09 giugno 2025

La banalità del sistema teatrale

Roma, 9 maggio 2025

CARO BISICCHIA, TEMO CHE IL SUPERFLUO SIA DIVENTATO IL NOSTRO NECESSARIO

Tra le tante notifiche che il cellulare mi elenca ogni mattina, poco prima del caffè, la maggior parte delle quali assolutamente superflue, ne trovo una che desta immediata curiosità: mi suggerisce che il professor Andrea Bisicchia ha pubblicato un nuovo post. Leggo subito e, pur se a malincuore, mi compiaccio per aver trovato in un’autorevole firma un validissimo alleato. Come scrissi il 25 aprile scorso (qui l’articolo), anche Bisicchia ha sentito il bisogno di porre l’attenzione (qui l’articolo) sulla quantità di spettacoli proposti in queste ultime stagioni, un numero esorbitante che crea disorientamento a discapito di una qualità coscienziosa e necessaria. Anzi, scrive l’esimio professore, «oggi sui palcoscenici domina l’eccesso che, per forza di cose, produce esemplificazioni, superficialità e confusione». All’abbondanza dei titoli in cartellone, il professor Bisicchia conferisce una dote d’inutilità superflua, un disordine di stili e di intenzioni, a danno di un più succulento gusto del necessario. Wilde sosteneva che, avendo il superfluo, si sarebbe potuto fare a meno del necessario, ma il sommo irlandese pensava a come farsi beffa delle sciocche difficoltà di un mondo reale, non imputando alla finzione del palcoscenico che, invece, «ci permette di esplorare l’umanità», la responsabilità della nostra laboriosa e complicata sopravvivenza.

02 giugno 2025

«Sarabanda», di Ingmar Bergman

Roma, Teatro Argentina
1° giugno 2025

QUANDO L’AMORE NON RIESCE A INTACCARE IL MURO DELL’ODIO

Che cos’è l’amore? Che cos’è l’odio? Ingmar Bergman cerca di dare una risposta scrivendo i dieci dialoghi che compongono la sua ultima sceneggiatura (del 2003), Sarabanda, riprendendo, trent’anni dopo, il filo del discorso interrotto troppo bruscamente tra Marianne e Johan, protagonisti di «Scene da un matrimonio», film per la televisione del 1973 (in Italia trasmesso nel 1978). Il titolo dell’opera si riferisce al quarto movimento della 5ª «Suite per violoncello solo» di Bach. Il termine risale al XVI secolo quando in Spagna s’indicava una particolare danza di origine, pare, orientale che si ballava su un ritmo dapprima allegro e poi sempre più grave. Per estensione il vocabolo oggi indica un susseguirsi disordinato di accadimenti, di particolari scombinati, ma anche una cascata di cose che si accompagnano a un movimento assai chiassoso. Insomma, una gran confusione. Non è un caso che tra le ultime battute di Marianne a Johan, in «Scene da un matrimonio», c’è una domanda che dice: «Credi che viviamo in una totale confusione?». Una frase che diventa per Bergman il seme che dà alla luce Sarabanda, dove sono i sentimenti a creare quel movimento chiassoso che vibra disordinato nell’animo di certe persone legate a rapporti indissolubili.

29 maggio 2025

«Masaniello», di Elvio Porta e Armando Pugliese

Napoli, Cortile d’Onore di Palazzo Reale
27 maggio 2025

LA RIVOLTA DI TOMMASO ANIELLO A PALAZZO REALE. IMPRESA EROICA!

Dopo mezzo secolo, riecco il Masaniello di Armando Pugliese. A quasi un anno dalla scomparsa del regista napoletano, forse il più incompreso genio teatrale italiano del Novecento, Bruno Garofalo, che all’epoca curò la scenografia, rende omaggio all’amico con il quale collaborò per innumerevoli progetti, riallestendo lo spettacolo che lo rese celebre sin dal 1974, quando, con Elvio Porta, autore, e Silvia Polidori per i costumi (il tributo si estende anche a loro), diede vita alle imprevedibili gesta rivoltose del pescatore di piazza Mercato. Cinquantuno anni fa lo spettacolo debuttò a Napoli, proprio nello spiazzo antistante la basilica dedicata alla Madonna del Carmine, adiacente a quel monastero dove il 16 luglio 1647 Masaniello, sorpreso nel sonno, fu sparato da un colpo di archibugio, e la sua testa mozzata fu poi esposta nella piazza. Oggi la cornice è cambiata e alla vastità dello slargo abbascio ‘o Mercato s’è preferito il più raccolto Cortile d’Onore di Palazzo Reale, sgombro dagli echi entusiastici per i festeggiamenti del quarto tricolore azzurro che in questi giorni hanno riempito l’attiguo emiciclo del Plebiscito.

22 maggio 2025

«La gatta sul tetto che scotta», di Tennessee Williams

Roma, Teatro Vascello
21 maggio 2025

SORSI DI MORTE IN MILLE BOTTIGLIE DI WHISKY

Leonardo Lidi, in un’intervista pubblicata sul programma di sala, lancia una giusta provocazione: «Ho visto molte rappresentazioni della Gatta sul tetto che scotta, ma nessuna mi ha reso felice. Al contrario, mi hanno fatto arrabbiare … Adesso vendicherò io questo testo». Quindi – provocazione per provocazione – mi sento in diritto di poter affermare che la cosa migliore di questa edizione diretta dal regista arrabbiato è il programma di sala distribuito a pochi eletti. Interessantissimo. Un libricino da leggere attentamente per comprendere tutte le motivazioni che hanno spinto Lidi a mettere in scena l’opera di Tennessee Williams. Nelle sue parole c’è logica d’intenti, c’è ordine nei pensieri, e soprattutto si mette a fuoco la continuità artistica che ha portato il regista dello Stabile torinese a passare dalla trilogia sulla disgregazione della famiglia aristocratica fotografata da Cechov a quella tradizionale borghese rivisitata dallo scrittore americano.

16 maggio 2025

«Come nei giorni migliori», di Diego Pleuteri

Roma, Teatro India
15 maggio 2025

SANT’AGOSTINO: «AMA E FA CIÒ CHE VUOI»
MA IN TEATRO DIVERTITI

Evidentemente la liberazione dell’omosessualità dev’essere stata raggiunta, se ora c’è chi la racconta quasi come un tormentone frenetico e quotidiano, giocoso al limite del ridicolo, come le coppie etero che si amano, litigano, si lasciano e si riabbracciano nell’arco di poche ore. Evidentemente non siamo tutti così arretrati e omofobi, come ancora sostiene qualcuno, se Diego Pleuteri, giovanissimo autore, sente la necessità di dar vita a una crepitante scaramuccia, odi et amo, tra due sentimenti potenti e opposti che convivono con naturalezza nello stesso individuo: laddove l’odio, ovviamente, è di natura amorosa di catulliana memoria. Un odio tenerissimo che trapela da uno dei due personaggi senza nome di Come nei giorni migliori, testo che mette a confronto due visioni dell’amore: c’è chi cerca l’unione e chi tenta di difendere la propria libertà minacciata dal sentimento esploso all’improvviso per l’amico appena conosciuto.

15 maggio 2025

«Felicissima jurnata», di Emanuele D’Errico

Roma, Teatro Vascello
14 maggio 2025

LINA COME WINNIE: INTERRATA FIN SOPRA ALLA VITA

«Felicissima sera a tutte ‘sti signure ‘ncravattate…», cantava Mario Merola. Il titolo dell’opera di Emanuele D’Errico sembra strizzar l’occhio ai primi versi del famoso brano che Libero Bovio dedicò allo zappatore, invece, le origini di Felicissima jurnata appartengono a tutt’altro pianeta: è infatti la traduzione in napoletano di Giorni felici di Beckett, dramma in cui, «interrata fin sopra alla vita, esattamente al centro del monticello, c’è Winnie», si legge nella didascalia del premio Nobel. «Dietro di lei, alla sua destra, ma nascosto dal monticello, Willie dorme sdraiato per terra», è scritto ancora tra le indicazioni d’apertura che introducono i due personaggi che lo scrittore irlandese crea per fotografare la sua negativa visione dell’esistenza. Tuttavia, Winnie e Willie sono anche creature, certamente ridicole, che tentano di sopravvivere alla noia e di proseguire col sorriso il loro cammino insieme, eppure, per lei, è impossibile muoversi, bloccata com’è «fin sopra alla vita».

14 maggio 2025

«Ritorno a casa» di Harold Pinter

Roma, Teatro Argentina
13 maggio 2025

COME UNA MANTIDE, RUTH DIVORA I SUOI UOMINI

Il ritratto della famiglia è stato, nel teatro del Novecento, argomento tra i più battuti e dibattuti. Harold Pinter, per riuscire a sgretolare i classici schemi, sceglie un nucleo sciolto dalla figura materna, dalla brava mogliettina che mantiene le redini comportamentali e morali, e in The homecoming, abbandona la conduzione della casa nelle mani di Max, vedovo con tre figli e un fratello. Subito, ad apertura di sipario, la sciatteria più del disordine, l’arredamento liso più del contorno (la scena è di Maurizio Balò) che invece appare sontuoso seppur vetusto, la cialtroneria della posizione di Lenny disteso sulla greppina e l’indolenza della camminata di Max, vestito senza alcuna decenza (di Gianluca Sbicca i costumi), danno l’impressione che l’andazzo in casa è piuttosto lassista, al limite del dissoluto. Infatti, un attimo dopo, l’anziano genitore, cresciuto a «ceppo e mannaia» nella macelleria del padre, per rimproverare il figlio, gli getta addosso il contenuto di un posacenere che resterà in terra, senza che qualcuno si preoccupi di ripulire.

12 maggio 2025

I vincitori del Festival inDivenire 2025

Roma, Spazio Diamante
11 maggio 2025

ELOGIO DI RICCARDO CACACE

«Facciamo teatro per fuggire dall’inferno», ha detto in chiusura di serata Massimo Popolizio, invitato d’onore alla premiazione della VI edizione del Festival inDivenire (ideato da Alessandro Longobardi) che s’è svolta ieri sera allo Spazio Diamante. L’inferno è sempre lì fuori che ci aspetta: è la vita reale piena di ostacoli e turbamenti, mentre, all’interno della Sala Black del teatro di via Prenestina, la gioiosa festa s’è consumata troppo in fretta. Talmente in fretta da lasciare un velo di nostalgia sugli occhi di tutti i partecipanti che avevano affollato la platea in attesa di sapere quali fossero i responsi dei giurati che hanno osservato i 15 studi presentati in otto giorni. Soltanto la compagnia Remuda teatro ha dato forfait dopo essere stata scelta tra i magnifici sedici, su quasi 80 progetti passati al vaglio nei mesi scorsi.

11 maggio 2025

«La denuncia», di Ivan Cotroneo

Roma, Teatro Belli
10 maggio 2025

UN «PASTICCIACCIO BRUTTO» FIGLIO DEL NOSTRO TEMPO

Ivan Cotroneo, che sa scrivere per il palcoscenico come pochi altri autori contemporanei, sceglie per La denuncia un tema attualissimo e scottante, ossia l’inganno, quello peggiore, strettamente legato al ricatto e alla consapevolezza di poter approfittare dell’immediata protezione sociale che una donna, per di più minorenne, gode nei confronti di un adulto. Un tipico «pasticciaccio brutto» figlio del nostro tempo. All’inizio sembra di assistere a un autentico processo: imputato e parte lesa sono di fronte al giudice più severo, il pubblico, ossia il popolo, colui che oggi, grazie ai social, emette sentenze drastiche senza conoscere né cause né effetti, senza prove e talvolta senza nemmeno accuse appropriate. Eppure al tribunale di massa è sufficiente il presagio di un indizio per mandare al rogo immediatamente il presunto autore di una presunta violenza. In questi anni sono accadute tante – troppe – violenze di genere e giustamente i carnefici vanno individuati e puniti, ma – si chiede evidentemente Cotroneo – tutti i casi di violenza denunciati alle autorità sono davvero frutto di una realtà tanto agghiacciante, oppure ci sono episodi che dovrebbero essere osservati con maggior attenzione e scevri da pregiudizi?

07 maggio 2025

«La banalità dell’amore» di Savyon Liebrecht

Roma, Teatro India
6 maggio 2025

HANNAH E MARTIN TRAVOLTI DA UN INSOLITO DESTINO

Chi vive nel male non si rende conto di vivere all’inferno, così come – all’opposto – chi vive nell’amore non si rende conto di vivere in uno stato grazia. Sono le due facce della stessa medaglia che Savyon Liebrecht mette insieme in un testo per il palcoscenico, del 2007, dedicato ad Hannah Arendt, «teorica della politica» (come lei stessa si definisce) vissuta in Germania nella prima metà del Novecento, vittima delle leggi razziali naziste, fuggì prima in Francia e poi negli Stati Uniti, per le sue origini ebraiche. Nel 1961 la Arendt, inviata per il New Yorker, seguì il processo Eichmann a Gerusalemme, e successivamente raccolse gli articoli in un libro dal titolo ormai famoso, «La banalità del male», in cui si evince che i crimini attuati dalle SS furono azioni commesse da persone assorbite da una realtà malata e incapaci di pensare; quindi, non in grado di valutare l’orrore che stavano perpetrando. «Non era stupido – scrive la Arendt di Eichmann, ascoltando la sua deposizione – era semplicemente senza idee (una cosa molto diversa dalla stupidità), e tale mancanza di idee ne faceva un individuo predisposto a divenire un criminale». Teoria che le fece comprendere quanto banali fossero le motivazioni di quel male.

30 aprile 2025

«Costellazioni Vicinelli», Gruppo Rmn

Roma, Spazio Diamante
28 aprile 2025

UN POETA SCONOSCIUTO È UN ARTISTA?

In scena i vincitori dell’InDivenire Festival 2024

La presentazione della sesta edizione del Festival InDivenire ha avuto un epilogo glorioso: la compagnia vincitrice della passata edizione è stata invitata a rappresentare il miglior progetto premiato nel 2024. Anche per il tema trattato, il testo, presentato dal Gruppo Rmn, è rimasto molto legato al proprio embrione: pur se ampliato, approfondito e sviluppato non ha perso l’intelaiatura adoperata durante la gestazione. Ben per noi che abbiamo potuto comprendere meglio il concetto di «studio per la scena». Costellazioni Vicinelli è una scoperta nel mondo (quasi per tutti) sconosciuto di una poetessa del secondo Novecento, Patrizia Vicinelli, che amava definirsi poeta, al maschile. Personalità fuori dagli schemi, ribelle per istinto, «figlia storta della Bologna bene» degli anni 60/70, si avvicinò giovanissima a quel «gruppo 63» che s’impegnava a inventarsi un’avanguardia poetica aperta a tutte le possibilità di scrivere versi, per poi intraprendere uno stile più personale e solitario, addirittura sperimentando la poesia grafica (o visiva).

29 aprile 2025

InDivenire Festival | VI edizione

Roma, Spazio Diamante
29 aprile 2025

IN SCENA SEDICI STUDI IN CERCA DI UN ALLORO

Giunge al sesto anno il Festival InDivenire ideato da Alessandro Longobardi. La kermesse teatrale, che apre le porte soprattutto alle compagnie di ultima generazione, quest’anno offre, allo Spazio Diamante, un calendario con 16 appuntamenti, divisi in otto serate, ciascuna con due corti, alle 20.00 e alle 21.30. Il programma completo della manifestazione è disponibile sul sito internet. A fare gli onori di casa per la presentazione è Giampiero Cicciò, direttore artistico sin dall’edizione inaugurale del 2017, il quale illustra con pacata disinvoltura e signorilità il fitto cartellone. Esordisce puntualizzando che si tratta di una vetrina, oramai consolidata, per artisti soprattutto emergenti. Non tutti, però, si possono considerare ragazzini, anche se l’aria che si respira in sala è proprio quella della freschezza e della giovialità, dell’inesperienza e dell’entusiasmo: caratteristiche tipiche dei più giovani. Un’atmosfera che fa bene al teatro e che, sulla carta, regala speranza e meritocrazia. Insomma, educazione teatrale.

27 aprile 2025

«Prima del silenzio», di Giuseppe Patroni Griffi

Roma, Teatro Eliseo
novembre 2013

UNA PROFONDA AMICIZIA IN SEI SCENE

Un articolo del 2013, riesumato e per fortuna «dimenticato», riscritto oggi con l’ausilio delle parole dell’autore

«La vita è l’arte dell’incontro», scriveva il poeta Vinicius de Moraes. Tutte le amicizie nascono da un incontro, ma non tutti gli incontri possono fiorire in un’amicizia, e pochissime finiscono nell’eternità di una commedia. Se la vita di Giuseppe Patroni Griffi è stata costellata da incontri, l’arte con cui ha celebrato e consumato il concetto di amicizia è stata fondamentale perfino per la sua produzione artistica. In ogni opera c’è un riferimento autobiografico a un legame, il sentimento di un’amicizia, la luce di un incontro, e quando così non è stato, ecco che in un passaggio letterario s’affaccia un episodio che è un omaggio significativo a un amico, un dettaglio che si aggancia a un sodalizio come un’affinità elettiva, un fiore all’occhiello di un ricordo che si chiama intimità. È un artifizio, questo, nemmeno troppo nascosto, per chi conosce certi particolari: addirittura facile da riscontrare scorrendo i titoli delle sue opere: In memoria di una signora amica, per esempio, fu scritta tenendo bene a mente l’estroverso temperamento della signora Ghirelli, madre di Antonio, suo compagno d’adolescenza; esibizione contrapposta alla più introversa dottrina di Bina, la mamma dell’autore. Oppure Gli amici dei miei amici sono i miei amici (nella versione definitiva, poi, il sostantivo «amici» fu sostituito dalla più esuberante parola, «amanti»; tuttavia nel testo la frase resta immutata) che diventa lo slogan con il quale l’autore dichiara la sua fede. In Allium c’è un continuo riferimento al mondo dei sodalizi dei tempi più felici; così come La morte della bellezza è romanzo pregno di episodi personali in cui il legame d’amicizia tra i protagonisti si trasforma in un disperato intimo rapporto con la città. Pure i primi racconti hanno all’interno sempre un personaggio che ha il carattere dell’amico Duddù, o dell’amico Tommaso, o dell’amico Franco. Perfino la più insospettabile Cammurriata fu pensata e scritta per generosità amicale per l’altra anima di Patroni Griffi, la più sregolata e strafottente!

25 aprile 2025

Pensieri sottopalco

Roma, 25 aprile 2025

IL GRIDO SOMMESSO DEL MIRACOLO «SOSPESO»

Da qualche giorno una domanda sulle sorti del nostro teatro torna costantemente a solleticarmi la ragione. Una fedele lettrice mi ha chiesto se «tutto questo teatro mordi e fuggi è utile, oppure la quantità degli spettacoli sta distruggendo il senso di questo formidabile strumento?». Non voglio deludere la cara amica, se la conferma – ahinoi, piuttosto ovvia – smorzi ogni bagliore di speranza. D’altronde, in un articolo del settembre 2023 (che all’epoca suscitò molte polemiche), denunciai il problema, quando una sala off presentò la stagione con 46 spettacoli in cartellone: e oggi, purtroppo, registriamo la notizia della prossima chiusura di quel palcoscenico, che – naturalmente si dirà – è stata causata da diverse avversità. Tuttavia, la logica più elementare ci impone di valutare che se un numero minore di spettacoli avesse mantenuto alta la qualità, e quindi gli spettatori fossero accorsi numerosi, di conseguenza un più sostanzioso ritorno economico avrebbe reso gli animi dei proprietari e dei gestori propensi a concordare un’altra annata, anziché annunciare lo scioglimento della collaborazione (il cui corollario potrebbe riservare, come decisione definitiva, anche il cambiamento di destinazione d’uso del fascinoso e amabile locale).

24 aprile 2025

«Il medico dei maiali», di Davide Sacco

Roma, Teatro Quirino
23 aprile 2025

I PORCI IN BRAGO NON POTRANNO MAI VIVERE IN PACE

Era il 1996 quando una famosa soubrette, che in quel periodo poteva radunare centinaia di fan a ogni apparizione pubblica, vestì per il palcoscenico il ruolo di Billie nella versione teatrale di «Nata ieri», da cui era stato tratto un famoso film (1950) con Judy Holliday e William Holden. Durante le prove i cellulari della giunonica venere bionda squillavano in continuazione: erano moltissime le offerte che riceveva per un invito a un programma televisivo, per un passaggio in una discoteca di provincia, per il taglio di un nastro per l’inaugurazione in veste di madrina. Appuntamenti naturalmente molto ben remunerati: d’altronde il ferro lo si poteva battere perché all’epoca ancora caldissimo! Tuttavia, a parte il disturbo delle chiamate che distraevano la concentrazione degli attori, a un certo punto, le fu intimato un severo arresto: basta prendere altri impegni, si stava per andare in scena, la tournée implicava ritmi e abitudini molto differenti dal quotidiano vivere, e comunque sostenere un ruolo da protagonista ogni sera, e spesso in una piazza diversa, non sarebbe stata una passeggiata. «Ma come, non posso proprio andare? Io ho firmato dei contratti – disse quasi ingenuamente – E la televisione?». «La televisione aspetterà», le fu risposto con estrema decisione: the show must go on.

04 aprile 2025

«Ho paura torero», di Pedro Lemebel

Roma, Teatro Argentina
3 aprile 2025

UNA PASSIONE RAGGELATA NELLA SANTIAGO DI PINOCHET

Il colpo d’occhio si concentra sulla scena di Guia Buzzi, che riesce a far da conchiglia a un romanzo, cercando di contenerlo per intero, di proteggerlo dalle insidie del palcoscenico e di ingentilirlo dalla crudele realtà dov’è stato partorito, ma soprattutto tenta di renderlo teatralmente vivace. Un testo in prosa trasportato sul palco si trascina molte difficoltà e qualche pesantezza: ne abbiamo avuto più di una prova in queste ultime stagioni. Generalmente quanto più è lungo lo spettacolo, più ne risente l’agilità e la fruibilità della visione. Cento ottantacinque minuti di Ho paura torero non aiutano a rendere frizzante e gustosa un’opera in cui, in certi momenti (soprattutto nella prima parte), i dialoghi faticano a rompere la monotonia del racconto. Pedro Lemebel, autore cileno che ha più volte denunciato nei suoi scritti l’oppressione militare della dittatura di Pinochet, inventa una graffiante satira ambientandola nel 1986, anno dell’attentato al presidente, costruendo, sullo sfondo della vita politica e dell’attività rivoluzionaria, una storia d’amore altrettanto sovversiva tra Carlos, un militante del Fronte patriottico, e La fata dell’angolo, un romantico travestito, innamorato e sognatore.

02 aprile 2025

«Le due regine», di Roberto Russo

Roma, Off/Off Theatre
1° aprile 2025

«LA PACE NON È UN MIRACOLO, È SACRIFICIO»

Le due regine si affrontano in un incontro di boxe. Entrano nel rettangolo presentate da una voce fuori campo che annuncia i loro ingressi: di sfidante, la scozzese Stuart, e di campionessa, l’inglese Tudor. Prima di cominciare a darsele di quella ragione che da una parte è santa (ma un po’ mignotta) e dall’altra vergine (ma dichiaratamente inacidita), ascoltano le regole imposte da Roberto Russo, autore cólto e fantasioso, che si diverte a costruire un match tanto bizzarro quanto pieno di verve e di verità storiche. Sono naturalmente «vietati i colpi alla nuca e alle reni – annuncia lo speaker alle contendenti – e soprattutto evitate di picchiare sotto la cintura perché potreste avere delle sorprese!». Svelata con un tocco di ironia la teatrale scelta di far recitare due uomini travestiti da regine. Gianni De Feo e Bruno Petrosino irrompono sul ring, nascoste da eleganti maschere veneziane, con un prologo di riscaldamento prima di dar inizio all’incontro: Maria Stuart, dopo anni di prigionia dovrebbe essere la più arrabbiata, dovrebbe scalpitare per recuperare il tempo perduto, il trono mai avuto, e invece sfodera un’apparente delicatezza d’animo che la rende già preda succulenta dell’altra, Elisabeth Tudor, una iena che non perde uno sguardo per gettar veleno.

01 aprile 2025

«M. informato dei fatti», di Filippo Maria Macchiusi

Roma, Spazio Diamante
31 marzo 2025

UN’EMOZIONE NON LASCIA INDIFFERENTI

Non è soltanto M. – che probabilmente sta per Macchiusi – ad essere informato dei fatti. Anche noi abbiamo indagato, prima ancora di leggere le note che l’autore, l’interprete e il regista ha scritto su se medesimo. La più avvincente notizia è che Filippo Maria raggiunge la ribalta di un palcoscenico dopo una laurea in Medicina e Chirurgia, e vi approda con un certo ritardo, verrebbe da dire: sì, perché, al contrario dei soliti incidenti di percorso che la passione artistica rappresenta per molti ragazzi, i quali si scoprono attori, cantanti o altro per fatalità (e quindi a ostacolare la fine degli studi), in questo caso sono gli impegni universitari ad essere stati d’impaccio all’accensione della precoce fiamma teatrale che ha infuocato l’animo del giovanissimo Macchiusi. Se per un verso è lodevole e auspicabile che un dottore in Medicina si dedichi ai traumi del teatro nella speranza di sanarli, dall’altro non vorremmo che il contagio del malanno di cui soffre la scena nazionale possa corrompere un così determinato e dirompente entusiasmo artistico, oltre al fisico possente che lo contiene.

31 marzo 2025

«Una relazione per un’Accademia», da Franz Kafka

Roma, Teatro India
30 marzo 2025

IL PRIMATE DI MARINELLI BALLA SULLE NOTE DI CAROSONE

Se Gregor Samsa, trasformatosi all’improvviso in un gigantesco coleottero, è il prototipo del personaggio kafkiano, se Joseph K., inspiegabilmente arrestato per cui deve difendersi da un’accusa che non conosce, è colui che, meglio di altri, rappresenta il soggetto di una situazione kafkiana, una scimmia che subisce una metamorfi fisica opposta a quella di Gregor (da animale a uomo) e arriva ad essere invitata dai membri di un’Accademia a tenere una relazione sulla sua esperienza e sulla vita precedente, una scimmia così, dicevo, diventa la summa del ritratto del panorama letterario di Franz Kafka.

30 marzo 2025

«Bianco», di Giuseppe Tantillo

Roma, Teatro Belli
29 marzo 2025

UN INVITO A NON SEPPELLIRSI NEI GIORNI FELICI

Difficile riuscire a pensare che la più brutta malattia abbia un colore, difficilissimo poi poter immaginare che sia vestita di bianco, «come una sposa il giorno del matrimonio». Eppure, quando si osservano le cellule guaste, esse paiono tingersi proprio di bianco, e, come una sposa davanti all’altare, resta lì, attaccata al suo uomo, finché morte non li separi. Le infinite sfumature di Bianco contengono anche questa possibilità, che più che un colore è una macchia, alla quale non si pensa mai, ma che, quando arriva, non si cancella più, nemmeno se sparisce. Giuseppe Tantillo ci accompagna in un viaggio senza tempo: potrebbe essere consumato in un lampo, come in un anno o in dieci, o forse più. L’incontro che descrive tra Mia e Lucio potrebbe essere reale, ma anche soltanto il bagliore di una speranza di lei o di lui. O forse, come sembra dalle apparenze, di entrambi.

29 marzo 2025

«La pulce nell’orecchio», di Georges Feydeau

Roma, Teatro Vascello
28 marzo 2025

HÔTEL FEYDEAU, DOVE LA FOLLIA DIVENTA L’ARTE PER SOPRAVVIVERE

Finalmente una regia che con franchezza dichiara di non volersi prendere sul serio e che affronta il gioco del teatro con la sapienza dei fanciulli e con l’entusiasmo del divertimento e della leggerezza. In scena, una compagnia di dodici attori affiatatissimi che sanno dosare l’arte del jouer le role con il giusto spirito giocoso che è alla base del «facciamo finta che tu sei la moglie, lui è il marito e l’altro è l’amante». Il merito va a Carmelo Rifici che fa apparire il divertissement come fosse un’improvvisata, dall’aria talvolta ostentatamente maldestra o azzardata, mentre invece è un perfetto meccanismo di tempi, movimenti, battute e gag con ingressi e sostituzioni che si avvicendano di continuo. L’idea della regia si appoggia su un gran classico del vaudeville francese: La pulce nell’orecchio che Georges Feydeau scrisse nel 1907 per svelare quei desideri di trasgressione che fanno parte della nostra vita quotidiana: tutti vorremmo evadere, ma tutti vorremmo rimanere fedeli. È il «sentimento del contrario» che, come sostiene Pirandello, diventa il distintivo umoristico che Feydeau traduce, attraverso i suoi personaggi, con «l’avvertimento del contrario» suscitando esilarante comicità.

28 marzo 2025

«Ti ho sposato per allegria», di Natalia Ginzburg

Roma, Teatro Quirino
27 marzo 2025

UN MATRIMONIO ALL’INSEGNA DELLA STRAVAGANZA

La lettura che Emilio Russo ha prediletto (e realizzato poi in scena) di Ti ho sposato per allegria soffre della stessa constatazione che il regista ammette pubblicamente nelle note che scrive di suo pugno. Secondo lui l’opera di Natalia Ginzburg è «Stuzzicante. Gustosa. Stratificata. Come la parmigiana di melanzane che, chissà perché, è l’unico menù previsto…». Probabilmente il desiderio di sole estivo e il profumo di un piatto casalingo e prelibato hanno avuto la meglio sulla complessità del rapporto tra Giuliana e Pietro. La conferma giunge dal fatto che nelle note di regia manca la parola più importante, divorzio, fondamentale per comprendere un legame matrimoniale che è conseguenza di un’allegria che – già nel titolo – sta ad indicare un’imperdonabile superficialità. La commedia è stata scritta nel 1965, in pieno subbuglio politico tra i partiti progressisti che si battevano contro la reazionaria volontà della Democrazia Cristiana tenacemente opposta alla possibilità di una legge sul divorzio. Legge che fu approvata in parlamento nel 1970 e rimessa subito in discussione fino al definitivo referendum popolare sull’eventuale abrogazione del 1974. Ben nove anni di contestazioni nazionali prima di arrivare a una sentenza definitiva.

26 marzo 2025

«Erodiade», di Giovanni Testori

Roma, Teatro Vascello
25 marzo 2025

FRANCESCA BENEDETTI,
E LA PAROLA SI FECE SANGUE

Al teatro Vascello, due serate dedicate a Francesca Benedetti, novant’anni a novembre prossimo. Al termine della performance la platea gremita è esultante, tutta in piedi, e le tributa un’ovazione: «Sento davanti a me un tale muro d’amore che non riesco a trattenere la commozione», dice l’attrice ringraziando. Si è appena alzata dal trono che l’ha tenuta prigioniera di un demonio per oltre un’ora. Erodiade, monologo di Giovanni Testori che la Benedetti porta in scena ormai da tempo. È Marco Carniti che, con un’attenta regia fatta di immagini, la sostiene; anzi, verrebbe da dire, che la trattiene, tanto è potente l’ardore dell’interprete che rispecchia fedelmente le intenzioni della scrittura. Il personaggio ideato da Testori è una furia e incarna l’odio più violento, è un vulcano che erutta livore e l’attrice non si risparmia nel mostrare l’intimità dei sentimenti più reconditi: l’odio per la figlia, la rabbia per aver fallito l’incontro della vita, il veleno nei confronti di Erode. L’invidia, tanta invidia, per la bellezza di Salomé, perché la sua, ormai, è sepolta.

25 marzo 2025

«Visita al padre», di Norm Forster. Lettura

Roma, Teatro Argentina
24 marzo 2025

QUANDO L’ALZHEIMER DIVENTA FONTE DI VERITÀ INAUDITA

Non dirò un’assurdità, anche se tale potrebbe apparire, se confesso che dopo lo spettacolo ho sentito un forte desiderio di correre a casa per mangiare del formaggio. Non era fame, piuttosto il modo più istintivo e naturale di partecipare, ancora, al dramma (sotto forma di lettura) che avevo ascoltato all’Argentina. Sì, perché nel momento in cui Donald, il vecchio padre, a cui ha dato voce un dolcissimo e spiritoso Massimo De Francovich, racconta il momento più sconvolgente della sua esistenza, la tanto attesa verità, lo fa chiedendo con capricciosa insistenza un pezzo di formaggio che in quell’istante rappresenta l’unica ragion di vita, il sostentamento di ogni sua necessità. Così, l’ingombro pesantissimo che il vecchio sta finalmente rivelando, dopo sette anni di indagini del figlio, su un segreto che egli nasconde da circa quarant’anni, passa in secondo piano, come fosse la cronaca di una serena gita domenicale e non come una liberazione epocale. Ed ecco che, mentre gustavo il mio boccone di formaggio, ho avvertito il compiacimento di aver partecipato a quella confessione «spericolata» e inaudita, a cui volevo offrire solidarietà e comprensione, convivialità e fratellanza.

23 marzo 2025

«Favole di Oscar Wilde», uno spettacolo di Giancarlo Sepe

Roma, Teatro La Comunità
22 marzo 2025

PER COMINCIARE A LEGGERE IL NOSTRO ANIMO

L’atmosfera delle favole appartiene a Giancarlo Sepe come una parola al vocabolario. Gli appartiene per natura intellettuale, per concepimento mentale ed emotivo; e da lì non può scappare, perché Sepe si è appoggiato attorno a questa passione, che è un capolavoro di astrazione, e le ha donato concretezza. Già entrando nel suo teatro sembra di immergersi in un antro favolistico in bianco e nero, dove alle pareti svetta l’immagine della favola cólta, della favola surrealista, i cui protagonisti sono sempre adulti destinati all’afflizione di dover guardare la realtà da un osservatorio assai infantile e puro. E in occasione dell’omaggio a Oscar Wilde – spettacolo che torna in scena a 24 anni dal suo debutto – è palese il riscontro. Si entra, infatti, in una giostra che sarà avvolta dal buio, facendoci diventare gli oggetti del dissidio di un gioco per bambini guastato da un diversivo per adulti: lo stesso contrasto che si verifica tra il piacere distensivo offerto dall’ascolto di una favola annunciata e la sensazione claustrofobica che avvolge lo spettatore durante la visione.

22 marzo 2025

«Guerre», di Louis-Ferdinand Céline

Roma, Ar. Ma Teatro
21 marzo 2025

«LA GUERRA È CHIUSA NELLA MIA TESTA»

Se si dovesse fare una recensione si dovrebbe crocefiggere l’iniziativa che è ancora da perfezionare e forse più. Ma stavolta me ne astengo. E il motivo c’è. Allora dirò che questa non vuol essere una critica, piuttosto il resoconto di una serata molto interessante. E preciserò anche che Ivan Festa ha avuto l’accortezza di intrattenersi, al termine della performance, per condividere la sua idea e per ascoltare le perplessità di chi lo ha seguito con attenzione. La materia trattata è consistente, potente, storica e vale la pena sostenere sia il progetto che l’esecutore. Difficilmente potrà assumere la forma spettacolare di una rappresentazione, ma Guerre (mi raccomando: è da leggere alla francese!), quando metterà le ali, sarà certamente una bella novità scenica, letteraria certamente, ma soprattutto sarà una descrizione poetica di un capitolo inedito della Grande guerra.

21 marzo 2025

«Sior Todero Brontolon», di Carlo Goldoni

Roma, Teatro Quirino
20 marzo 2025

IL VECCHIO FASTIDIOSO TRA LE MARIONETTE DEI PODRECCA

Ci sarà anche un lavoro commissionato sul testo – lo si evince dalla locandina di questa messinscena che attribuisce a Piermario Vescovo la drammaturgia – per una «rinfrescata», ma in generale nelle commedie di Carlo Goldoni raramente si avvertono gli acciacchi dell’età. Eppure, Sior Todero Brontolon è stata rappresentata per la prima volta nel 1762. Duecento sessantatré anni, e non ne dimostra neanche la metà, anzi, sembra tanto vispa da sembrar giovinetta ancora! È la caratteristica dei grandi autori della commedia, i quali, più che da una storia, cominciano dal personaggio, i cui vizi non tramontano mai restando immutati per l’eternità. Il vecchio fastidioso è il sottotitolo scelto da Goldoni per descrivere meglio il carattere del protagonista: «avaro, superbo, ostinato», sono parole di Marcolina, che dipingono l’animo di Teodoro, padre padrone. Brontolone, infatti, è il soprannome «che spiega e mette in ridicolo il di lui carattere inquieto, fastidioso, indiscreto», scrive l’autore. Oggi lo si definirebbe un adepto del più tenace patriarcato: colui che gestisce gli affari economici in casa e quindi detiene anche il monopolio delle decisioni altrui fino alla terza generazione.

20 marzo 2025

«Sei personaggi in cerca d’autore», di Luigi Pirandello

Roma, Teatro Argentina
19 marzo 2025

UN PADRE PIENO DI RIMORSI, CHE STRISCIA NELLA VERGOGNA

Sei personaggi in cerca d’autore, grazie a quel debutto molto contestato al Teatro Valle nel 1921, resta tra le opere teatrali la più interessante e sorprendente della modernità. Alla lettura sfiora la perfezione: è l’unica, infatti, che tenta di far rappresentare un dramma dai suoi stessi personaggi; è la sola che mette in discussione la possibile imperfezione degli attori che, interpretando un ruolo, son pronti a caratterizzarlo, ciascuno a suo modo, allontanandosi dall’originale. Tutte le altre opere, invece, si indentificano nel gioco della finzione, dando per scontato che le parole di un autore passino attraverso un commediante che ne dà una sua versione e ne costruisce un suo «pupo». Luigi Pirandello invece portò alla ribalta un problema, all’epoca nuovo, da sbrogliare: un enigma da allora tante volte affrontato e sempre più ingarbugliato. Un problema che fino ad oggi non s’è mai potuto risolvere, ma che Valerio Binasco con la sua messinscena ha maggiormente evidenziato e sottoposto a una drastica e accurata revisione.

19 marzo 2025

«La lettera», di e con Paolo Nani

Roma, teatro Vittoria
18 marzo 2025

TRA QUENEAU E CHAPLIN, LO STILE DI UN CLOWN SENZA TEMPO

Raymond Queneau nel 1947 scrisse «Esercizi di stile», un libro assai particolare, nel quale la storia narrata si riduce a un brevissimo sketch addirittura incompiuto: un uomo su un autobus si lamenta con chi lo spinge e, appena si libera un posto a sedere, si accomoda. Dopo qualche ora i due tornano a incrociarsi casualmente alla stazione. Finito. La particolarità a cui il volume deve la sua fama, è che il tema si ripete per 99 volte, sempre lo stesso, ma riproposto dall’autore ogni volta con uno stile differente: a seconda di come si usano le parole e talvolta le lettere di ogni singolo vocabolo, il lettore riceverà un’emozione diversa. Nel 1992 Nullo Facchini e Paolo Nani ipotizzano che uno spettacolo teatrale, basato sullo stesso principio, possa essere un’accattivante novità. Così nasce la storia di un uomo che si siede a un tavolo, versa del vino in un bicchiere, lo assaggia, ne resta disgustato e lo sputa; guarda un vecchio ritratto in bianco e nero della nonna, prende carta e penna, scrive la lettera, la piega, la imbusta e la affranca; ma quando sta per uscire gli viene il sospetto che la penna che ha usato possa essere priva di inchiostro; riapre la busta e, preso atto che il foglio è ancora candido esce deluso.

17 marzo 2025

«Fanny», di Rebecca Déraspe

Roma, Teatro Tor Bella Monaca
16 marzo 2025

A GIORDANI, IL TAPIRO D’ORO PER IL MICROFONO RAZIONATO

In tempi di siccità ci siam dovuti piegare al razionamento dell’acqua, in tempi di guerra abbiamo affrontato il disagio del razionamento del pane, in tempi di austerity ci siamo abituati al razionamento della benzina, ma il razionamento dei microfoni ci trova assolutamente impreparati. Partecipammo ai delicati sospiri della Cortese, partecipammo ai gracili sussurri di Eduardo, partecipammo al timbro tonante di Gassman e al grammelot di Fo, partecipammo con irruenta protesta alle amplificazioni di Carmelo Bene, ma il razionamento dei microfoni ci trova assolutamente impreparati. Protestammo per i microfoni che riproducevano i passi più della tosse, protestammo per i microfoni gracchianti incastrati sotto il colletto della camicia, protestammo per i microfoni altisonanti e quelli con l’eco incorporato, ma i microfoni a controllo limitato ci lasciano perplessi e disarmati.

16 marzo 2025

«Giulio Cesare», di William Shakespeare

Roma, Area archeologica di
largo di Torre Argentina
15 marzo 2025, Idi di marzo

UN’ALTRA OCCASIONE PERSA, MA POLITICAMENTE SFRUTTATA!

Disorganizzazione, distanza eccessiva e caos cittadino hanno affossato un’iniziativa in teoria fantastica. Cari attori, non è colpa vostra

Facendo la più semplice delle ricerche su Google, incrociando cioè i nomi di Giulio Cesare, Argentina e Faiella (l’attore protagonista), si ha la giusta impressione di come l’evento sia stato promosso: sono migliaia i siti internet che riportano la notizia. Con quanto impegno, evidentemente, qualcuno s’è dato da fare per conquistare le pagine web e dei quotidiani affinché il mondo sapesse che a Roma i festeggiamenti delle Idi di marzo quest’anno prevedessero un’occasione unica e imperdibile; «senza precedenti» è stato scritto. Per la prima volta, infatti, nell’Area sacra di largo di Torre Argentina, proprio davanti al teatro di prosa più importante della Capitale, è andato in scena il Giulio Cesare di William Shakespeare. È storicamente tramandato che nel 44 a.C. il console più amato dell’antica Roma fu assassinato, proprio in questi giorni, nei pressi di quel tempio della Fortuna del dì presente che si erge al centro dell’area in forma circolare. Studi più approfonditi stabilirono che Cesare fu accoltellato alle spalle di quel tempio, sotto la Curia di Pompeo, dove spesso si riunivano i senatori.

15 marzo 2025

«Prima della prova», Shakespeare/Colizzi

Roma, Il Cantiere Teatrale
14 marzo 2025

I VERSI CHE CI ACCOMPAGNANO SULL’ISOLA CHE NON C’È

Con il Riccardo III di Shakespeare ci si prepara ad affrontare la prova. Franco Mannella spiega subito al pubblico in sala, che è a digiuno delle nozioni primordiali su come si comincia a costruire uno spettacolo teatrale, il significato di Prima della prova. Anzi, Mannella usa il passato, visto che questa buona abitudine oggi è caduta in disuso, e ricorda i tempi di quando i registi della «vecchia scuola» riunivano per la prima volta la compagnia attorno a un tavolino e leggevano loro il copione agli attori. Una lettura spesso sporca, a volte stonata, anche disturbata, ma valida per un approccio letterario attraverso il quale si accedeva, tutti insieme, passando per un’unica porta. Come se il regista dicesse: «Seguitemi, vi accompagno io all’ingresso». Non era ancora una prova, ma un preambolo che offriva opportunità al maestro di dare le indicazioni di base, tanto generiche quanto provvisorie, ma essenziali per iniziare lo studio da un unico punto di vista, cosicché tutti poi potessero parlare lo stesso linguaggio e intendersi meglio.

14 marzo 2025

«Il golem», di Juan Mayorga

Roma, Teatro India
13 marzo 2025

PROPAGANDA AL CLOROFORMIO

A volte le note di regia vengono lette troppo superficialmente; invece, occorre fare più attenzione e cercare di individuare, tra le righe, la frase che è stata scritta per avvertirci, per metterci in allerta, quella che poi riletta a fine spettacolo, ti fa sospirare, sotto forma di autoimprecazione: «Me l’aveva pure detto!». La verità è che le note di regia, purtroppo, hanno il difetto di farsi comprendere bene soltanto dopo, quando si lascia la platea e il peggio è già passato. La frase che ho sottovalutato, o forse sopravvalutato, volendole attribuire un significato esclusivamente intellettuale, è: «La parola che crea e distrugge». Chissà perché non avevo considerato il significato scenico dell’avvertimento. La parola in teatro può creare opere meravigliose: da Eschilo a Euripide, da Shakespeare a Molière fino a Goldoni e tanti altri, tutti autori di capolavori d’eccellenza. La stessa parola, però, può anche distruggere e far crollare, in una manciata di secondi, interesse, entusiasmo e concentrazione.

12 marzo 2025

«Moby Dick alla prova», di Orson Welles

Roma, Teatro Vascello
11 marzo 2025

IL PEQUOD NEI MAROSI DEL COVID

Quando un’opera di teatro è scritta in versi e lo spettacolo acquista spessore drammatico soltanto dalle parti musicali, non è un buon segno. Eppure, il Moby Dick alla prova, proposto da Elio De Capitani, è impresa costruita con una vivace inventiva e molta precisione, tanto impegno e seria professionalità; peccato, però, che il criterio intellettuale di partenza, ambiguo ma calzante, appena uscito dal porto di un prologo palpitante di buone intenzioni, in pieno oceano, naufraghi clamorosamente in un contesto dal retrogusto circense. Non conosco l’originale di Orson Welles, ma sospetto che, durante la stesura dell’adattamento, gli artefici si siano lasciati prendere la mano da un certo squilibrato spirito piratesco più che dalla intransigenza della poesia che, per quanto sia a volte impalpabile, mantiene un tessuto letterario assai severo e concreto.

11 marzo 2025

«non era così», un ritratto di Luca Ronconi

Roma, Teatro Argentina
10 marzo 2025

«L’UOMO CHE VIVE SOGNA IL RE, IL SUO TRONO E VIVE NELL’INGANNO»

A dieci anni dalla scomparsa, il Teatro di Roma ricorda il grande regista con una serata evento «per celebrare l’eredità di un maestro che ha rivoluzionato il teatro europeo con il suo genio e la sua instancabile ricerca»

Luca Ronconi ha diretto il Teatro Stabile di Roma dal 1994 al 1999 portando sul palcoscenico dell’Argentina spettacoli memorabili, e ieri sera quello stesso palcoscenico gli ha reso omaggio a dieci anni dalla scomparsa. Era doveroso per Roma ricordare uno dei più importanti protagonisti del nostro teatro del secondo Novecento. Se non il più grande, certamente il più coraggioso: quello delle sfide impossibili, il regista degli spettacoli interminabili, quello che forse ha osato di più approfittare della pazienza degli spettatori tenendoli ore e ore inchiodati alla poltrona con opere maestose e allestimenti sempre imprevedibili. A dar voce al suo teatro, cinque star: Annamaria Guarnieri, Laura Marinoni, Massimo De Francovich, Giovanni Crippa e Massimo Popolizio. Coordinati da Giacomo Bisordi, ciascuno, da solo o in coppia, ha letto, ha declamato, celebrato, rispolverato, rievocato, riecheggiato – non saprei, la parola giusta sceglietela voi – quel teatro che una volta «non era così» come lo si fa oggi, ma era un’altra emozione, e non soltanto perché eravamo più giovani, ma perché dietro quel teatro c’erano grandi maestri, tra cui Luca Ronconi, classe 1933.

09 marzo 2025

«Le cinque rose di Jennifer», di Ruccello/Gleijeses

Roma, Teatro India
8 marzo 2025

PIÙ ECCENTRICA E «STRAFOTTENTE» LA JENNIFER DI GEPPY

Nelle mani di Geppy Gleijeses, Jennifer cambia i connotati in maniera drastica. La creatura di Annibale Ruccello, forse quella che più rappresenta la fantasia intima e lo stile dell’autore, si spoglia completamente del lato poetico e astratto per vestirsi di un sapore forte di Mediterraneo. Sogni e speranze rivivono in lei, non più come immagini liriche, come strazianti vuoti sentimentali, ma prendono corpo in una realtà cruda e violenta. È un’esigenza che l’attore, più del regista, ha sentito per adattare il personaggio alla sua fisicità, al suo essere uomo in toto. Cosicché Gleijeses ha dovuto compiere una trasformazione doppia: prima «diventando» donna e poi personaggio. Per arrivare a questa trasfigurazione, il regista s’è preoccupato giustamente di collocare Jennifer in un ambiente dove ogni oggetto è reale e ogni azione realistica. Dal telefono al fornello, dall’olio al pomodoro, dalla sigaretta al caffè, tutto è spudoratamente autentico, finanche nelle sue funzioni. Quando la «donna» mette la moka sul fuoco, dopo un po’ si vede il fumo che esce dall’interno e si sente l’acqua gorgogliare.

08 marzo 2025

«L’uomo dei sogni», di Giampiero Rappa

Roma, Sala Umberto
7 marzo 2025

JOE BLACK, BRACCATO ANCHE DAI PROPRI FANTASMI

L’opera di Giampiero Rappa viene pubblicizzata al pubblico come «una commedia divertente e surreale che sfida l’incubo della vita reale». A parte un breve prologo, assai arguto e ironico, sull’importanza del mondo onirico, proposto da due operatori del sindacato dei sogni, i quali giustamente fanno notare quanto lavoro non retribuito ci sia nel distribuire e controllare i sogni di tutti, e che si tratta quasi sempre di lavoro notturno, a parte questo breve prologo, certamente «divertente e surreale», L’uomo dei sogni rispecchia fedelmente il dramma di un’immensa moltitudine di individui del nostro tempo. I temi affrontati sono precisi e scanditi con pacata severità: solitudine, depressione, egoismo, paura di affrontare la realtà, terrore di relazionarsi col prossimo, difficoltà di guardare serenamente il proprio passato e impossibilità di programmare un futuro, e – ciliegina sulla torta – una forte propensione all’incomunicabilità, perfino con i figli. Insomma, ce n’è per tutti. E non sono argomenti da ridere, tutt’altro!

07 marzo 2025

«Overload», Sotterraneo

Roma, Spazio Diamante
6 marzo 2025

UN’ORA DI DELIRIO DA ATASSIA CEREBELLARE DA PALCOSCENICO

Quando l’attrice comunica al pubblico che lo spettacolo è finito, comincia quella parte che gli antichi chiamavano esodo, ossia l’ultimo canto del coro. Nella tradizione della tragedia greca è la parte riservata al Deus ex machina, mentre in Overload è la parte riservata all’automobile. La compagnia si riunisce in scena al completo, ciascuno prende posto nell’abitacolo di una ipotetica vettura e partono insieme alla volta di una meta sconosciuta. Il viaggio non dura molto, ma il racconto, sia per drammaturgia, sia per intensità di recitazione, sia per pathos, cattura lo spettatore, afferra la sua attenzione e lo porta – senza fiato – fino al suono dell’ultima sillaba. In questo breve concertato a cinque accade che gli autori (il testo è firmato nel suo concepimento dal nome della compagnia, Sotterraneo, anche se la scrittura è di Daniele Villa) descrivano un episodio che non fa parte del nostro quotidiano vissuto, delle nostre abitudini, delle nostre cattive prestazioni; è un episodio per molti nuovo, benché conosciuto da tutti, e certamente mai nessuno l’ha sentito narrato con tanti particolari da renderlo addirittura affascinante nella sua crudeltà. Ebbene, l’esodo di «Overload» è l’unica parte interessante dello spettacolo; l’unica ben recitata, l’unica costruita con arguzia teatrale: la più innovativa, la più drammatica, la sola che riesce a catturare l’attenzione dell’intera platea. Applausi assicurati!

06 marzo 2025

«Edipo re», di Sofocle/De Rosa

Roma, Teatro Vascello
5 marzo 2025

NELLA TEBE DI DE ROSA SUONA UN’ORCHESTRA DI LUCI

I teorici della letteratura individuarono alcuni valori per determinare il carattere romantico di un uomo. Facilmente si giunse alla conclusione che i romantici non potevano essere raggruppati in un unico periodo storico, quello che solitamente si fa coincidere con la fine del XVIII e la prima metà del secolo successivo, ma che invece sarebbe stato più corretto affermare che ogni periodo aveva i suoi romantici, i quali attribuivano massima importanza all’integrità d’animo, alla sincerità e alla disponibilità a sacrificare la vita per un ideale. In Edipo re, questi valori, ci sono tutti: è lui che minaccia la pena dell’esilio per l’autore dell’uccisione di Laio (integrità di sovrano); è lui che vuole arrivare alla verità allorquando i sospetti lo vedono coinvolto (sincerità d’animo); ed è lui che al finale, constatata la sua colpevolezza, chiede di essere esiliato (disponibilità a sacrificare la vita per mantener fede al principio enunciato all’inizio). Edipo è un re moralmente integerrimo, colpevole solo perché gli dèi lo hanno costretto all’errore con un inganno. Se Edipo avesse saputo che Laio fosse suo padre, non l’avrebbe mai assassinato. Se non fosse stato trascinato nel delitto di uno sconosciuto a causa di una volontà superiore non sarebbe mai caduto in fallo e non avrebbe mai attirato la sciagura su di sé. Dunque Edipo, fuori dal mito, ha tutte le caratteristiche per essere un personaggio romantico.

05 marzo 2025

«Pietro Orlandi, fratello», di Giovanni Franci

Roma, Off/Off Theatre
4 marzo 2025

«SE LE PORTAVA A LETTO»

Quando uno spettacolo teatrale è in prova, il regista può tranquillamente fermare gli attori e dire: «Scusate, non ho capito bene. Ripetiamo la scena, per favore». Soltanto così si può riascoltare quel breve brano che l’orecchio non è riuscito a captare perfettamente. La mancanza di questo privilegio, che spetta esclusivamente a chi dirige l’allestimento, ieri sera, s’è fatto sentire. Ma non perché l’attore avesse sbagliato o non fosse stato chiaro nella dizione, ma per il motivo sconcertante che certe frasi, certi passaggi dell’inchiesta portata avanti dalle parole di Pietro Orlandi, fratello (testo del 2023) di Emanuela, cittadina vaticana, scomparsa a 15 anni il 22 giugno 1983, avrebbero dovuto essere ripetuti, e ripetuti ancora, per gli incredibili sospetti che lanciavano all’indirizzo del Papa in persona. Fatti gravissimi e trascritti fedelmente da Giovanni Franci in quella che lui stesso chiama una stand-up tragedy.

Teatro Eliseo


L’ingresso del teatro Eliseo in via Nazionale. Foto scattata la sera del 4 marzo 2025, ore 20.09. Questa è la miglior critica allo spettacolo che ha debuttato (martedì 4/3/2025, ore 20.00) al Teatro Argentina, protagonista Luca Barbareschi che, sul primo palcoscenico della Capitale, ha potuto festeggiare i cinque anni di chiusura e di degrado


Eliseo, storia di un teatro chiuso da cinque anni (seconda parte)

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