03 novembre 2025

«La matematica dell’amore», di A. Bennicelli (regia, E. M. Lamanna)

«La matematica dell’amore», di A. Bennicelli (regia, E. M. Lamanna)

Roma, Teatro Golden
2 novembre 2025

L’ETERNO AMORE TRA TOM E GERRY

Al termine dello spettacolo, Michele La Ginestra ha preso la parola per intrattenere, ancora un po’, il pubblico in sala. Oggi è diventata un’abitudine interrompere gli applausi per prolungare amichevolmente il rapporto con gli spettatori con pretesti non sempre attinenti al teatro. Invece, stavolta la questione centrale era più che pertinente: nonostante fosse appena terminata l’ultima replica, l’attore ha sentito la necessità di spiegare che, quando all’inizio si invita «il gentile pubblico a spegnere i cellulari», questi dovrebbero essere davvero spenti perché son fastidiosi. Ha ragione, La Ginestra: tra vibrazioni, squilli e schermi improvvisamente luminosi, lui stesso è stato disturbato un paio di volte perdendo la concentrazione. Ma quel che notavo mentre continuavo a osservare i suoi modi divertenti, i suoi toni simpatici, e le reazioni ridanciane in sala, è che tra l’attore di quell’istante che impartiva una garbata ramanzina agli spettatori e il personaggio a cui egli aveva dato voce fino a un attimo prima non c’era alcuna differenza. E la critica dello spettacolo è imperniata proprio su questo: se tra Geraldina (il personaggio femminile, detta Gerry) ed Edy Angelillo (che lo interpreta) si notano delle differenze di atteggiamenti, di parlata – i tempi recitativi – di timidezza, perché tra Tommaso e La Ginestra resta tutto identico? C’è qualcosa che non va!

02 novembre 2025

«Quanno fernesce ‘a guerra», di Rita Bosso (regia, M. Pizziconi)

«Quanno fernesce ‘a guerra», di Rita Bosso

Roma, Teatro Cometa Off
1° novembre 2025

«COME IL VENTO DEL MARE, VIENE PER FARTI SOGNARE»

Dopo lo spettacolo raggiungo un amico al ristorante.
- Pure oggi sei andato a teatro? Ma come fai?
- Mi diverto troppo.
- Tu lo sai che si può anche non andare a teatro?
- Sì, certo, ma è una possibilità che offre poche alternative.
- E riesci a divertirti anche se vedi un lavoro fatto male?
- Cambia il tipo di piacere, ma a lungo andare scopri che ci può essere un divertimento anche nella noia. Tuttavia ne devi essere consapevole. E devi soprattutto scindere la noia del testo che si riflette in platea, dalla noia in palcoscenico che invece, osservata dalla platea, diventa puro divertimento.
- Solo per te. Mica per tutti!
- Tranquillo! Siamo in due a Roma a divertirci con questo raffinato genere masochistico.
- Che sei andato a vedere stasera?
- Un lavoro che sulla carta mi aveva molto incuriosito. S’intitola: Quanno fernesce ‘a guerra.
- I soliti napoletani!
- Il tuo è uno sciocco pregiudizio. Ricordati che i napoletani quando stanno in scena hanno sempre una marcia in più.
- Sì, questo si diceva molti anni fa, ma ho avuto modo di constatare che non è più così!
- Infatti, stasera il migliore è stato Mauro Toscanelli che napoletano non è.
- Lo vedi che ho ragione! E, dimmi un po’, cos’è che ti aveva incuriosito di questo lavoro?
- Prima di tutto il titolo. «Quanno fernesce ‘a guerra» è una meravigliosa canzone della Nuova Compagnia di Canto Popolare. È del 1992 e fu scritta durante la Guerra del Golfo, ma la musica e il canto mantengono tutte le sonorità della nostra terra, della nostra sofferenza atavica. Io la cantavo con un gruppo di amici. C’è un verso che dice: «Comm’ ‘a viento de lu mare vene pe’ te fa’ sunnare».
- Come il vento del mare, viene per farti sognare. Bello!
- E sono arrivato in teatro con la speranza di sentire quella brezza che mi facesse sognare.
- Ed è successo?
- No. Però mi sono incantato…
- Già è qualcosa!
- Sì, a vedere Toscanelli nella parte di Pietro Nenni che con poco riusciva, malgrado il contesto, a disegnare un personaggio, a dargli una sua identità, perfino una connotazione temporale, pur non dialogando mai con qualcuno, se non con il ricordo di sua moglie che gli rispondeva cantando le canzoni di quel periodo. Mentre, invece, l’attore protagonista che avrebbe dovuto fare Benito Mussolini era completamente distante, non solo da Mussolini, ma da qualunque tipo di personaggio, e completamente fuori epoca.
- Non ti seguo: cosa c’entra la Guerra del Golfo con Mussolini e Nenni?
- Nulla. Ma il testo non ha niente a che fare con la canzone. Si riferisce al secondo conflitto mondiale e in particolare al momento in cui il Duce rassegnò le dimissioni al re che lo affidò alla tutela dei Carabinieri, e lo spedì in gran segreto sull’isola di Ponza, in attesa di trasferirlo poi in Sardegna.
- Mussolini andò a Ponza? Non lo sapevo.
- Sì, dal 27 luglio al 7 agosto 1943. Subito dopo la caduta del governo.
- Nenni era detenuto nel carcere di Ponza, giusto?
- Esatto, ed è lui che dalla sua cella lo vede arrivare a bordo del piroscafo e da lontano lo riconosce. Infatti, credo che alcuni particolari del testo siano stati ricavati proprio dai diari di Nenni.
- Be’, dev’essere interessante?
- Amico mio, interessante in teatro non è la vicenda, ma è quando hai davanti a te dei personaggi completi, personaggi che, grazie alle parole dell’autore, acquistano una loro vita. In questo caso, invece, ciascuno ha apportato la sua lezioncina di storia e nient’altro. O quasi! Ho notato, per esempio, la donna interpretata da Marina Vitolo, la quale in due scene sembra fare due personaggi opposti: la prima che non sa nulla del Duce, nemmeno lo riconosce, una isolana un po’ burbera, ignorantona, e attenta soltanto al proprio orgoglio, tant’è che, quando Mussolini fa un’allusione appena audace, lei gli tira un ceffone.
- Una del popolo che tira uno schiaffo al Duce, tre giorni dopo le dimissioni? Non è credibile!
- Ma la poverina, in quel momento, non sa chi ha di fronte. Non sa niente di niente.
- Questo giustifica il gesto.
- Certamente. Quando, però, poi entra per la seconda scena diventa all’improvviso una donna astuta, scaltrissima, capace di dettare a Mussolini la lettera che lo metterà in condizione di lasciare l’isola al più presto. Insomma, capisci bene che il testo è un pasticcio!
- È com’è la Vitolo, convincente?
- È brava, anzi è molto brava, brava come le attrici napoletane che hanno una marcia in più. Una vivacità scenica, briosa e comica assolutamente naturale, come quella di molti napoletani, anche quando non vogliono far ridere. Ma…
- Ma?
- Ma manca di quella educazione teatrale che le permette di comprendere che sta recitando due personaggi in uno! 
- Possibile?
- Te l’ho detto: i napoletani hanno una marcia in più. E questa ne è la prova. Basta che gli dai delle battute da ripetere, loro te le dicono meravigliosamente, ma senza mai riflettere sul mondo del personaggio che interpretano. Senza mai porsi il problema di un percorso logico: chi sono, cosa faccio, dove mi trovo. È come se quei mondi, anche se diversi, facessero tutti parte delle loro tante possibilità di vita. Non si tratta di ignoranza, ma di necessità: di mettere a frutto un’esperienza ancestrale e di condividere una estrema facilità a sognare con le parole di un altro.
- Come il vento del mare, viene per farti sognare!
- Esattamente. «Comm’ ‘a viento de lu mare vene pe’ te fa’ sunnare». (fn)
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Quanno fernesce ‘a guerra (Mussolini a Ponza), di Rita Bosso. Regia di Mariella Pizziconi. Con Mauro Toscanelli (Pietro Nenni), Marina Vitolo (Un’isolana), Fabio Fantozzi (Benito Mussolini), Fabrizio Nalli (Il Carabiniere), Titti Cerrone (La prostituta), Carla Carfagna (La perpetua), Simona Ciammaruconi (Carmen Nenni), e il piccolo Daniele. Alla fisarmonica, Alessandro Severa. Arredi, Aldo Rezk. Luci, Gloria Mancuso. Produzione: WhiteLight. Al teatro Cometa Off, oggi (ore 17.30) ultima replica

Foto: Titti Cerrone e Fabrizio Nalli (© ???)

01 novembre 2025

«Macbeth», di Shakespeare (regia, D. Pecci)

«Macbeth», di Shakespeare (regia, D. Pecci)

Roma, Teatro Greco
31 ottobre 2025

L’INTERPRETE SCHIACCIATO DALLA MOLE DEL GENERALE

Troppo impegnato a raccontarci la vicenda spicciola di Macbeth, Daniele Pecci perde il controllo sui sentimenti dei personaggi che danno vita a quella che è la tragedia moralmente più intensa della produzione di Shakespeare. Costruita su uno schema storico piuttosto semplice, tanto da non riuscire a scardinare le regole del teatro medievale, la difficoltà del testo è quella di saper equilibrare le doppie intenzioni dell’autore, il quale da una parte si pone l’obiettivo di condannare la cupidigia di potere degli uomini e dall’altra di alternare a fatti puramente crudeli, con raffinata abilità poetica, il mondo del sovrannaturale: il bosco, le streghe, lo spettro. Il regista, che pure si pone queste domande e cerca soluzioni sceniche, però, al dunque, si accontenta di affrontare le complessità semplificando fino a rendere ovvia la visione trascendentale.

29 ottobre 2025

«Re Chicchinella» di Emma Dante (da G. B. Basile)

© Masiar Pasquali

Roma, Teatro Argentina
28 ottobre 2025

LA DANZA DELL’IRONIA INTORNO ALLE DOGLIE DI CARLO III

Nella prefazione al Pentamerone (ed. 1925), Benedetto Croce scrive: «L’Italia possiede nel Cunto de li cunti del Basile il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari. … Eppure l’Italia è come se non possedesse quel libro, perché scritto in un antico e non facile dialetto.» Ed è vero, la raccolta secentesca delle fiabe di Giambattista Basile, fino all’inizio del XX secolo, è stata presa in considerazione soltanto all’estero, dove i lettori potevano godere delle traduzioni eseguite nella loro lingua: i fratelli Grimm ne beneficiarono non poco. Soltanto da qualche decennio circolano anche da noi traduzioni in un napoletano più comprensibile e facile da leggere. Cosicché, dopo la memorabile rappresentazione de La gatta Cenerentola di De Simone (1976), le storie del Pentamerone, che nelle intenzioni dell’autore voleva emulare, in nuce, l’esperienza letteraria del Boccaccio, hanno cominciato a circolare più agevolmente, tanto da indurre registi di cinema e di teatro ad abbeverarsi a questa copiosa fonte.

27 ottobre 2025

«Idillio. Leopardi e la luna», di Luigi Moretti

«Idillio. Leopardi e la luna», di Luigi Moretti

Roma, Teatro Tordinona
26 ottobre 2025

NEL «CANTO DEL PASTORE ERRANTE», TUTTA LA RABBIA DEL POETA

«Cara Luna, io so che tu puoi parlare e rispondere…» Si tratta dell’incipit del Dialogo della Terra e della Luna che fa parte delle Operette morali, e sul quale si avvolge l’Idillio ideato da Luigi Moretti: un intrattenimento in versi e prosa sulla poetica lunare di Giacomo Leopardi; un’analisi appassionata sul profondo rapporto di studio e amore, di mistero e devozione tra Leopardi e la luna; ma soprattutto, un intimo dialogo costruito con le parole del poeta recanatese, e con quel suo «potere di comunicare – attraverso l’immaginifica luna, scrive Calvino – una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo».

26 ottobre 2025

«Eigengrau», di Penelope Skinner (regia, F. Le Pera)

«Eigengrau», di Penelope Skinner, regia di F. Le Pera

Roma, Teatro Belli
25 ottobre 2025

QUEL GRIGIORE CHE SI ADAGIA SULLA FIDUCIA DELLA GIOVENTÙ

Eigengrau è il colore delle nuove generazioni, che meglio s’intona al loro modo di esprimersi, di divertirsi, di colorare le loro emozioni. In tedesco significa «grigio proprio», ed è una tonalità appena più chiara dell’oscurità, quella nella quale vivono tanti ragazzi. Penelope Skinner (mi è già capitato di vedere l’allestimento di qualche suo lavoro) è autrice inglese molto attenta ai giovani: non ha ancora 50 anni, ma osserva con occhio scrupoloso l’esistenza e il modus vivendi di chi è cresciuto dopo di lei. In «Eigengrau» presenta quattro personaggi: Mark, Chessie, Rose e Tom, due uomini e due donne. Ognuno rappresenta un differente carattere, ognuno si porta dentro qualche silenzioso trauma infantile, ognuno espone timidamente le proprie paure. Il risultato è che, quando si trovano uno di fronte all’altro, ciascuno pensa alla propria difesa, ma nessuno sa come condurre il gioco. E quando accade che bisogna sferrare un attacco per cominciare una relazione, amichevole o amorosa, non esiste altra possibilità che il disastro.

25 ottobre 2025

«Frankenstein_dipstych», by Motus

Roma, Teatro Vascello
24 ottobre 2025

«CHE TERRIBILE NOTTE!»

Nelle esili cantinelle, il mondo artigianale del teatro

Rubo direttamente a Frankenstein la battuta per titolare questa esperienza vissuta al Vascello che ho raggiunto per assistere al dittico dedicato al mostro ideato da Mary Shelley e messo in scena, per Romaeuropa Festival, dalla compagnia Motus di Daniela Nicolò & Enrico Casagrande. In Frankenstein_dipstych si riflettono l’uno nell’altro due spettacoli: alla storia d’amore (love story), tra la scrittrice e la sua creatura, s’oppone il capitolo dell’odio (history of hate) perché l’orrore alimenta l’odio; e quando il mostro scopre l’orrore su se stesso tutto e tutti diventano bersagli di odio. Parola oggi abusata come sinonimo bellico che sta per distruzione, mentre invece letterariamente l’odio sarebbe la non creazione, ossia il contrario dell’opera di uno scrittore. E questo vuol essere il senso del dittico: l’opera dello scrittore è creazione, quindi amore; e la creatura nata dalla penna d’amore non morirà mai. Ma ogni creatura, pur se nasce innocente, viene messa alla prova dal mondo malvagio e così il bene dell’infanzia e il calore degli affetti si trasformano in odio.

24 ottobre 2025

«Anno Omega», di Maria Letizia Avato (regia, M. Belocchi)

«Anno Omega», di Maria Letizia Avato

Roma, Teatro di Documenti
23 ottobre 2025

FELICE DI POTER DIRE LA VERITÀ A DIO

Marco Belocchi sceglie la sala del teatro dei Documenti per rappresentare i due brevi atti unici di Maria Letizia Avato, entrambi tratti da racconti della stessa autrice, e legati a un unico tema, indicato nel sottotitolo: Quando tutto ebbe inizio. Il tutto si riferisce alla vita, prendendo spunto dalla creazione di Dio, e cercando di tornare alle origini di un Amore puro, «necessario come il pane» (dice il poeta), e protetto dalla benedizione della Poesia. Ma siccome dalla settimana dedicata alla Genesi, secondo la tradizione biblica, ogni cosa è già avvenuta, prima di tornare al punto di partenza, occorre chiudere questo ciclo vitale che ci compete, perché evidentemente è sfuggito dalle mani del Creatore e il male regna ormai ovunque: così Anno Omega segna il momento della fine. Dio, nel libro dell’Apocalisse, si definisce l’alfa e l’omega, prima e ultima lettera dell’alfabeto greco, ossia il principio e la fine.

23 ottobre 2025

«L’importanza di chiamarsi Ernesto», di Oscar Wilde (regia, G. Gleijeses)

«L’importanza di chiamarsi Ernesto», di Oscar Wilde (regia, G. Gleijeses)

Roma, Teatro Sala Umberto
22 ottobre 2025

«TUTTO FUMO E NIENTE ARROSTO», DISSE G. B. SHAW

Geppy Gleijeses ricorda nelle note di regia che L’importanza di chiamarsi Ernesto è stata definita da critici autorevoli «la commedia perfetta». Giusto rammentarlo, perché The importance of being earnest è opera talmente perfetta che sarebbe prudente non rappresentarla. Fa parte di quel gruppo di commedie intoccabili, che per loro naturale immobilità letteraria e intellettuale rischiano di muffire nella soffitta di un museo. Allora ha fatto bene Gleijeses a riprenderla con l’intenzione di scuoterla con nuova vitalità e restituirle il movimento frizzante del palcoscenico. In verità, già venticinque anni fa egli stesso interpretò il ruolo di John Worthing, sotto la direzione di Mario Missiroli e sempre con Lucia Poli nelle vesti di Lady Bracknell. Era il 2000, periodo complicato per il sottoscritto poter andare a teatro, pertanto non riuscii a vedere quell’edizione.

22 ottobre 2025

«Le cose che t’ho imparato», di Carlo Picchiotti (regia, S. Prestinari)

«Le cose che t’ho imparato», di Carlo Picchiotti (regia, S. Prestinari)

Roma, Teatro Cometa Off
21 ottobre 2025

IL REALISMO CRUDELE DI UNA GRICIA DIETRO LE SBARRE

Oltre alla regia, Siddharta Prestinari firma anche l’adattamento di un testo che sembra essere stato scritto appositamente per le caratteristiche d’attore (e le abitudini culinarie) di Stefano Ambrogi: quindi non ci è dato sapere quanto il vestito cucito su misura sia quello originario di Carlo Picchiotti o se, appunto, l’abito è stato adattato per l’occasione. Il risultato comunque è che taglio e stile trovano sull’interpretazione di Ambrogi la quasi perfetta rifinitura (e sul quasi esporrò in seguito). Ineccepibile conflittualità, invece, si legge dalla rivalità dei due personaggi che danno vita a Le cose che t’ho imparato, una storia dall’aria trucida che si svolge nei pochi metri quadrati della cella di un penitenziario di massima sicurezza. All’anziano ergastolano burbero e prepotente, ma con un bagaglio pieno di avversità vissute, si contrappone la sprovveduta inesperienza del giovane archeologo, interpretato da Ermenegildo Marciante, finito in cella in attesa di giudizio.

18 ottobre 2025

«Con l’acqua alla gola», di F. Benedetto (regia, G. Eleonori)

«Con l’acqua alla gola», di F. Benedetto (regia, G. Eleonori)

Roma, Teatro Trastevere
17 ottobre 2025

E NON ERA NEMMENO YOGURT!

A volte succede che le poche note che si leggono sui comunicati – quelle solitamente scritte dalla compagnia – e che si piccano di accendere un bagliore di curiosità nello spettatore, spieghino perfettamente quel che accade sulla scena. Con l’acqua alla gola è così presentato: «Un appartamento invaso da scatole di yogurt scaduti e illuminato solo dal bagliore di un frigorifero: è qui che prende vita una commedia nera e surreale, in cui i confini tra ironia e disperazione si sfumano fino ad annegare su sé stessi. Sul palco, i giovani attori, forti di un affiatamento travolgente, trascinano lo spettatore in un viaggio che alterna ironia feroce e visioni apocalittiche, fino a un epilogo in cui il quotidiano si trasforma in rivelazione.» Dunque, che cosa accade in questo appartamento invaso da contenitori di yogurt? Sinceramente il suggerimento – l’aiutino, direbbe qualcuno – che gli artefici ci offrono, non chiarisce molto. Oltre al titolo, il giovane autore Francesco Benedetto avverte la necessità di aggiungere un sottotitolo, Sulla punta della lingua: evidentemente anche a lui è sorto qualche dubbio sulla comprensione della presentazione del suo progetto.

17 ottobre 2025

«Ad A.», scritto e diretto da Sara Esposito

«Ad A.», scritto e diretto da Sara Esposito

Roma, Spazio Diamante
16 ottobre 2025

LA LIBERTÀ VISTA DAL PIANETA ALZHEIMER

In teatro ormai aprire il sipario su uno spettacolo senza la scenografia è all’ordine del giorno: d’altronde, si sa, la scena ha un costo e per risparmiare se ne fa a meno. Più raro è cominciare uno spettacolo che prevede una scena e, per un disguido, invece, questa non c’è. Allora gli attori si caricano di un peso psicologico insolito, ingombrante, indisponente, che diventa una preoccupazione insopportabile durante la recita, perché pensano ovviamente che l’allestimento sia incompleto, temono che i movimenti provati possano diventare un impaccio, addirittura ridicoli; insomma, in simili occasioni, forse sarebbe stato meglio non prevederla proprio una scenografia, sarebbe stato opportuno, addirittura logico, rimandare il debutto.

15 ottobre 2025

«The prudes» di Anthony Neilson (regia, G. Fogacci)

«The prudes» di Anthony Neilson (regia, G. Fogacci)

Roma, Teatro Cometa Off
14 ottobre 2025

UN GUSTOSO TENTATIVO DI SCANDALIZZARE I MORALISTI

The prudes in inglese significa i moralisti, i puritani, coloro che non vedono di buon occhio gli argomenti osé. Tuttavia, nel testo dello scozzese Anthony Neilson, al di là dello sviluppo della trama, si intuisce, con una sostenuta evidenza, l’intenzione di una sfida, direi una contestazione, nei confronti del teatro di narrazione, che altro non è che un attore solo che si esibisce con un monologo in proscenio. Un monologo solitamente banale che spesso porta alla ribalta argomenti «di facili costumi», dove volentieri si parla di sesso, talvolta anche spinto, ma mai esibito, per catturare la curiosità del pubblico crasso (quello televisivo) che ama lasciarsi scandalizzare dalla battuta volgarotta: in questo modo il mattatore conquisterà abilmente valanghe di applausi, riscuotendo immediati consensi. Osserviamo, invece – sottintende l’autore – come reagiscono gli spettatori quando si trovano di fronte a una coppia che in palcoscenico, davanti agli occhi dei tanti prudes che siedono in teatro, vuole ritrovare il desiderio sessuale degli anni migliori, vuole riprovare l’emozione di quell’esuberanza giovanile ormai da tempo sopita.

07 ottobre 2025

«Edipo a Colono», di Sofocle (A. Evangelisti)

«Edipo a Colono», di Sofocle

Roma, Teatro Ateneo
6 ottobre 2025

FINALMENTE UN CORO AFFOLLATO PUÒ ESPRIMERE L’ANIMA DELLA TRAGEDIA

Sono lontani i tempi in cui si poteva assistere alla rappresentazione di una tragedia greca allestita come se fosse appena stata scritta dal suo autore: senza idee originali e senza stravolgimenti, senza proiezioni e senza automobili o motociclette che arrivano dalle quinte, senza jeans strappati e senza cappotti neri, senza parrucche cotonate e senza calze a rete. La tragedia autentica, così com’è stata ideata, portata sulla scena di un teatro moderno, tolta dal suo antico spazio dove nacque qualche millennio fa e riproposta tale e quale, con una traduzione esatta, resa scorrevole, e con qualche taglio opportuno, e rappresentata con fedeltà letteraria e semplicità teatrale.

06 ottobre 2025

«Supernova», scritto e diretto da Mario De Masi

«Supernova», scritto e diretto da Mario De Masi

Roma, Teatro India
5 settembre 2025

‘E FIGLIE SE ‘MPARANO CU LL’UOCCHIE!

La stagione teatrale è appena cominciata ed è già un continuo rincorrere l’ultima replica degli spettacoli in programma per cercare di non rimanere indietro con le visioni. Il teatro, che una volta era molto faticoso per attori e tecnici, quando le compagnie attraversano l’Italia in lungo e in largo e i debutti si susseguivano ogni giorno, talvolta senza nemmeno la pausa del riposo, ora che le tournée sono in ribasso, diventa un’ardua impresa più per l’assiduo spettatore stakanovista che per gli addetti ai lavori. Il Teatro di Roma, propone, in apertura all’India, Supernova, scritto e diretto da Mario De Masi, con un cast di tre bravi attori e una eccellente drammatica danzatrice e coreografa di origine russa, Lia Guisein-Zadé. Occorre partire dal titolo per capire il ciclo evolutivo della «follia» di un autore partenopeo che vede il nucleo, affettivo e carcerario, della famiglia girare intorno alla figura materna che paragona all’effetto cosmico più possente e splendente. «La supernova – sintetizza la nota riportata sul programma – è un’esplosione stellare provocata da una stella che ne ingloba un’altra più piccola, dando luogo a una reazione violentissima e luminosissima che dura per un certo tempo. La materia prodotta dall’esplosione si disperde nell’universo dando vita a nuove stelle, mentre il nucleo collassa su sé stesso e crea un buco nero».

05 ottobre 2025

«Candido» di Rossi/Beddini

Roma, Spazio Diamante
4 ottobre 2025

VENTOTTO PERSONAGGI CON LA STESSA VOCE E UN INUTILE MICROFONO

Non faccio a tempo a uscire da un teatro, dove mi lamento della locandina, per entrare in un altro che invece contrappone un capolavoro del marketing. Non vorrei sembrare ripetitivo, ma l’importanza della locandina è determinante: non certo per la buona riuscita di uno spettacolo, ma per predisporre l’animo dello spettatore, per incuriosirlo, per allettarlo, per consolarlo e a volte anche per adescarlo: com’è successo per questo Candido che non ha nulla né di Voltaire né di G. B. Shaw che ne scrisse una famosa versione al femminile. Il personaggio interpretato da Michele Savoia conserva il carattere gaio, innocente, fresco di genuinità, ma non pretende di emulare il suo omonimo predecessore. Il richiamo in locandina si espande con varie voci: la prima è «… e altri 28 personaggi», e poi «produzione musicale», ma soprattutto quando leggo «coreografie» la mia curiosità prende il sopravvento. In scena è annunciato un solo attore, a me sconosciuto, dall’aspetto assai giovanile: sarebbe davvero un peccato – penso – perdersi un simile talento, uno che balla, canta e capace di interpretare circa trenta personaggi. Mica è poco!

02 ottobre 2025

«Titus» (Shakespeare); adattamento e regia, Davide Sacco

Roma, Teatro Quirino
1° ottobre 2025

NON È PRUDENTE FAR ENTRARE I VINTI IN CASA PROPRIA

Premessa. La recensione è corredata di un’immagine insolita (e provocatoria) per mancanza di altre fotografie decenti da pubblicare: una sola sul sito del Quirino e a bassissima risoluzione (non utilizzabile), e altre poche, rintracciate sul web, che ritraggono solo primi piani insignificanti. Inoltre è vergognoso che chi vuole occuparsi della fatica degli attori debba andare a elemosinare, a notte inoltrata, tramite conoscenze, la distribuzione delle parti, soltanto perché non si vuol stampare una locandina con personaggi e interpreti e quindi rendere gli attori riconoscibili. Queste difficoltà sono il segno evidente che in teatro nessuno ha più voglia di lavorare con professionalità, decoro e rispetto: soprattutto non si pensa più al bene degli attori. Unico obbiettivo oggi è risparmiare il più possibile: ma il teatro è un mestiere faticoso e non accattonaggio. Caro Coppolino, se fai salire tua figlia in palcoscenico, hai il dovere (da produttore e da padre) di darle un’identità; se non la rendi riconoscibile al pubblico, hai cancellato tua figlia. Ci vuole la locandina con la distribuzione del cast: è indispensabile per essere un buon produttore. E penso che, in qualche modo, possa giovare anche al genitore!

A Davide Sacco che nel sottotitolo chiede apertamente Why don’t you stop the show? (perché non volete fermare lo show?) rispondo: perché fuori c’è aria di guerra e preferisco la guerra finta in palcoscenico, preferisco l’odio fittizio dei personaggi inventati da un grande autore, anziché attraversare la strada – come realmente è accaduto al termine dello spettacolo – e trovare un muro di polizia, in divisa antisommossa, schierato, a mezzanotte, a difesa di Palazzo Chigi per paura di attacchi sovversivi ai danni della sede del governo. Tralasciamo i motivi che possono essere tanto giusti quanto sbagliati, ma credo sia sufficiente questa apocalittica visione notturna per far luce sullo spaccato cruento e crudele ideato da Shakespeare e rielaborato da Sacco. Il «Tito Andronico» è certamente la tragedia più sanguinaria del Bardo, e la riscrittura non ne ha risparmiato nemmeno una goccia, se non la carneficina dei molti personaggi soppressi dal testo originale.

30 settembre 2025

Incontro con Dino Trappetti

Roma, 29 settembre 2025

ALLE CINQUE DEL MATTINO, L’URLO DI TIRELLI: «È MORTO ROMOLO»

«Valli, sempre Valli, fortissimamente Valli»

Questo articolo non è soltanto il resoconto di un’intervista, anche se prende consistenza dalle parole di Dino Trappetti su Romolo Valli. Avevo chiesto a Dino di parlarmi degli ultimi momenti vissuti dall’amico: anni fa me ne parlò Peppino Patroni Griffi, e poi anche Anita Bartolucci, ma volevo sentirlo dalla sua voce, perché tra tutti gli amici di Romolo, lui quella sera era stato lì, al suo fianco, fino a poco prima della tragedia. Questo articolo è il proseguimento naturale di quello che pubblicai nell’aprile scorso, quando, prendendo a pretesto il ritrovamento di una recensione di qualche anno fa, la riscrissi tralasciando completamente la visione dello spettacolo, non ne valeva la pena, e dando la precedenza ai veri protagonisti di Prima del silenzio. Questo articolo vuole essere un atto dovuto nei confronti di uno dei protagonisti più illustri del nostro palcoscenico; vuole essere un colpo di spugna sulle tante menzogne che si dissero all’epoca intorno a un episodio che fu soltanto il tragico epilogo di un grande attore che viveva del piacere della parola che in lui trovava sempre l’asilo più naturale e confortante.

28 settembre 2025

«Canzoni in forma di nuvole», di Gianni De Feo

Roma, TeatroSophia
27 settembre 2025

LE SOLITUDINI DI SERGIO ENDRIGO E DI JACQUES BREL

Gianni De Feo inaugura la stagione del TeatroSophia nel modo migliore, proponendo due speciali serate canore in omaggio a Jacques Brel e Sergio Endrigo. Canzoni come sogni, nuvole come leggerezza, storie come poesia: sono per De Feo le fondamenta di una metafisica casa «molto carina, senza soffitto, senza cucina». In quella casa nascono le note e la voce che sembrano incamminarsi assieme per un sentiero più aereo che terrestre, eppure denso di consistenze musicali e poetiche, valori che i due artisti sono riusciti a perseguire durante la loro carriera dagli anni del Dopoguerra. Irrequieto il francese di origine belga, più tranquillo l’italiano di origine istriana, entrambi sono stati autori di brani che il successo ha reso eterni. Canzoni in forma di nuvole è un inno alla solitudine, una necessità evasiva che nell’artista diventa spesso il punto di forza tanto da cercarla come da fuggirla.

27 settembre 2025

«A place of safety», ideazione Kepler-452

Roma, Teatro Vascello
26 settembre 2025

IN SCENA TUTTA LA NOIA DEL REPORTAGE TELEVISIVO

A volte l’indisposizione di chi osserva uno spettacolo nasce dalla prospettiva di una generica visione sul teatro opposta a quella di chi propone la novità. A place of safety, che all’ultima recente premiazione delle Maschere del teatro italiano ha trionfato proprio nella categoria delle novità (e di questo mi sento corresponsabile, pur se passivo), m’è parso un noiosissimo reportage giornalistico redatto sulle navi Ong: una sorta di documentario animato su un’imbarcazione di soccorso della Sea-Watch, con tanto di lezioncina tecnica sul salvataggio dei profughi a largo di Lampedusa e della loro sistemazione in stiva. Per carità, lungi dal voler sollevare polemiche a sfondo politico: il lavoro, la fatica, il coraggio di chi si imbarca per soccorrere i naufraghi e portarli in salvo, o recuperare corpi privi di vita in mare aperto, è fuori discussione; l’azione di costoro è encomiabile sia per i loro propositi umanitari, sia per i rischi a cui vanno incontro, sia per le assurde difficoltà che i governi bizzarri, talvolta con finalità piratesche, oppongono alla nobile iniziativa delle organizzazioni. Ma in palcoscenico non siamo in mare aperto e la prospettiva deve essere diversa da quella giornalistica. Non può essere la stessa che si vede nei filmati televisivi o nelle riprese che viaggiano sul web o come nelle precise redazioni della Gabanelli. Non posso e non voglio vedere in teatro quel che la realtà quotidiana mi propone con le stesse modalità di rappresentazione: le confessioni, le rivelazioni, le spiegazioni, e poi il ponte della nave, la passerella per salire a bordo, i giubbotti di salvataggio, i sacchi bianchi per avvolgere i cadaveri. Ogni particolare racchiuso nella freddezza del realistico e del didascalico. Tutto già visto!

25 settembre 2025

Intervista con Roberto Russo

Intervista con Roberto Russo

Roma, 24 settembre 2025

L’ERETICO DEL TEATRO,
IL DRAMMATURGO DELLE LIBERTÀ

«In palcoscenico incombe una nebbia rossastra. Non esistono belle parole per descrivere quel che stiamo vivendo»

L’occasione per un incontro con Roberto Russo è la notizia di un importante riconoscimento che gli sarà consegnato sabato 27 settembre. Con cerimonia che si terrà al Teatro Sannazzaro di Napoli, il drammaturgo partenopeo, classe 1960, riceverà il Masaniello «Unicum», intitolato a Guglielmo Celestino, il Conquistacuori. Destinato a chi si è particolarmente distinto per le sue qualità professionali, il premio celebra coloro che sono riusciti a interpretare con la loro opera lo spirito della città. L’appuntamento, fissato a Napoli per domenica 21, ovviamente di sera, al ristorante e nell’atmosfera più amichevole e confidenziale che si possa immaginare, viene però turbato sul nascere da una curiosa coincidenza. Ero da poco sceso dal treno, in tarda mattinata, e stavo per raggiungere il luogo che mi avrebbe ospitato, quando all’altezza del San Carlo una ferale notizia mi raggiunge: «È morto Roberto Russo», mi avverte un’amica al telefono, ignara che mi trovassi a Napoli proprio per incontrare… Roberto Russo. Sul momento l’effetto sorpresa è stato abbastanza scioccante: non capita tutti i giorni di partire per andare a intervistare un fresco estinto! Poi l’improvviso nome di Monica ha riportato chiarezza: conoscevo il marito della Vitti, ma non tanto da rivolgere a lui il primo pensiero.

19 settembre 2025

«La tecnica della mummia» di John Mortimer (Spinetta-Di Filippo)

Roma, Teatro Cometa Off
18 settembre 2025

UNA SARCASTICA IPERBOLE GIUDIZIARIA NELLA CELLA DELL’ASSURDO

Un tavolo al centro con due sedie ai lati rivolte al pubblico. Sul ripiano, un vaso con una pianta. Due microfoni laterali in attesa di essere usati all’occorrenza. Forse, però, manca qualcosa alla scena: l’elemento protagonista, quello della speranza, dell’ispirazione, quello dal quale dovrebbe filtrare una luce evocativa che dia senso tragico al gioco perfido che i protagonisti creano nel buio delle loro vite. A un certo punto s’è avvertita forte la mancanza di una finestra, quale improbabile via d’uscita, ma necessaria, segnata appena da un riquadro, che i due disperati inseguono da tempo, e che forse nemmeno vedono più; eppure, quasi la invocano per tutto l’arco della messa in scena. Una messa in scena che ha il sapore amaro della finzione nella finzione, una sarcastica iperbole dell’assurdo costruita da John Mortimer nel 1958 sul sistema giudiziario, e che, grazie a un adattamento della coppia d’attori vincitrice del Premio nazionale Scintille 2023, risulta ancora molto attuale. Marcello Spinetta e Christian Di Filippo sono rispettivamente l’avvocato Morgenhall e il condannato Fowle, oltre ad essere registi di sé stessi.

18 settembre 2025

Alessandro Longobardi presenta 58 spettacoli

Roma, Spazio Diamante
17 settembre 2025

PINO LE PERA: «LO SPAZIO DIAMANTE È UN PDF»

I miei quattro lettori più attenti avranno notato che, in questi ultimi mesi, a differenza del passato, ancora non ho mai pubblicato un articolo sulle presentazioni dei cartelloni targati 2025/26. In realtà non sono nemmeno andato alle riunioni di fine stagione per evitare di ripetere di trascrivere le solite riflessioni, di giungere alle identiche conclusioni sui difetti del nostro sistema teatrale. Sì, perché la sensazione con cui si esce da queste assemblee annuali sono, grosso modo, sempre le stesse. Cambiano i titoli degli spettacoli – tranne che per i classici, ovviamente – ma i nomi degli attori ritornano ciclicamente e i problemi pure. Con la velocità del web non si fa a tempo a dare una notizia inedita che è già di dominio pubblico in un batter d’occhio, compreso il cartellone. Insomma, generalmente, le presentazioni delle stagioni teatrali sono diventate ripetitive e noiose. Eppure, allo Spazio Diamante, invece, mi sono recato con piacere, e con divertimento ho assistito a una cavalcata infinita di titoli, di attori sempre simpatici e soprattutto di grande entusiasmo e fermento.

17 settembre 2025

Giuseppe Patroni Griffi, revocati i diritti del primo romanzo

Roma, 17 settembre 2025

«ROSALINDA SPRINT È UN PERSONAGGIO LETTERARIO»

La frase riportata nel titolo, che oggi suona come una sentenza postuma, in verità fu un’asserzione convinta dell’autore: posso testimoniarlo personalmente (e non soltanto io). Qualche giorno fa gli eredi dei diritti Siae di Giuseppe Patroni Griffi, scomparso il 15 dicembre 2005, a 84 anni, hanno deciso, a vent’anni dalla morte dello scrittore, di «non autorizzare più alcuna rappresentazione dell’opera Scende giù per Toledo», romanzo pubblicato per la prima volta da Garzanti nel febbraio 1975. Una decisione che ha colto di sorpresa qualche addetto ai lavori teatrali, già in procinto di riallestire la propria performance. Nessuno sgambetto, però: chi deteneva i diritti e già aveva programmato lo spettacolo per la stagione che sta per cominciare non sarà messo in difficoltà; ancora per un anno potrà beneficiare del consenso. Decisione molto corretta, anche se probabilmente lascerà l’amaro in bocca a qualcuno.

14 settembre 2025

Le Maschere del Teatro 2025: la serata

Roma, Teatro Argentina
12 settembre 2025

LA GIOIA CONTAGIOSA DI SARA E LA SILENZIOSA DIGNITÀ DI ELIA

Festa grande all’Argentina di Roma per la consegna delle Maschere del teatro 2025. Cinque premi a «Sarabanda», regia di Roberto Andò, tre a «Ho paura torero», regia di Claudio Longhi, ma il premio più importante se lo è aggiudicato il classico dei classici: «Re Lear», diretto e interpretato da Gabriele Lavia. Tuttavia la novità più vistosa riguarda l’assenza dal palcoscenico di Solenghi, presentatore storico dell’evento, che l’altra sera sedeva comodamente in platea. La serata, infatti, è stata guidata da una nuova coppia di conduttori che si sono molto ben spalleggiati: la più professionale Teresa Saponangelo (che a breve, sotto la regia di Luca De Fusco, patron del Premio, sarà Donna Rosa, protagonista di «Sabato, domenica e lunedì»), sobria e precisa, e il giovane Antonio Bannò, capace di alleggerire con scioltezza e simpatia la ripresa Rai, andata in onda a tarda serata. Anzi a tardissima nottata. Ci si chiede, da tempo, per quale motivo gli spazi televisivi che le reti nazionali riservano al teatro di prosa siano sempre più per nottambuli incalliti? Bannò, eccessivamente premuroso, più di una volta è stato costretto a sollecitare gli ospiti, affinché non si dilungassero troppo nelle dichiarazioni di rito, ma alla fine il vero ritardo ai telespettatori è stato imposto proprio da RaiUno.

13 settembre 2025

Le Maschere del Teatro 2025: i premi

VINCE IL RE LEAR DI LAVIA

Si è svolta sul palcoscenico del teatro Argentina di Roma la premiazione delle Maschere del teatro italiano 2025, competizione giunta alla XXII edizione


Ecco le terne con i vincitori evidenziati in grassetto.

MIGLIORE SPETTACOLO DI PROSA
«Re Lear» di W. Shakespeare (regia di Gabriele Lavia)
«A place of safety» (regia di Kepler 452)
«Capitolo due» (regia di Massimiliano Civica)

13 agosto 2025

Intervista con Maria Cristina Gionta

Erbalunga, 12 agosto 2025

«DIETRO IL SIPARIO SONO LIBERA DI PIANGERE E DI URLARE»

Per un’intervista sarà da usare la preposizione a o con? Questa domanda me la sono posta, per la prima volta in vita mia, sedendomi a tavolino a rileggere gli appunti presi circa un mese fa durante una piacevole chiacchierata con Maria Cristina Gionta, l’attrice che non t’aspetti, una ex ragazza dagli occhi magnetici che mantengono lo sguardo concentrato alla ricerca continua della linfa del sapere. In realtà tra le due preposizioni c’è poca differenza, questione di sfumature, ma la tendenza mira a sottintendere che dietro un’intervista a qualcuno ci sia un’istituzione (che sia una testata giornalistica o un ente privato o pubblico): ciò significa, senza scomodare regole ufficiali, che, usando il con, il rapporto tra intervistato e intervistatore si addolcisca e che i ruoli si sciolgano al dialogo sodale intorno alla questione che più ci sta a cuore: la scelta di un buon bicchiere di vino che accompagni il pasto, intorno al quale le esperienze professionali e i primi ricordi di palcoscenico di Maria Cristina facciano da miglior condimento.

04 agosto 2025

«Tacchi d’acciaio», romanzo di Marcantonio Lucidi

Erbalunga, 4 agosto 2025

«LA LIBERTÀ È UNA CHIAMATA»

Dopo circa tre mesi di estenuante clausura fisica nonché intellettiva, dovuta a una lunga, oppressiva e soprattutto calda, ristrutturazione casalinga, da sotto le macerie della fatica e della polvere, torna ad affacciarsi la copertina del libro di Marcantonio Lucidi che avevo messo da parte per riprenderlo a fine lavori e dargli giusto riconoscimento. Mi sentivo in debito con Lucidi. Un libro è un valore, quando è ben scritto, e maggior significato acquista quanti più particolari toccano, sfiorano, accarezzano la memoria e le esperienze di ciascun lettore. Tacchi d’acciaio, s’intitola: laddove i tacchi che «tacchettano senza tacchettio» sono, come si evince dalla foto di copertina, quelli di una donna vivace, emancipata al limite della spericolatezza, di carattere fermo, certamente dotata di grande femminilità e intelligenza, cosciente della propria vulcanica esuberanza d’artista ribelle, ma senza troppa ambizione e senza animosità femminista, argomento che più volte viene esaminato alla luce del sole o anche in controluce, ossia dalla parte dei maschi. Giovanna, Gio’ per gli amici, è la baronessa Bruno di Belmonte di nobile schiatta siciliana, e dovrebbe essere – il condizionale è più che giustificato – la protagonista del romanzo. Con lei, e con le sue abitudini un po’ stravaganti e un po’ altezzose e talvolta tenerissime, si alternano alcune figure maschili, tra cui quel Maurice, francese d’origine, che guarda caso porta lo stesso cognome dell’autore.

21 giugno 2025

Ancora sul Teatro della Pergola

Alessandro Giuli, ministro della Cultura

Roma, 21 giugno 2025

UNA POSTILLA NECESSARIA

All’indomani del polverone sollevato a Firenze, dopo lo choc per l’annunciato declassamento del Teatro della Pergola, la cui eco ieri è giunta fino in piazza della Signoria con poche spiegazioni da parte del Ministro della cultura e troppe proteste fumose dei soliti piagnoni, la timida voce del sottosegretario dello stesso dicastero, Gianfranco Mazzi, che ha la delega per lo Spettacolo dal vivo, annuncia: «Dopo aver appreso delle plateali dimissioni di tre componenti della commissione teatro del Ministero e che due di loro, nominati come figure tecniche dalla Conferenza unificata di Regioni, Province e Comuni, sono in realtà esponenti di partito, ho deciso di accelerare una decisione già da tempo condivisa con le associazioni più rappresentative del settore. Insedieremo entro pochi giorni un gruppo di lavoro per lo studio e l’individuazione di nuovi criteri e nuove modalità per l’assegnazione dei contributi allo spettacolo dal vivo che lavorerà per i prossimi due anni e dovrà realizzare un sistema più semplice e trasparente di quello attuale, da lasciare come eredità alla prossima legislatura. Sarà Giorgio Assumma a guidare il gruppo di studio che si avvarrà del contributo dei più autorevoli studiosi italiani della materia e dei migliori operatori del mondo dello spettacolo.»

Declassato il Teatro della Pergola

Roma, 20 giugno 2025

UN BUON MINISTRO AIUTA, NON CONDANNA

Nel 1965, durante il Concilio vaticano II, una commissione composta da cardinali, vescovi e teologi, decise di cancellare il nome di San Gennaro, protettore della città di Napoli, dal calendario ufficiale dei santi. I napoletani, pur se offesi, risposero con la solita ironia, scrivendo sui muri esterni dei palazzi divertenti ed affilate pasquinate (direbbero a Roma) contro la Chiesa e contro il Papa, esortando il loro beniamino dalla faccia ‘ngialluta (ossia, gialla perché tale il colore dei riflessi dorati che risplendono sul viso della statua che viene portata in processione) a non prendere troppo sul serio la decisione del Vaticano: San Genna’, futtatenne, fu il motto più popolare e affettuoso nei riguardi del martire a cui il clero voltò improvvisamente le spalle. Il declassamento del Santo, oltre all’offesa morale inferta ai seguaci, ebbe come unica ripercussione effettiva il fatto che la Chiesa romana non riconobbe più quale patrono metropolitano la figura di un idolo a santità ridotta, salvo poi relegarlo in extremis ufficialmente a simbolo di una fede circoscritta al luogo del culto. Santo sì, ma fino al Garigliano! Tuttavia, malgrado l’onta, San Gennaro, anche se non più ascritto al calendario protocollare di Gregorio, continuò puntuale a compiere il miracolo dello scioglimento del sangue, fino a quando nel 1980 Giovanni Paolo II lo riabilitò a santo di primo grado: addirittura, lo proclamò patrono ufficiale di Napoli (decisione senza precedenti), spodestando l’intoccabile Madonna Assunta. Terremoto in Paradiso! E per la prima volta, infatti, San Gennaro, sia per rispettare la classifica celeste, sia per ovvii diritti di sacra precedenza, sia per onorare con galanteria la Madre di nostro Signore, e probabilmente sentendosi anche umiliato dal potere ballerino dei discendenti di Pietro che potevano in terra decidere il bello e il cattivo tempo dell’empireo, a prescindere dalla volontà divina, rispose con severità rimanendo quell’anno ostentatamente rappreso nell’ampolla: segno premonitore di catastrofi imminenti. Era il mese di settembre: sessantaquattro giorni dopo l’Irpinia e la Campania furono devastate dal sisma. Un cataclisma – guarda caso – circoscritto al luogo del culto del santo, vescovo di Benevento. Da allora la Chiesa non osò mai più ostacolare credenze e tradizioni che accompagnano il mito di San Gennaro.

09 giugno 2025

La banalità del sistema teatrale

Roma, 9 maggio 2025

CARO BISICCHIA, TEMO CHE IL SUPERFLUO SIA DIVENTATO IL NOSTRO NECESSARIO

Tra le tante notifiche che il cellulare mi elenca ogni mattina, poco prima del caffè, la maggior parte delle quali assolutamente superflue, ne trovo una che desta immediata curiosità: mi suggerisce che il professor Andrea Bisicchia ha pubblicato un nuovo post. Leggo subito e, pur se a malincuore, mi compiaccio per aver trovato in un’autorevole firma un validissimo alleato. Come scrissi il 25 aprile scorso (qui l’articolo), anche Bisicchia ha sentito il bisogno di porre l’attenzione (qui l’articolo) sulla quantità di spettacoli proposti in queste ultime stagioni, un numero esorbitante che crea disorientamento a discapito di una qualità coscienziosa e necessaria. Anzi, scrive l’esimio professore, «oggi sui palcoscenici domina l’eccesso che, per forza di cose, produce esemplificazioni, superficialità e confusione». All’abbondanza dei titoli in cartellone, il professor Bisicchia conferisce una dote d’inutilità superflua, un disordine di stili e di intenzioni, a danno di un più succulento gusto del necessario. Wilde sosteneva che, avendo il superfluo, si sarebbe potuto fare a meno del necessario, ma il sommo irlandese pensava a come farsi beffa delle sciocche difficoltà di un mondo reale, non imputando alla finzione del palcoscenico che, invece, «ci permette di esplorare l’umanità», la responsabilità della nostra laboriosa e complicata sopravvivenza.

02 giugno 2025

«Sarabanda», di Ingmar Bergman

Roma, Teatro Argentina
1° giugno 2025

QUANDO L’AMORE NON RIESCE A INTACCARE IL MURO DELL’ODIO

Che cos’è l’amore? Che cos’è l’odio? Ingmar Bergman cerca di dare una risposta scrivendo i dieci dialoghi che compongono la sua ultima sceneggiatura (del 2003), Sarabanda, riprendendo, trent’anni dopo, il filo del discorso interrotto troppo bruscamente tra Marianne e Johan, protagonisti di «Scene da un matrimonio», film per la televisione del 1973 (in Italia trasmesso nel 1978). Il titolo dell’opera si riferisce al quarto movimento della 5ª «Suite per violoncello solo» di Bach. Il termine risale al XVI secolo quando in Spagna s’indicava una particolare danza di origine, pare, orientale che si ballava su un ritmo dapprima allegro e poi sempre più grave. Per estensione il vocabolo oggi indica un susseguirsi disordinato di accadimenti, di particolari scombinati, ma anche una cascata di cose che si accompagnano a un movimento assai chiassoso. Insomma, una gran confusione. Non è un caso che tra le ultime battute di Marianne a Johan, in «Scene da un matrimonio», c’è una domanda che dice: «Credi che viviamo in una totale confusione?». Una frase che diventa per Bergman il seme che dà alla luce Sarabanda, dove sono i sentimenti a creare quel movimento chiassoso che vibra disordinato nell’animo di certe persone legate a rapporti indissolubili.

29 maggio 2025

«Masaniello», di Elvio Porta e Armando Pugliese

Napoli, Cortile d’Onore di Palazzo Reale
27 maggio 2025

LA RIVOLTA DI TOMMASO ANIELLO A PALAZZO REALE. IMPRESA EROICA!

Dopo mezzo secolo, riecco il Masaniello di Armando Pugliese. A quasi un anno dalla scomparsa del regista napoletano, forse il più incompreso genio teatrale italiano del Novecento, Bruno Garofalo, che all’epoca curò la scenografia, rende omaggio all’amico con il quale collaborò per innumerevoli progetti, riallestendo lo spettacolo che lo rese celebre sin dal 1974, quando, con Elvio Porta, autore, e Silvia Polidori per i costumi (il tributo si estende anche a loro), diede vita alle imprevedibili gesta rivoltose del pescatore di piazza Mercato. Cinquantuno anni fa lo spettacolo debuttò a Napoli, proprio nello spiazzo antistante la basilica dedicata alla Madonna del Carmine, adiacente a quel monastero dove il 16 luglio 1647 Masaniello, sorpreso nel sonno, fu sparato da un colpo di archibugio, e la sua testa mozzata fu poi esposta nella piazza. Oggi la cornice è cambiata e alla vastità dello slargo abbascio ‘o Mercato s’è preferito il più raccolto Cortile d’Onore di Palazzo Reale, sgombro dagli echi entusiastici per i festeggiamenti del quarto tricolore azzurro che in questi giorni hanno riempito l’attiguo emiciclo del Plebiscito.

22 maggio 2025

«La gatta sul tetto che scotta», di Tennessee Williams

Roma, Teatro Vascello
21 maggio 2025

SORSI DI MORTE IN MILLE BOTTIGLIE DI WHISKY

Leonardo Lidi, in un’intervista pubblicata sul programma di sala, lancia una giusta provocazione: «Ho visto molte rappresentazioni della Gatta sul tetto che scotta, ma nessuna mi ha reso felice. Al contrario, mi hanno fatto arrabbiare … Adesso vendicherò io questo testo». Quindi – provocazione per provocazione – mi sento in diritto di poter affermare che la cosa migliore di questa edizione diretta dal regista arrabbiato è il programma di sala distribuito a pochi eletti. Interessantissimo. Un libricino da leggere attentamente per comprendere tutte le motivazioni che hanno spinto Lidi a mettere in scena l’opera di Tennessee Williams. Nelle sue parole c’è logica d’intenti, c’è ordine nei pensieri, e soprattutto si mette a fuoco la continuità artistica che ha portato il regista dello Stabile torinese a passare dalla trilogia sulla disgregazione della famiglia aristocratica fotografata da Cechov a quella tradizionale borghese rivisitata dallo scrittore americano.

16 maggio 2025

«Come nei giorni migliori», di Diego Pleuteri

Roma, Teatro India
15 maggio 2025

SANT’AGOSTINO: «AMA E FA CIÒ CHE VUOI»
MA IN TEATRO DIVERTITI

Evidentemente la liberazione dell’omosessualità dev’essere stata raggiunta, se ora c’è chi la racconta quasi come un tormentone frenetico e quotidiano, giocoso al limite del ridicolo, come le coppie etero che si amano, litigano, si lasciano e si riabbracciano nell’arco di poche ore. Evidentemente non siamo tutti così arretrati e omofobi, come ancora sostiene qualcuno, se Diego Pleuteri, giovanissimo autore, sente la necessità di dar vita a una crepitante scaramuccia, odi et amo, tra due sentimenti potenti e opposti che convivono con naturalezza nello stesso individuo: laddove l’odio, ovviamente, è di natura amorosa di catulliana memoria. Un odio tenerissimo che trapela da uno dei due personaggi senza nome di Come nei giorni migliori, testo che mette a confronto due visioni dell’amore: c’è chi cerca l’unione e chi tenta di difendere la propria libertà minacciata dal sentimento esploso all’improvviso per l’amico appena conosciuto.

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