14 marzo 2025

«Il golem» di Juan Mayorga

Roma, Teatro India
13 marzo 2025

PROPAGANDA AL CLOROFORMIO

A volte le note di regia vengono lette troppo superficialmente; invece, occorre fare più attenzione e cercare di individuare, tra le righe, la frase che è stata scritta per avvertirci, per metterci in allerta, quella che poi riletta a fine spettacolo, ti fa sospirare, sotto forma di autoimprecazione: «Me l’aveva pure detto!». La verità è che le note di regia, purtroppo, hanno il difetto di farsi comprendere bene soltanto dopo, quando si lascia la platea e il peggio è già passato. La frase che ho sottovalutato, o forse sopravvalutato, volendole attribuire un significato esclusivamente intellettuale, è: «La parola che crea e distrugge». Chissà perché non avevo considerato il significato scenico dell’avvertimento. La parola in teatro può creare opere meravigliose: da Eschilo a Euripide, da Shakespeare a Molière fino a Goldoni e tanti altri, tutti autori di capolavori d’eccellenza. La stessa parola, però, può anche distruggere e far crollare, in una manciata di secondi, interesse, entusiasmo e concentrazione.

Oggi è un’abitudine molto comune giocare a fare gli intellettuali e atteggiarsi a voler comprendere significati profondi nelle forme d’arte più ovvie, a voler individuare il messaggio inquietante e commovente nel detto e ridetto: siamo ricascati negli errori del passato, e quanto ci piace ridipingere «La corazzata Pötemkin» come un capolavoro della cinematografia mondiale, ma quando Paolo Villaggio gridò che l’opera di Ėjzenštejn era «una cagata pazzesca», ci trovò tutti d’accordo: perché tutto ciò che è propaganda, al cinema come in teatro, diventa un’insopportabile insofferenza, almeno per il pubblico.

Juan Mayorga, con Il golem, affronta il tema del fascino comunicativo della parola, che può essere quello abbracciato dal borghese piccolo piccolo, superficiale e convenzionale, fatto di messaggi pratici, utilizzato esclusivamente per una comprensione familiare e quotidiana, ma può essere anche una diffusione di emozioni, di pensieri che toccano l’anima delle persone, e pertanto – avverte l’autore – la parola può contenere il seme della rinascita di un popolo che s’infiamma per proteggere la libertà. E non è propaganda, questa? A me sembra un concetto che ci riporta dritti dritti agli anni Settanta, quando il Sudamerica era infervorato da golpe e rivoluzioni e gli Inti Illimani, arroccati sui Castelli Romani, cantavano El pueblo unido jamás será vencido. Nel Golem un’organizzazione segreta si occupa della buona salute di un uomo; e poi anche di sua moglie entrata in una spirale logorroica di un leader rivoluzionario che, per fortuna, non si vede.

Veniamo, però, alla parte più teatrale: quella che Jacopo Gassmann ha cercato con ogni artificio di rendere soporifera, come una bevanda al cloroformio. Un’ora e quaranta di nenia soffusa per informarci che «i tiranni sono crudeli» e che la «guerra civile è la più violenta delle guerre». A parte la banalità del contenuto, la cornice che accoglie queste pillole di saggezza politica è un ospedale. Ma non un ospedale da campo che magari è tragicamente vivace e c’è speranza che possa succedere qualcosa da un momento all’altro; no, si tratta di un nosocomio sottovetro, più tranquillo di un’ampolla di pesci rossi, dove la vivacità è bandita per statuto. E proprio come pesciolini in cattività, dall’andatura rassegnata e morbida e dal tono blando e sonnolento, i tre attori fanno capolino da dietro alle pareti di vetro illuminate al neon. Tra le primissime battute – che solitamente dovrebbero dare l’abbrivio al testo – quando ancora non sappiamo che la scena si svolge in un ospedale, il pubblico viene a sapere che la festa comincia con una birra analcolica servita in un bicchiere di plastica. E quando la vinci una rivoluzione con la birra analcolica! Le luci giustamente si rifiutano di accennare un rinforzo, i microfoni appiattiscono la recitazione già smorta. E la palpebra cala inesorabilmente. Hasta luego e sogni d’oro. (fn)
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Il golem, di Juan Mayorga. Traduzione di Pino Tierno. Con Elena Bucci (Salinas), Monica Piseddu (Felicia) e Woody Neri (Ismaele). Video, Lorenzo Letizia. Luci, Gianni Staropoli. Scene e costumi, Gregorio Zurla. Regia di Jacopo Gassmann. Produzione: Teatro di Roma, Sardegna Teatro e Teatro Stabile dell’Umbria. Al teatro India, fino al 23 marzo

Foto: Monica Piseddu e Woody Neri (© Laura Farneti)

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