04 aprile 2025

«Ho paura torero», di Pedro Lemebel

Roma, Teatro Argentina
3 aprile 2025

UNA PASSIONE RAGGELATA NELLA SANTIAGO DI PINOCHET

Il colpo d’occhio si concentra sulla scena di Guia Buzzi, che riesce a far da conchiglia a un romanzo, cercando di contenerlo per intero, di proteggerlo dalle insidie del palcoscenico e di ingentilirlo dalla crudele realtà dov’è stato partorito, ma soprattutto tenta di renderlo teatralmente vivace. Un testo in prosa trasportato sul palco si trascina molte difficoltà e qualche pesantezza: ne abbiamo avuto più di una prova in queste ultime stagioni. Generalmente quanto più è lungo lo spettacolo, più ne risente l’agilità e la fruibilità della visione. Cento ottantacinque minuti di Ho paura torero non aiutano a rendere frizzante e gustosa un’opera in cui, in certi momenti (soprattutto nella prima parte), i dialoghi faticano a rompere la monotonia del racconto. Pedro Lemebel, autore cileno che ha più volte denunciato nei suoi scritti l’oppressione militare della dittatura di Pinochet, inventa una graffiante satira ambientandola nel 1986, anno dell’attentato al presidente, costruendo, sullo sfondo della vita politica e dell’attività rivoluzionaria, una storia d’amore altrettanto sovversiva tra Carlos, un militante del Fronte patriottico, e La fata dell’angolo, un romantico travestito, innamorato e sognatore.

02 aprile 2025

«Le due regine», di Roberto Russo

Roma, Off/Off Theatre
1° aprile 2025

«LA PACE NON È UN MIRACOLO, È SACRIFICIO»

Le due regine si affrontano in un incontro di boxe. Entrano nel rettangolo presentate da una voce fuori campo che annuncia i loro ingressi: di sfidante, la scozzese Stuart, e di campionessa, l’inglese Tudor. Prima di cominciare a darsele di quella ragione che da una parte è santa (ma un po’ mignotta) e dall’altra vergine (ma dichiaratamente inacidita), ascoltano le regole imposte da Roberto Russo, autore cólto e fantasioso, che si diverte a costruire un match tanto bizzarro quanto pieno di verve e di verità storiche. Sono naturalmente «vietati i colpi alla nuca e alle reni – annuncia lo speaker alle contendenti – e soprattutto evitate di picchiare sotto la cintura perché potreste avere delle sorprese!». Svelata con un tocco di ironia la teatrale scelta di far recitare due uomini travestiti da regine. Gianni De Feo e Bruno Petrosino irrompono sul ring, nascoste da eleganti maschere veneziane, con un prologo di riscaldamento prima di dar inizio all’incontro: Maria Stuart, dopo anni di prigionia dovrebbe essere la più arrabbiata, dovrebbe scalpitare per recuperare il tempo perduto, il trono mai avuto, e invece sfodera un’apparente delicatezza d’animo che la rende già preda succulenta dell’altra, Elisabeth Tudor, una iena che non perde uno sguardo per gettar veleno.

01 aprile 2025

«M. informato dei fatti», di Filippo Maria Macchiusi

Roma, Spazio Diamante
31 marzo 2025

UN’EMOZIONE NON LASCIA INDIFFERENTI

Non è soltanto M. – che probabilmente sta per Macchiusi – ad essere informato dei fatti. Anche noi abbiamo indagato, prima ancora di leggere le note che l’autore, l’interprete e il regista ha scritto su se medesimo. La più avvincente notizia è che Filippo Maria raggiunge la ribalta di un palcoscenico dopo una laurea in Medicina e Chirurgia, e vi approda con un certo ritardo, verrebbe da dire: sì, perché, al contrario dei soliti incidenti di percorso che la passione artistica rappresenta per molti ragazzi, i quali si scoprono attori, cantanti o altro per fatalità (e quindi a ostacolare la fine degli studi), in questo caso sono gli impegni universitari ad essere stati d’impaccio all’accensione della precoce fiamma teatrale che ha infuocato l’animo del giovanissimo Macchiusi. Se per un verso è lodevole e auspicabile che un dottore in Medicina si dedichi ai traumi del teatro nella speranza di sanarli, dall’altro non vorremmo che il contagio del malanno di cui soffre la scena nazionale possa corrompere un così determinato e dirompente entusiasmo artistico, oltre al fisico possente che lo contiene.

31 marzo 2025

«Una relazione per un’Accademia», da Franz Kafka

Roma, Teatro India
30 marzo 2025

IL PRIMATE DI MARINELLI BALLA SULLE NOTE DI CAROSONE

Se Gregor Samsa, trasformatosi all’improvviso in un gigantesco coleottero, è il prototipo del personaggio kafkiano, se Joseph K., inspiegabilmente arrestato per cui deve difendersi da un’accusa che non conosce, è colui che, meglio di altri, rappresenta il soggetto di una situazione kafkiana, una scimmia che subisce una metamorfi fisica opposta a quella di Gregor (da animale a uomo) e arriva ad essere invitata dai membri di un’Accademia a tenere una relazione sulla sua esperienza e sulla vita precedente, una scimmia così, dicevo, diventa la summa del ritratto del panorama letterario di Franz Kafka.

30 marzo 2025

«Bianco», di Giuseppe Tantillo

Roma, Teatro Belli
29 marzo 2025

UN INVITO A NON SEPPELLIRSI NEI GIORNI FELICI

Difficile riuscire a pensare che la più brutta malattia abbia un colore, difficilissimo poi poter immaginare che sia vestita di bianco, «come una sposa il giorno del matrimonio». Eppure, quando si osservano le cellule guaste, esse paiono tingersi proprio di bianco, e, come una sposa davanti all’altare, resta lì, attaccata al suo uomo, finché morte non li separi. Le infinite sfumature di Bianco contengono anche questa possibilità, che più che un colore è una macchia, alla quale non si pensa mai, ma che, quando arriva, non si cancella più, nemmeno se sparisce. Giuseppe Tantillo ci accompagna in un viaggio senza tempo: potrebbe essere consumato in un lampo, come in un anno o in dieci, o forse più. L’incontro che descrive tra Mia e Lucio potrebbe essere reale, ma anche soltanto il bagliore di una speranza di lei o di lui. O forse, come sembra dalle apparenze, di entrambi.

29 marzo 2025

«La pulce nell’orecchio», di Georges Feydeau

Roma, Teatro Vascello
28 marzo 2025

HÔTEL FEYDEAU, DOVE LA FOLLIA DIVENTA L’ARTE PER SOPRAVVIVERE

Finalmente una regia che con franchezza dichiara di non volersi prendere sul serio e che affronta il gioco del teatro con la sapienza dei fanciulli e con l’entusiasmo del divertimento e della leggerezza. In scena, una compagnia di dodici attori affiatatissimi che sanno dosare l’arte del jouer le role con il giusto spirito giocoso che è alla base del «facciamo finta che tu sei la moglie, lui è il marito e l’altro è l’amante». Il merito va a Carmelo Rifici che fa apparire il divertissement come fosse un’improvvisata, dall’aria talvolta ostentatamente maldestra o azzardata, mentre invece è un perfetto meccanismo di tempi, movimenti, battute e gag con ingressi e sostituzioni che si avvicendano di continuo. L’idea della regia si appoggia su un gran classico del vaudeville francese: La pulce nell’orecchio che Georges Feydeau scrisse nel 1907 per svelare quei desideri di trasgressione che fanno parte della nostra vita quotidiana: tutti vorremmo evadere, ma tutti vorremmo rimanere fedeli. È il «sentimento del contrario» che, come sostiene Pirandello, diventa il distintivo umoristico che Feydeau traduce, attraverso i suoi personaggi, con «l’avvertimento del contrario» suscitando esilarante comicità.

28 marzo 2025

«Ti ho sposato per allegria», di Natalia Ginzburg

Roma, Teatro Quirino
27 marzo 2025

UN MATRIMONIO ALL’INSEGNA DELLA STRAVAGANZA

La lettura che Emilio Russo ha prediletto (e realizzato poi in scena) di Ti ho sposato per allegria soffre della stessa constatazione che il regista ammette pubblicamente nelle note che scrive di suo pugno. Secondo lui l’opera di Natalia Ginzburg è «Stuzzicante. Gustosa. Stratificata. Come la parmigiana di melanzane che, chissà perché, è l’unico menù previsto…». Probabilmente il desiderio di sole estivo e il profumo di un piatto casalingo e prelibato hanno avuto la meglio sulla complessità del rapporto tra Giuliana e Pietro. La conferma giunge dal fatto che nelle note di regia manca la parola più importante, divorzio, fondamentale per comprendere un legame matrimoniale che è conseguenza di un’allegria che – già nel titolo – sta ad indicare un’imperdonabile superficialità. La commedia è stata scritta nel 1965, in pieno subbuglio politico tra i partiti progressisti che si battevano contro la reazionaria volontà della Democrazia Cristiana tenacemente opposta alla possibilità di una legge sul divorzio. Legge che fu approvata in parlamento nel 1970 e rimessa subito in discussione fino al definitivo referendum popolare sull’eventuale abrogazione del 1974. Ben nove anni di contestazioni nazionali prima di arrivare a una sentenza definitiva.

26 marzo 2025

«Erodiade», di Giovanni Testori

Roma, Teatro Vascello
25 marzo 2025

FRANCESCA BENEDETTI,
E LA PAROLA SI FECE SANGUE

Al teatro Vascello, due serate dedicate a Francesca Benedetti, novant’anni a novembre prossimo. Al termine della performance la platea gremita è esultante, tutta in piedi, e le tributa un’ovazione: «Sento davanti a me un tale muro d’amore che non riesco a trattenere la commozione», dice l’attrice ringraziando. Si è appena alzata dal trono che l’ha tenuta prigioniera di un demonio per oltre un’ora. Erodiade, monologo di Giovanni Testori che la Benedetti porta in scena ormai da tempo. È Marco Carniti che, con un’attenta regia fatta di immagini, la sostiene; anzi, verrebbe da dire, che la trattiene, tanto è potente l’ardore dell’interprete che rispecchia fedelmente le intenzioni della scrittura. Il personaggio ideato da Testori è una furia e incarna l’odio più violento, è un vulcano che erutta livore e l’attrice non si risparmia nel mostrare l’intimità dei sentimenti più reconditi: l’odio per la figlia, la rabbia per aver fallito l’incontro della vita, il veleno nei confronti di Erode. L’invidia, tanta invidia, per la bellezza di Salomé, perché la sua, ormai, è sepolta.

25 marzo 2025

«Visita al padre», di Norm Forster. Lettura

Roma, Teatro Argentina
24 marzo 2025

QUANDO L’ALZHEIMER DIVENTA FONTE DI VERITÀ INAUDITA

Non dirò un’assurdità, anche se tale potrebbe apparire, se confesso che dopo lo spettacolo ho sentito un forte desiderio di correre a casa per mangiare del formaggio. Non era fame, piuttosto il modo più istintivo e naturale di partecipare, ancora, al dramma (sotto forma di lettura) che avevo ascoltato all’Argentina. Sì, perché nel momento in cui Donald, il vecchio padre, a cui ha dato voce un dolcissimo e spiritoso Massimo De Francovich, racconta il momento più sconvolgente della sua esistenza, la tanto attesa verità, lo fa chiedendo con capricciosa insistenza un pezzo di formaggio che in quell’istante rappresenta l’unica ragion di vita, il sostentamento di ogni sua necessità. Così, l’ingombro pesantissimo che il vecchio sta finalmente rivelando, dopo sette anni di indagini del figlio, su un segreto che egli nasconde da circa quarant’anni, passa in secondo piano, come fosse la cronaca di una serena gita domenicale e non come una liberazione epocale. Ed ecco che, mentre gustavo il mio boccone di formaggio, ho avvertito il compiacimento di aver partecipato a quella confessione «spericolata» e inaudita, a cui volevo offrire solidarietà e comprensione, convivialità e fratellanza.

23 marzo 2025

«Favole di Oscar Wilde», uno spettacolo di Giancarlo Sepe

Roma, Teatro La Comunità
22 marzo 2025

PER COMINCIARE A LEGGERE IL NOSTRO ANIMO

L’atmosfera delle favole appartiene a Giancarlo Sepe come una parola al vocabolario. Gli appartiene per natura intellettuale, per concepimento mentale ed emotivo; e da lì non può scappare, perché Sepe si è appoggiato attorno a questa passione, che è un capolavoro di astrazione, e le ha donato concretezza. Già entrando nel suo teatro sembra di immergersi in un antro favolistico in bianco e nero, dove alle pareti svetta l’immagine della favola cólta, della favola surrealista, i cui protagonisti sono sempre adulti destinati all’afflizione di dover guardare la realtà da un osservatorio assai infantile e puro. E in occasione dell’omaggio a Oscar Wilde – spettacolo che torna in scena a 24 anni dal suo debutto – è palese il riscontro. Si entra, infatti, in una giostra che sarà avvolta dal buio, facendoci diventare gli oggetti del dissidio di un gioco per bambini guastato da un diversivo per adulti: lo stesso contrasto che si verifica tra il piacere distensivo offerto dall’ascolto di una favola annunciata e la sensazione claustrofobica che avvolge lo spettatore durante la visione.

22 marzo 2025

«Guerre», di Louis-Ferdinand Céline

Roma, Ar. Ma Teatro
21 marzo 2025

«LA GUERRA È CHIUSA NELLA MIA TESTA»

Se si dovesse fare una recensione si dovrebbe crocefiggere l’iniziativa che è ancora da perfezionare e forse più. Ma stavolta me ne astengo. E il motivo c’è. Allora dirò che questa non vuol essere una critica, piuttosto il resoconto di una serata molto interessante. E preciserò anche che Ivan Festa ha avuto l’accortezza di intrattenersi, al termine della performance, per condividere la sua idea e per ascoltare le perplessità di chi lo ha seguito con attenzione. La materia trattata è consistente, potente, storica e vale la pena sostenere sia il progetto che l’esecutore. Difficilmente potrà assumere la forma spettacolare di una rappresentazione, ma Guerre (mi raccomando: è da leggere alla francese!), quando metterà le ali, sarà certamente una bella novità scenica, letteraria certamente, ma soprattutto sarà una descrizione poetica di un capitolo inedito della Grande guerra.

21 marzo 2025

«Sior Todero Brontolon», di Carlo Goldoni

Roma, Teatro Quirino
20 marzo 2025

IL VECCHIO FASTIDIOSO TRA LE MARIONETTE DEI PODRECCA

Ci sarà anche un lavoro commissionato sul testo – lo si evince dalla locandina di questa messinscena che attribuisce a Piermario Vescovo la drammaturgia – per una «rinfrescata», ma in generale nelle commedie di Carlo Goldoni raramente si avvertono gli acciacchi dell’età. Eppure, Sior Todero Brontolon è stata rappresentata per la prima volta nel 1762. Duecento sessantatré anni, e non ne dimostra neanche la metà, anzi, sembra tanto vispa da sembrar giovinetta ancora! È la caratteristica dei grandi autori della commedia, i quali, più che da una storia, cominciano dal personaggio, i cui vizi non tramontano mai restando immutati per l’eternità. Il vecchio fastidioso è il sottotitolo scelto da Goldoni per descrivere meglio il carattere del protagonista: «avaro, superbo, ostinato», sono parole di Marcolina, che dipingono l’animo di Teodoro, padre padrone. Brontolone, infatti, è il soprannome «che spiega e mette in ridicolo il di lui carattere inquieto, fastidioso, indiscreto», scrive l’autore. Oggi lo si definirebbe un adepto del più tenace patriarcato: colui che gestisce gli affari economici in casa e quindi detiene anche il monopolio delle decisioni altrui fino alla terza generazione.

20 marzo 2025

«Sei personaggi in cerca d’autore», di Luigi Pirandello

Roma, Teatro Argentina
19 marzo 2025

UN PADRE PIENO DI RIMORSI, CHE STRISCIA NELLA VERGOGNA

Sei personaggi in cerca d’autore, grazie a quel debutto molto contestato al Teatro Valle nel 1921, resta tra le opere teatrali la più interessante e sorprendente della modernità. Alla lettura sfiora la perfezione: è l’unica, infatti, che tenta di far rappresentare un dramma dai suoi stessi personaggi; è la sola che mette in discussione la possibile imperfezione degli attori che, interpretando un ruolo, son pronti a caratterizzarlo, ciascuno a suo modo, allontanandosi dall’originale. Tutte le altre opere, invece, si indentificano nel gioco della finzione, dando per scontato che le parole di un autore passino attraverso un commediante che ne dà una sua versione e ne costruisce un suo «pupo». Luigi Pirandello invece portò alla ribalta un problema, all’epoca nuovo, da sbrogliare: un enigma da allora tante volte affrontato e sempre più ingarbugliato. Un problema che fino ad oggi non s’è mai potuto risolvere, ma che Valerio Binasco con la sua messinscena ha maggiormente evidenziato e sottoposto a una drastica e accurata revisione.

19 marzo 2025

«La lettera», di e con Paolo Nani

Roma, teatro Vittoria
18 marzo 2025

TRA QUENEAU E CHAPLIN, LO STILE DI UN CLOWN SENZA TEMPO

Raymond Queneau nel 1947 scrisse «Esercizi di stile», un libro assai particolare, nel quale la storia narrata si riduce a un brevissimo sketch addirittura incompiuto: un uomo su un autobus si lamenta con chi lo spinge e, appena si libera un posto a sedere, si accomoda. Dopo qualche ora i due tornano a incrociarsi casualmente alla stazione. Finito. La particolarità a cui il volume deve la sua fama, è che il tema si ripete per 99 volte, sempre lo stesso, ma riproposto dall’autore ogni volta con uno stile differente: a seconda di come si usano le parole e talvolta le lettere di ogni singolo vocabolo, il lettore riceverà un’emozione diversa. Nel 1992 Nullo Facchini e Paolo Nani ipotizzano che uno spettacolo teatrale, basato sullo stesso principio, possa essere un’accattivante novità. Così nasce la storia di un uomo che si siede a un tavolo, versa del vino in un bicchiere, lo assaggia, ne resta disgustato e lo sputa; guarda un vecchio ritratto in bianco e nero della nonna, prende carta e penna, scrive la lettera, la piega, la imbusta e la affranca; ma quando sta per uscire gli viene il sospetto che la penna che ha usato possa essere priva di inchiostro; riapre la busta e, preso atto che il foglio è ancora candido esce deluso.

17 marzo 2025

«Fanny», di Rebecca Déraspe

Roma, Teatro Tor Bella Monaca
16 marzo 2025

A GIORDANI, IL TAPIRO D’ORO PER IL MICROFONO RAZIONATO

In tempi di siccità ci siam dovuti piegare al razionamento dell’acqua, in tempi di guerra abbiamo affrontato il disagio del razionamento del pane, in tempi di austerity ci siamo abituati al razionamento della benzina, ma il razionamento dei microfoni ci trova assolutamente impreparati. Partecipammo ai delicati sospiri della Cortese, partecipammo ai gracili sussurri di Eduardo, partecipammo al timbro tonante di Gassman e al grammelot di Fo, partecipammo con irruenta protesta alle amplificazioni di Carmelo Bene, ma il razionamento dei microfoni ci trova assolutamente impreparati. Protestammo per i microfoni che riproducevano i passi più della tosse, protestammo per i microfoni gracchianti incastrati sotto il colletto della camicia, protestammo per i microfoni altisonanti e quelli con l’eco incorporato, ma i microfoni a controllo limitato ci lasciano perplessi e disarmati.

16 marzo 2025

«Giulio Cesare», di William Shakespeare

Roma, Area archeologica di
largo di Torre Argentina
15 marzo 2025, Idi di marzo

UN’ALTRA OCCASIONE PERSA, MA POLITICAMENTE SFRUTTATA!

Disorganizzazione, distanza eccessiva e caos cittadino hanno affossato un’iniziativa in teoria fantastica. Cari attori, non è colpa vostra

Facendo la più semplice delle ricerche su Google, incrociando cioè i nomi di Giulio Cesare, Argentina e Faiella (l’attore protagonista), si ha la giusta impressione di come l’evento sia stato promosso: sono migliaia i siti internet che riportano la notizia. Con quanto impegno, evidentemente, qualcuno s’è dato da fare per conquistare le pagine web e dei quotidiani affinché il mondo sapesse che a Roma i festeggiamenti delle Idi di marzo quest’anno prevedessero un’occasione unica e imperdibile; «senza precedenti» è stato scritto. Per la prima volta, infatti, nell’Area sacra di largo di Torre Argentina, proprio davanti al teatro di prosa più importante della Capitale, è andato in scena il Giulio Cesare di William Shakespeare. È storicamente tramandato che nel 44 a.C. il console più amato dell’antica Roma fu assassinato, proprio in questi giorni, nei pressi di quel tempio della Fortuna del dì presente che si erge al centro dell’area in forma circolare. Studi più approfonditi stabilirono che Cesare fu accoltellato alle spalle di quel tempio, sotto la Curia di Pompeo, dove spesso si riunivano i senatori.

15 marzo 2025

«Prima della prova», Shakespeare/Colizzi

Roma, Il Cantiere Teatrale
14 marzo 2025

I VERSI CHE CI ACCOMPAGNANO SULL’ISOLA CHE NON C’È

Con il Riccardo III di Shakespeare ci si prepara ad affrontare la prova. Franco Mannella spiega subito al pubblico in sala, che è a digiuno delle nozioni primordiali su come si comincia a costruire uno spettacolo teatrale, il significato di Prima della prova. Anzi, Mannella usa il passato, visto che questa buona abitudine oggi è caduta in disuso, e ricorda i tempi di quando i registi della «vecchia scuola» riunivano per la prima volta la compagnia attorno a un tavolino e leggevano loro il copione agli attori. Una lettura spesso sporca, a volte stonata, anche disturbata, ma valida per un approccio letterario attraverso il quale si accedeva, tutti insieme, passando per un’unica porta. Come se il regista dicesse: «Seguitemi, vi accompagno io all’ingresso». Non era ancora una prova, ma un preambolo che offriva opportunità al maestro di dare le indicazioni di base, tanto generiche quanto provvisorie, ma essenziali per iniziare lo studio da un unico punto di vista, cosicché tutti poi potessero parlare lo stesso linguaggio e intendersi meglio.

14 marzo 2025

«Il golem», di Juan Mayorga

Roma, Teatro India
13 marzo 2025

PROPAGANDA AL CLOROFORMIO

A volte le note di regia vengono lette troppo superficialmente; invece, occorre fare più attenzione e cercare di individuare, tra le righe, la frase che è stata scritta per avvertirci, per metterci in allerta, quella che poi riletta a fine spettacolo, ti fa sospirare, sotto forma di autoimprecazione: «Me l’aveva pure detto!». La verità è che le note di regia, purtroppo, hanno il difetto di farsi comprendere bene soltanto dopo, quando si lascia la platea e il peggio è già passato. La frase che ho sottovalutato, o forse sopravvalutato, volendole attribuire un significato esclusivamente intellettuale, è: «La parola che crea e distrugge». Chissà perché non avevo considerato il significato scenico dell’avvertimento. La parola in teatro può creare opere meravigliose: da Eschilo a Euripide, da Shakespeare a Molière fino a Goldoni e tanti altri, tutti autori di capolavori d’eccellenza. La stessa parola, però, può anche distruggere e far crollare, in una manciata di secondi, interesse, entusiasmo e concentrazione.

12 marzo 2025

«Moby Dick alla prova», di Orson Welles

Roma, Teatro Vascello
11 marzo 2025

IL PEQUOD NEI MAROSI DEL COVID

Quando un’opera di teatro è scritta in versi e lo spettacolo acquista spessore drammatico soltanto dalle parti musicali, non è un buon segno. Eppure, il Moby Dick alla prova, proposto da Elio De Capitani, è impresa costruita con una vivace inventiva e molta precisione, tanto impegno e seria professionalità; peccato, però, che il criterio intellettuale di partenza, ambiguo ma calzante, appena uscito dal porto di un prologo palpitante di buone intenzioni, in pieno oceano, naufraghi clamorosamente in un contesto dal retrogusto circense. Non conosco l’originale di Orson Welles, ma sospetto che, durante la stesura dell’adattamento, gli artefici si siano lasciati prendere la mano da un certo squilibrato spirito piratesco più che dalla intransigenza della poesia che, per quanto sia a volte impalpabile, mantiene un tessuto letterario assai severo e concreto.

11 marzo 2025

«non era così», un ritratto di Luca Ronconi

Roma, Teatro Argentina
10 marzo 2025

«L’UOMO CHE VIVE SOGNA IL RE, IL SUO TRONO E VIVE NELL’INGANNO»

A dieci anni dalla scomparsa, il Teatro di Roma ricorda il grande regista con una serata evento «per celebrare l’eredità di un maestro che ha rivoluzionato il teatro europeo con il suo genio e la sua instancabile ricerca»

Luca Ronconi ha diretto il Teatro Stabile di Roma dal 1994 al 1999 portando sul palcoscenico dell’Argentina spettacoli memorabili, e ieri sera quello stesso palcoscenico gli ha reso omaggio a dieci anni dalla scomparsa. Era doveroso per Roma ricordare uno dei più importanti protagonisti del nostro teatro del secondo Novecento. Se non il più grande, certamente il più coraggioso: quello delle sfide impossibili, il regista degli spettacoli interminabili, quello che forse ha osato di più approfittare della pazienza degli spettatori tenendoli ore e ore inchiodati alla poltrona con opere maestose e allestimenti sempre imprevedibili. A dar voce al suo teatro, cinque star: Annamaria Guarnieri, Laura Marinoni, Massimo De Francovich, Giovanni Crippa e Massimo Popolizio. Coordinati da Giacomo Bisordi, ciascuno, da solo o in coppia, ha letto, ha declamato, celebrato, rispolverato, rievocato, riecheggiato – non saprei, la parola giusta sceglietela voi – quel teatro che una volta «non era così» come lo si fa oggi, ma era un’altra emozione, e non soltanto perché eravamo più giovani, ma perché dietro quel teatro c’erano grandi maestri, tra cui Luca Ronconi, classe 1933.

09 marzo 2025

«Le cinque rose di Jennifer», di Ruccello/Gleijeses

Roma, Teatro India
8 marzo 2025

PIÙ ECCENTRICA E «STRAFOTTENTE» LA JENNIFER DI GEPPY

Nelle mani di Geppy Gleijeses, Jennifer cambia i connotati in maniera drastica. La creatura di Annibale Ruccello, forse quella che più rappresenta la fantasia intima e lo stile dell’autore, si spoglia completamente del lato poetico e astratto per vestirsi di un sapore forte di Mediterraneo. Sogni e speranze rivivono in lei, non più come immagini liriche, come strazianti vuoti sentimentali, ma prendono corpo in una realtà cruda e violenta. È un’esigenza che l’attore, più del regista, ha sentito per adattare il personaggio alla sua fisicità, al suo essere uomo in toto. Cosicché Gleijeses ha dovuto compiere una trasformazione doppia: prima «diventando» donna e poi personaggio. Per arrivare a questa trasfigurazione, il regista s’è preoccupato giustamente di collocare Jennifer in un ambiente dove ogni oggetto è reale e ogni azione realistica. Dal telefono al fornello, dall’olio al pomodoro, dalla sigaretta al caffè, tutto è spudoratamente autentico, finanche nelle sue funzioni. Quando la «donna» mette la moka sul fuoco, dopo un po’ si vede il fumo che esce dall’interno e si sente l’acqua gorgogliare.

08 marzo 2025

«L’uomo dei sogni», di Giampiero Rappa

Roma, Sala Umberto
7 marzo 2025

JOE BLACK, BRACCATO ANCHE DAI PROPRI FANTASMI

L’opera di Giampiero Rappa viene pubblicizzata al pubblico come «una commedia divertente e surreale che sfida l’incubo della vita reale». A parte un breve prologo, assai arguto e ironico, sull’importanza del mondo onirico, proposto da due operatori del sindacato dei sogni, i quali giustamente fanno notare quanto lavoro non retribuito ci sia nel distribuire e controllare i sogni di tutti, e che si tratta quasi sempre di lavoro notturno, a parte questo breve prologo, certamente «divertente e surreale», L’uomo dei sogni rispecchia fedelmente il dramma di un’immensa moltitudine di individui del nostro tempo. I temi affrontati sono precisi e scanditi con pacata severità: solitudine, depressione, egoismo, paura di affrontare la realtà, terrore di relazionarsi col prossimo, difficoltà di guardare serenamente il proprio passato e impossibilità di programmare un futuro, e – ciliegina sulla torta – una forte propensione all’incomunicabilità, perfino con i figli. Insomma, ce n’è per tutti. E non sono argomenti da ridere, tutt’altro!

07 marzo 2025

«Overload», Sotterraneo

Roma, Spazio Diamante
6 marzo 2025

UN’ORA DI DELIRIO DA ATASSIA CEREBELLARE DA PALCOSCENICO

Quando l’attrice comunica al pubblico che lo spettacolo è finito, comincia quella parte che gli antichi chiamavano esodo, ossia l’ultimo canto del coro. Nella tradizione della tragedia greca è la parte riservata al Deus ex machina, mentre in Overload è la parte riservata all’automobile. La compagnia si riunisce in scena al completo, ciascuno prende posto nell’abitacolo di una ipotetica vettura e partono insieme alla volta di una meta sconosciuta. Il viaggio non dura molto, ma il racconto, sia per drammaturgia, sia per intensità di recitazione, sia per pathos, cattura lo spettatore, afferra la sua attenzione e lo porta – senza fiato – fino al suono dell’ultima sillaba. In questo breve concertato a cinque accade che gli autori (il testo è firmato nel suo concepimento dal nome della compagnia, Sotterraneo, anche se la scrittura è di Daniele Villa) descrivano un episodio che non fa parte del nostro quotidiano vissuto, delle nostre abitudini, delle nostre cattive prestazioni; è un episodio per molti nuovo, benché conosciuto da tutti, e certamente mai nessuno l’ha sentito narrato con tanti particolari da renderlo addirittura affascinante nella sua crudeltà. Ebbene, l’esodo di «Overload» è l’unica parte interessante dello spettacolo; l’unica ben recitata, l’unica costruita con arguzia teatrale: la più innovativa, la più drammatica, la sola che riesce a catturare l’attenzione dell’intera platea. Applausi assicurati!

06 marzo 2025

«Edipo re», di Sofocle/De Rosa

Roma, Teatro Vascello
5 marzo 2025

NELLA TEBE DI DE ROSA SUONA UN’ORCHESTRA DI LUCI

I teorici della letteratura individuarono alcuni valori per determinare il carattere romantico di un uomo. Facilmente si giunse alla conclusione che i romantici non potevano essere raggruppati in un unico periodo storico, quello che solitamente si fa coincidere con la fine del XVIII e la prima metà del secolo successivo, ma che invece sarebbe stato più corretto affermare che ogni periodo aveva i suoi romantici, i quali attribuivano massima importanza all’integrità d’animo, alla sincerità e alla disponibilità a sacrificare la vita per un ideale. In Edipo re, questi valori, ci sono tutti: è lui che minaccia la pena dell’esilio per l’autore dell’uccisione di Laio (integrità di sovrano); è lui che vuole arrivare alla verità allorquando i sospetti lo vedono coinvolto (sincerità d’animo); ed è lui che al finale, constatata la sua colpevolezza, chiede di essere esiliato (disponibilità a sacrificare la vita per mantener fede al principio enunciato all’inizio). Edipo è un re moralmente integerrimo, colpevole solo perché gli dèi lo hanno costretto all’errore con un inganno. Se Edipo avesse saputo che Laio fosse suo padre, non l’avrebbe mai assassinato. Se non fosse stato trascinato nel delitto di uno sconosciuto a causa di una volontà superiore non sarebbe mai caduto in fallo e non avrebbe mai attirato la sciagura su di sé. Dunque Edipo, fuori dal mito, ha tutte le caratteristiche per essere un personaggio romantico.

05 marzo 2025

«Pietro Orlandi, fratello», di Giovanni Franci

Roma, Off/Off Theatre
4 marzo 2025

«SE LE PORTAVA A LETTO»

Quando uno spettacolo teatrale è in prova, il regista può tranquillamente fermare gli attori e dire: «Scusate, non ho capito bene. Ripetiamo la scena, per favore». Soltanto così si può riascoltare quel breve brano che l’orecchio non è riuscito a captare perfettamente. La mancanza di questo privilegio, che spetta esclusivamente a chi dirige l’allestimento, ieri sera, s’è fatto sentire. Ma non perché l’attore avesse sbagliato o non fosse stato chiaro nella dizione, ma per il motivo sconcertante che certe frasi, certi passaggi dell’inchiesta portata avanti dalle parole di Pietro Orlandi, fratello (testo del 2023) di Emanuela, cittadina vaticana, scomparsa a 15 anni il 22 giugno 1983, avrebbero dovuto essere ripetuti, e ripetuti ancora, per gli incredibili sospetti che lanciavano all’indirizzo del Papa in persona. Fatti gravissimi e trascritti fedelmente da Giovanni Franci in quella che lui stesso chiama una stand-up tragedy.

Teatro Eliseo


L’ingresso del teatro Eliseo in via Nazionale. Foto scattata la sera del 4 marzo 2025, ore 20.09. Questa è la miglior critica allo spettacolo che ha debuttato (martedì 4/3/2025, ore 20.00) al Teatro Argentina, protagonista Luca Barbareschi che, sul primo palcoscenico della Capitale, ha potuto festeggiare i cinque anni di chiusura e di degrado


Eliseo, storia di un teatro chiuso da cinque anni (seconda parte)

03 marzo 2025

«Fino alle stelle!», di Agnese Fallongo

Roma, Teatro Roma
2 marzo 2025

PAESE CHE VAI, CANZONE CHE TROVI!

Ogni spettacolo fa storia a sé e nessuna rappresentazione deve dipendere da un’altra o ad altra far riferimento. Cosicché anche Fino alle stelle! vive autonomamente, nonostante faccia parte di una trilogia, e, di questa, sia lo spettacolo di congiunzione: ossia, quello che è legato ad ambo le parti e che dovrebbe mantenere solida l’unione di una terna sulla povertà del secolo scorso in chiave popolare; invece, dei tre, malgrado sia quello di mezzo, sembra essere il più indipendente, il più slegato, il più «sbarazzino». Se in Letizia va alla guerra il motore trainante era la scrittura drammaturgica, mentre ne I Mezzalira, a crear fascino, era l’abilità degli interpreti, impegnati i diversi ruoli con travestimenti repentini, qui sono i ritmi, quelli incessanti tipici del vecchio avanspettacolo, a tirare la carretta e a farla correre oltreoceano, anzi scorrere piacevolmente sulla nave che li trasporta.

02 marzo 2025

«Per amore dell’amore», di Caroline Pagani

Roma, Auditorium,
Teatro Studio Borgna
1° marzo 2025

RICORDO DI HERBERT PAGANI, POETA DELLA «NUMERO TRE»

«Io lavoro al bar di un albergo a ore, porto su il caffè a chi fa l’amore». In quella stanza «numero tre» di un Albergo a ore non meglio identificato, si amò una delle coppie destinate a diventare tra le più famose del mondo, ma i loro nomi nessuno li ha mai scoperti. Sono immortalati nei versi di Herbert Pagani che nel 1969 immaginò, con parole scritte sulla musica di Marguerite Monnot, l’incontro segreto di due amanti che hanno fatto della loro ultima notte un inno straziante per gli innamorati clandestini. Per l’amore dell’amore è il titolo dello spettacolo che la «sorellina Caroline» regala alla memoria del «suo fratellone Herbert», scomparso nel 1988 a soli 44 anni.

01 marzo 2025

«Qué será», di Alessia Ferrero

Roma, Centro Artemia
28 febbraio 2025

LA POESIA IN PALCOSCENICO DEVE DIVENTARE DRAMMA

Alessia Ferrero è una giovanissima autrice e una regista debuttante. Sente la necessità di scrivere e dimostra una certa predilezione per la scrittura teatrale. Anche lei, come tanti, trova ispirazione nei fatti vissuti o nelle storie di famiglia: ed ecco che è nato Qué será, docili isterismi per due spose terrorizzate, presentato al Centro Artemia per «SperimentArti Donna», rassegna di teatro sperimentale al femminile, curata da Paola Canepa. In realtà, di sperimentale, l’operazione ha ben poco, anzi, sia dialoghi che regia si stringono attorno a canoni e schemi abbastanza tradizionali. Cosa c’è, infatti di più tradizionale del matrimonio? Le ansie provate da Elsa e da Amelia non sono, però, determinate dall’ipotesi di cambiar vita, cioè di uscire da casa di mamma e papà per trasferirsi in quella del marito, ma più dal terrore di dover affrontare la celebrazione del matrimonio, di pronunciarne finanche la parola, tanto questa fu (il passato è d’obbligo) enfatizzata.

28 febbraio 2025

«Il vedovo», dal film di Dino Risi

Roma, Teatro Parioli
27 febbraio 2025

HO VISTO COSE CHE VOI UMANI…

No, ma, dico… se ci facevate rivedere il film, non era meglio? Non per infierire, ma stiamo parlando di una pellicola con Alberto Sordi e Franca Valeri, con Enzo Petito e Nando Bruno, Gigi Reder giovanissimo e Angela Luce bonissima, insomma tutta roba d’epoca, sì, ma roba buona, di grande qualità, da cui ancora oggi si può imparare qualcosa. Che ci voleva? Gli attori della compagnia si sedevano giù in platea con noi e si guardava tutti insieme Il vedovo di Dino Risi, regista coi fiocchi. Non c’era nulla di male! Nessuno si sarebbe arrabbiato. Ammetto che un film ambientato negli anni Cinquanta è un po’ vecchiotto, è vero – quelli che capiscono dicono che è datato – ma un film, se bello, conserva sempre una sua freschezza. Nell’oscurità della sala, il grande schermo compie il miracolo e ti riporta a quegli anni, perché tutti i particolari sono di quel periodo e ogni cosa si sposa perfettamente con il resto: dagli oggetti agli ambienti, dalle mode alle inflessioni.

27 febbraio 2025

«La grande menzogna», di Claudio Fava

Roma, Teatro Belli
26 febbraio 2025

LA VERITÀ SECONDO BORSELLINO

La grande denuncia di Claudio Fava arriva dal palcoscenico per voce di David Coco, e affonda le radici in via D’Amelio, a Palermo, dove il 19 luglio 1992 l’esplosione di una Fiat 126, carica di tritolo, uccise il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. Da quello scoppio, da quella polvere, da quel puzzo di cadaveri bruciati dalla deflagrazione e sparsi lungo la strada per centinaia di metri, Borsellino riprende vita e, in maniche di camicia e sigaretta alle labbra, comincia la sua deposizione davanti a un invisibile magistrato, suo collega, che lo ascolta in silenzio per quasi un’ora, durante la quale rivela la grande menzogna alla quale, appena morto, ha dovuto assistere inerme. Fava ricostruisce la sua tesi per la scena partendo dai sospetti lanciati dai figli di Borsellino, dai tanti omissis rimasti sospesi durante il processo, dalla famosa agenda rossa di cui si sono perse le tracce, dalla scrivania improvvisamente ripulita in pretura poche ore dopo la strage. Insomma, i particolari giudiziali rimasti pendenti – raccontati anche in un libro – e le tante stranezze che continuano a non trovare una soluzione diventano il tracciato da seguire in un contesto che assomiglia alla revisione del processo da parte della vittima.

26 febbraio 2025

«La leggenda del santo bevitore», di Joseph Roth

Roma, Teatro India
25 febbraio 2025

«UN APPLAUSO ALMENO ALLA CARRIERA»

Sedendomi al posto indicato sul biglietto, mi son trovato accanto a una giovanissima attrice del Centro sperimentale. Nei suoi occhi ho notato tanta incantevole curiosità durante l’attesa che ha preceduto l’inizio dello spettacolo. Nel frattempo, scambiando qualche parola, mi ha confessato che era lì per ammirare Carlo Cecchi, «un attore di cui ho sempre sentito parlare, ma che non ho mai visto recitare». È bello vedere un così candido entusiasmo giovanile elettrizzarsi soltanto per un nome. «Ho anche letto il testo in questi giorni». Beata innocenza! Mi sono rivisto nell’euforia dell’adolescenza quando volevo arrivare preparato all’apertura di sipario che però mi sorprendeva sempre: ogni volta, dietro la tela rossa, si nascondeva un effetto mai immaginato in precedenza. Oggi che i sipari sono diventati una rarità anche questa magia è pressoché scomparsa. Peccato!

24 febbraio 2025

«Porte chiuse» in faccia alla democrazia

Roma, 24 febbraio 2025

LE ELEZIONI IN GERMANIA E LA POLITICA DEGLI AMATORIALI

La politica non fa per me: né per cultura o tradizione familiare, né per volontà o aspirazione. Il mondo della politica da troppi anni è rappresentato da una pessima accolita di amatoriali: scarsa preparazione e inaffidabile serietà. Visto con occhio da palcoscenico l’operato etico e morale dei politici si potrebbe sintetizzare con una iperbole teatrale: al «chi è di scena» solitamente segue il «si salvi chi può» (boutade che più volte ho ascoltato dietro le quinte per scongiurare la catastrofe). Tuttavia i risultati delle elezioni in Germania fanno parte di un argomento assai delicato, che non riguarda solo i tedeschi, artefici di un drastico effettivo cambiamento epocale. Senza andare a scomodare, per paragone, la solita alternanza governativa che coinvolge ormai da anni il sistema elettorale americano (una volta per uno non fa male a nessuno, o forse fa male ad entrambi!), Deutschland ha parlato über alles, ossia per l’intera Europa. La vecchia cara Europa, vecchia davvero, ormai decrepita e incapace di tagliare il cordone ombelicale con l’ultima roccaforte d’avanguardia sociale, rimasta ferma al Dopoguerra: quella che da noi fu rappresentata da una audace resistenza partigiana che trovò sostegno ed egemonia in alcuni sodalizi concreti e luminari con Francia, Gran Bretagna e la rinascente Germania.

23 febbraio 2025

«Gente di facili costumi», di Nino Marino e Nino Manfredi

Roma, Teatro Quirino
22 febbraio 2025

UGO, PIGMALIONE CHE AMA ANTONIONI E BEVE TÈ

A teatro si va anche per ridere e, tra molti recenti tentativi non sempre riusciti, Flavio Insinna e Giulia Fiume, invece, hanno fatto centro. Gente di facili costumi è una commedia leggera ma intelligente e, malgrado i suoi 37 anni, il suo valore coscienzioso e, in un certo senso, educativo resiste ai cambiamenti morali che, anzi, sono molto peggiorati. Scritto da una coppia di grandi amici, due che avevano un’intesa formidabile – e si sente – Nino Marino e l’altro Nino, il grandissimo Nino Manfredi che fu Pasquino con Luigi Magni, che fu brutto sporco e cattivo con Scola, e fu il memorabile Geppetto con Comencini, e tanti altri personaggi ci sarebbero da ricordare, entrati nella storia della cinematografia, il testo è soprattutto un esempio di squisita e civile condotta da parte degli uomini nei confronti delle donne. E Nino Manfredi, che oggi, nel 2025, festeggerebbe 4 anni più di un secolo, lo si sente ancora vivo nelle battute della sua commedia, costruite sulle sue tonalità, i suoi ritmi, le sue cadenze paciose e indolenti, quelle che danno tempo a certi atteggiamenti muti e a quelle simpatiche smorfie di cui era maestro, di colorire il personaggio e di renderlo amabile, anche nella sua negatività.

21 febbraio 2025

«Marshmallows», di Angela Ciaburri

Roma, Spazio Diamante
20 febbraio 2025

I TOSSICI RAPPORTI DI QUATTRO MILLENNIALS

«Qui non c’è amore», dice Desy; e un attimo dopo anche Adele chiede «Dov’è l’amore?» Marshmallows, titolo dell’opera prima di Angela Ciaburri, è un’antifrasi che indica il contrario della dolcezza di un rapporto, l’opposto della morbidezza dell’amicizia. La commedia, che prende il nome dalle caramelle gommose di zucchero, indaga sui rapporti «tra i Millennials» (scrive l’autrice), ossia tra quei ragazzi che hanno raggiunto la maggiore età a cavallo del III millennio (che è la sua generazione). In effetti, però, la Ciaburri costruisce una ragnatela ben più vasta e solida: i quattro personaggi, protagonisti di una turbolenta convivenza, infatti, rappresentano un po’ tutte le generazioni postsessantottine. D’altronde il bisogno d’affetto è necessità atavica, e la ricerca d’amore è da sempre nascita e scopo dell’esistenza di ciascuno. Soltanto le abitudini sono cambiate dopo il boom economico degli anni Cinquanta. E, in particolare, i giovani hanno cominciato a prendere confidenza con una vita indipendente soltanto dopo i movimenti sociali del 1968. Prima si lasciava la casa avita soltanto dopo il matrimonio. Per cui una convivenza, organizzata tra amici, in una stessa abitazione, è databile in qualunque momento degli ultimi cinquant’anni. Non sono, dunque, i particolari legati ai Millennials che fanno di «Marshmallows» un quadro generazionale amaro e talvolta spietato: sono sempre gli affetti che allacciano e strappano amori e amicizie di ogni tempo ed età.

20 febbraio 2025

«Giovanna Dark» da A. Birkin, L. Besson, G. B. Shaw

Roma, Teatro Sophia
19 febbraio 2025

SI STA CON LA PULZELLA SUL SET DEL CINEMÀ

Matteo Fasanella è l’uomo delle imprese impossibili, delle sfide teatrali più impensabili. Mesi fa rivestì il ruolo di Cyrano in uno spazio che se gli consentiva di amare e poetare in un’atmosfera assai intima, non gli permetteva di tirar di scherma alla maniera d’un Musumeci Greco, cosicché i cadetti di Guascogna restavano bloccati e anche un po’ impacciati. Ora, in un luogo ancor più sacrificato, porta un dramma tra i più corposi della letteratura: quello di Giovanna d’Arco. E non in forma di monologo o di confronto strettamente processuale, ma, vestendo abiti ispirati all’epoca con tanto di spade, collane d’oro e corona, ripercorre alcune tappe della storia (poi diremo da quali fonti) con la sala del trono in evidenza, la stanza reale al livello superiore, una scalinata purpurea che discende in una vallea che di volta in volta conduce al villaggio, ai campi di battaglia, alla chiesa o alle prigioni. Impresa ancora più impervia, eppure, riuscita nella sua aurea di follia (ché di follia si tratta, ma ben venga!) con un effetto da «drammone».

19 febbraio 2025

«Il ministero della solitudine», di “lacasadargilla”




Roma, Teatro Vascello
18 febbraio 2025

IL PALCOSCENICO NON S’ADDICE
ALLA SOLITUDINE

Il teatro è stato nei millenni sempre un valido specchio dell’umanità, riflettendo in ogni periodo i personaggi che l’hanno caratterizzata. E se nei tempi antichi, greci e romani, grazie alla commedia, sono riusciti a rappresentare i tipi comuni più risibili, più viziosi e più perfidi, e a renderli eterni tanto da essere poi riproposti aggiornati in epoche successive da altri autori straordinari, quando, nel secolo scorso, s’è tentato di dar voce ai silenzi delle solitudini sono stati pochissimi coloro che sono riusciti a tradurre per la scena i drammi sociali causati dall’isolamento coatto e dall’incomunicabilità. Due argomenti che con il teatro – per usare un modo di dire abbastanza esplicativo – fanno a cazzotti. Beckett, Cocteau e pochi altri trovarono un loro stile per arginare il problema, perché la comunicazione diretta è alla base del sistema teatro; idem, per ovviare alle difficoltà rappresentative del romitaggio degli esseri umani e della loro segregazione, un male che purtroppo oggi abbrutisce il mondo intero.

17 febbraio 2025

«Prima della Tempesta» di Antonella Civale


Roma, Teatro di Documenti
15 febbraio 2025

STREHLER & DAMIANI: LA MEMOIRE

Giorgio Strehler, da ragazzo, avrebbe voluto fare il direttore d’orchestra, ma poi optò per dirigere, da regista, gli attori in teatro: grazie alla sua straordinaria immaginazione, gli bastava posizionare un’orchestra in palcoscenico per dar vita con un tocco di bacchetta magica al grande concertato che furono le sue regie, un’arte dove tutto era ricerca della perfezione. Chi conosce, anche per sommi capi, La tempesta di Shakespeare non ha gran difficoltà a intuire quante analogie ci siano tra Prospero e Giorgio Strehler: «Il più grande di tutti», ripeteva Vittorio Caprioli appena sentiva nominare il grande regista del Piccolo, accompagnando l’asserzione con un gesto della mano che cancellava ogni possibilità di fraintendimento.

15 febbraio 2025

«Quell’ultima parata» di Fabrizio Bancale

Roma, Spazio Diamante
14 febbraio 2025

LA STORIA DI SEGHESIO: «CHI ERA COSTUI?»

Fabrizio Bancale ci racconta la storia di Mario Seghesio – chi mai sarà codesto Carneade? – e, da quell’ottimo documentarista che è, ne fa un ritratto, come è indicato nel sottotitolo, assolutamente verosimile, aggiungendo stralci di logica immaginazione laddove la biografia langue perché mancano notizie certe. Soprannominato «Gheghe», Mario fu un pioniere del calcio. Giocava tra i legni, quando ancora non si chiamavano pali. Era, infatti, un portiere, ma dalla carriera non proprio impeccabile: 80 presenze nell’Andrea Doria (storica formazione di Genova) dal 1921 al ’26 e 110 reti subite, una media piuttosto altina, per la verità, benché all’epoca il calcio fosse assai diverso da quello odierno. Tifoso del mitico Zamora, numero uno della compagine iberica, ma soprattutto ammiratore devoto di Francesco Calì, che gli appassionati di pallone certamente ricorderanno, con il nomignolo di Franz, nel ruolo di capitano nella prima sfida della nazionale italiana giocata a Milano contro la Francia (15 maggio 1910).

13 febbraio 2025

«A torto o a ragione» di Ronald Harwood

Roma, Teatro India
12 febbraio 2025

RECITARE DI SPALLE, UN’ARTE RARA E SOPRAFFINA

«Finché si potrà ascoltare la musica di Beethoven e di Wagner la gente sarà libera». E se a dirlo è Wilhelm Furtwängler, il messaggio è chiaro: l’avvertimento suona come un monito per la seconda serata del raduno canoro della riviera di ponente. Verrebbe da correre immediatamente per le strade e gridare a squarciagola: italiani spegnete la televisione e ascoltate l’Inno alla gioia o il preludio del Lohengrin, vi sentirete più liberi. D’altronde anche il direttore d’orchestra amato e stimato da Adolf Hitler fu salvato dalla musica. Non furono mai trovate prove che testimoniassero i suoi contatti con il Terzo Reich: motivo per cui il tribunale di denazificazione non riuscì a spedirlo sul banco degli imputati a Norimberga. Da questi fatti storici, il commediografo Ronald Harwood, di origini ebraiche, scrisse Taking sides (in Italia conosciuta come La torre d’avorio) che nel 2001 divenne una sceneggiatura per il film A torto o a ragione, di István Szabó. Titolo preferito dal regista Giovanni Anfuso in un intenso e convincente allestimento, in scena al teatro India fino a domenica. Troppo poco, se mi posso permettere!

12 febbraio 2025

«Antonio e Cleopatra» di William Shakespeare

Roma, Teatro Quirino
11 febbraio 2025

ANNA DELLA ROSA, REGINA LUSSURIOSA

C’è subito da annotare che con un simile possente testo (malgrado sia stato ridotto a 140’ senza intervallo) e una resa attoriale di ottima qualità, la visione di questo Antonio e Cleopatra lascia una sensazione assai gratificante. Quando un regista trova il coraggio di rilanciare un’opera di Shakespeare tra le meno frequentate e a cavarne uno spettacolo che appaghi le esigenze di un pubblico, che ha preferito una prima teatrale alla serata inaugurale dell’annuale remake televisivo di Papaveri e papere (un pubblico elitario, quindi), costui può ritenersi soddisfatto. Alla vigilia, infatti, si temeva che la kermesse canora avrebbe rapito spettatori alla platea del Quirino: nonostante qualche defezione, il timore è stato scongiurato.

11 febbraio 2025

«Il minimo comune viaggiatore» di Vincenzo Mascolo

IL CIELO SOPRA L’OLIMPO

Nel suo quotidiano peregrinare lungo i percorsi poetici, Vincenzo Mascolo si concede una sosta per fissare il suo quarto studio in versi, stavolta per i tipi di Interno Poesia. Tutte le raccolte di Mascolo sono, infatti, approfondimenti su un tema, quasi univoco e sempre solido, sicché ogni suo libro si legge come un discorso che si completa con frequenti e misurate riflessioni, come bere una bottiglia di vino corposo a piccoli sorsi e scoprirne infiniti pregevoli gusti e retrogusti. Per Il minimo comune viaggiatore, ultima silloge, in ogni pagina c’è un attento sguardo rivolto alla fine di ogni cosa. Il viaggiatore è l’occhio che scruta alla finestra della vita ed è minimo perché resta fisicamente fermo, appartato nel suo pensatoio, ma il suo spirito vola nello spazio e nel tempo, sì che le immagini dei ricordi si incrociano in dissolvenze critiche, ma tutte suggerite da un tenace sapere. Il viaggio di Mascolo – senza passaporto, ma sotto identità di un poeta celeste – è un continuo partire e approdare da una lettura all’altra, da un autore studiato in gioventù a uno scrittore della maturità. Un percorso sapiente, obbligato, in cui si possono (e si devono) ritracciare, come in un rebus, distillati di letteratura, appunto, corposa, cólta, protettrice.

Pour vous