Neri Marcorè |
MARCORÈ CANTA GLI APOCRIFI VANGELI DI DE ANDRÉ
Nel 1969 Fabrizio De André venne invitato da Roberto Dané, un importante produttore discografico di quel tempo, a realizzare un disco sui Vangeli apocrifi. L’idea originariamente – e tengo a precisarlo per ricordare con affetto una persona a me particolarmente cara – nacque per Duilio Del Prete, ma poi Antonio Casetta, altro imprenditore musicale, suggerì il più famoso cantautore genovese in cerca di un’ispirazione per il suo quarto album. Oggi Neri Marcorè torna, dopo sei anni, a confrontarsi con De André, e sempre con la regia di Giorgio Gallione, che ne imposta anche la drammaturgia. Lo spettacolo, in scena al Quirino di Roma fino al 28 aprile, porta il titolo di quell’album che fu pubblicato nel 1970: La buona novella.
«Questo spettacolo – cito le esaurienti note in brochure di Marcorè – è pensato come una Sacra Rappresentazione contemporanea che alterna e intreccia le canzoni di De André con i brani narrativi tratti dai Vangeli apocrifi cui lo stesso autore si è ispirato. Prosa e musica sono montati in una partitura coerente al percorso tracciato dall’autore nel disco. I brani parlati, come in un racconto arcaico, sottolineano la forza evocativa e il valore delle canzoni originali, svelandone la fonte mitica e letteraria.» Perfetto. Descrizione migliore non si sarebbe potuta scrivere.
Ora, però, facendomi un esame di coscienza, da critico teatrale e non musicale, mi chiedo: posso io, oggi, recensire, dopo oltre cinquant’anni, le canzoni di Fabrizio De André? Sono sincero: non mi sento all’altezza. Inoltre, posso io, oggi, dopo un paio di millenni circa, riproporre una rilettura dei Vangeli apocrifi? Non mi azzardo. Piuttosto mi attengo alla parte visiva dello spettacolo, alla parte emozionale della «Sacra Rappresentazione contemporanea», citata dall’ottimo protagonista.
In scena, un eccellente quintetto musicale, diretto da Paolo Silvestri – che ha anche arrangiato le musiche – dona nuova ed esemplare vivacità al concerto. L’ensemble, costituito quasi interamente da musici donne, contribuisce all’ottima riuscita della confezione – e sottolineo confezione – dell’opera che ovviamente al termine riscuote un più che convincente riscontro da parte del pubblico. Ai musicisti si uniscono la coinvolgente Rosanna Naddeo, voce recitante, e lo stesso Marcorè, narratore, menestrello, cantante sempre elegante e impeccabilmente simpatico; incapace di sbavature nella sua lezione di catechismo, dal timbro suadente, irreprensibile, episcopale. Addirittura il fondale blu, sul quale egli si staglia, ha qualcosa di paradisiaco che ne esalta le virtù laiche e non: le luci di Aldo Mantovani sono ben accese, brillanti e soprattutto rassicuranti. Davanti al pianoforte (parlo della scena, non della musica) come per gli altri strumenti che si ammirano sul palco ci si incanta davvero per le forme e per il senso: chitarre, tamburi, percussioni, ciascuno ha in sé chiaro il motivo della propria presenza.
Poi, però, durante la «Sacra rappresentazione contemporanea», appaiono alcuni elementi che distolgono l’incantamento: non saprei se più dal contemporaneo, o dalla sacra rappresentazione. Passi per l’ingombrante grotta lignea, stilizzata e fissa che, come un Arco di Costantino, incombe sulla sacralità dei temi trattati, ma le varie scale infiorate che scendono dalla soffitta e poi risalgono senza un reale motivo, se non quello di richiamare l’attenzione a un venerabile andirivieni per l’Aldilà; la grande falce di luna reclinata sulla gobba che viene trascinata dalle quinte, mostrata al pubblico e rispedita al mittente senza nemmeno un messaggio da recare all’Altissimo; le tre croci che calano dalla graticcia e risalgono in cielo come fossero ascensori personali; una bizzarra rete da pesca a traino, a tre sacche, realizzata in strass, che riflette le stelle sul fondale alla Saturday night fever, più che alla Jesus Christ Superstar; una stella cometa, appesa a una canna – questa sì – da pesca, che ricorda i lumini cinesi che volano nelle romantiche notti d’oriente… ecco, sono particolari scenici che difficilmente trovano un’esatta connotazione sia nel contemporaneo, che nella Sacra rappresentazione, sia nelle parole di De André, che nei Vangeli apocrifi, così come nei quattro canonici!
Eppure tutto era cominciato, con maggior prudenza, dalla povera mazza di San Giuseppe che è magicamente fiorita per mano del prestigiatore Marcorè: ma questi son giochetti teatrali di cui il palcoscenico ne gode da sempre, e ben vengano. Tuttavia, l’esibizione scenografica ideata da Marcello Chiarenza, non sfiorando minimamente nemmeno il profano, ci lascia alquanto perplessi.
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La buona novella di Fabrizio De André. Drammaturgia e regia di Giorgio Gallione. Con Neri Marcorè, Rosanna Naddeo (voce), Giua (voce e chitarra), Barbara Casini (voce, chitarra e percussioni), Anais Drago (voce e violino), Francesco Negri (pianoforte), Alessandra Abbondanza (voce e fisarmonica). Paolo Silvestri (arrangiamenti e direzione musicale), Marcello Chiarenza (scene), Francesca Marsella (costumi), Aldo Mantovani (luci). Teatro Quirino, fino al 28 aprile
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