesa del niente, e l’altra più sfrontata (Giulia Chiaromonte), che non si fa scrupoli nell’esibire la sensualità del corpo per provocare gli uomini, compreso lo zio. Insomma, ciascuno sembra vivere per sé, senza preoccuparsi di costruire un brandello di legame. E quando il marinaio torna all’improvviso cogliendo in flagrante i due amanti, le solitudini si disgregano in un attimo.
Ognuno deve fare i conti con il proprio abbandono, un abbandono cominciato molti anni prima che adesso è impossibile contrastare. Soltanto la ragazza del divano è completamente impreparata a questo devastante disastro. Come se improvvisamente, colpita dalla morte appena passata, si sentisse viva ma sperduta. L’autore ce la mostra contemporaneamente ragazza nullafacente e adulta sposata ad un uomo (lo stesso Binasco), il quale, pur amandola con sincerità, non riesce a colmare l’assenza di un vuoto che è ancora lì, presente davanti ad ogni cosa. Lei è costantemente distratta: «Io mi sento sempre altrove», per cui non riesce a mettere a fuoco il presente, che mai può vedere. Piuttosto, in un momento di insana lucidità, recepisce il dramma di quand’era ragazza e scorge il suo stesso errore che la spinse a non vivere.
Non voglio dire, banalmente, se la Villoresi sia stata brava o meno, perché in quest’occasione offre un’interpretazione perfetta, così com’è lei. Sembra una parte difficilissima, eppure lei la fa apparire facile, anche quando dialoga con se stessa usando due differenti toni: quello chiaro della gioventù e quello scuro della maturità. Molto convincenti anche Giulia Chiaromonte e Fabrizio Contri: per lei una bella presenza sempre tenuta con grande sicurezza; un impeccabile cameo, severo e determinante, per lui che entra solo al finale ma tiene alta la tensione. A Michele Di Mauro, viene affidato il ruolo forse più difficile: quello di ironizzare in un contesto in cui ogni sensazione è raggelata dalla vanità dei rapporti, eppure ci riesce. Giordana Faggiano è la coraggiosa ragazza sul divano: sempre presente in scena, fronte al pubblico e poche parole. Si direbbe una tinca che più tinca non si può! Meno incisiva Isabella Ferrari, più credibile come amante che come madre. Anzi, ad essere sinceri, della Chiaromonte sembra la figlia!
Foto: © Virginia Mingolla