PIÙ ECCENTRICA E «STRAFOTTENTE» LA JENNIFER DI GEPPY
Nelle mani di Geppy Gleijeses, Jennifer cambia i connotati in maniera drastica. La creatura di Annibale Ruccello, forse quella che più rappresenta la fantasia intima e lo stile dell’autore, si spoglia completamente del lato poetico e astratto per vestirsi di un sapore forte di Mediterraneo. Sogni e speranze rivivono in lei, non più come immagini liriche, come strazianti vuoti sentimentali, ma prendono corpo in una realtà cruda e violenta. È un’esigenza che l’attore, più del regista, ha sentito per adattare il personaggio alla sua fisicità, al suo essere uomo in toto. Cosicché Gleijeses ha dovuto compiere una trasformazione doppia: prima «diventando» donna e poi personaggio. Per arrivare a questa trasfigurazione, il regista s’è preoccupato giustamente di collocare Jennifer in un ambiente dove ogni oggetto è reale e ogni azione realistica. Dal telefono al fornello, dall’olio al pomodoro, dalla sigaretta al caffè, tutto è spudoratamente autentico, finanche nelle sue funzioni. Quando la «donna» mette la moka sul fuoco, dopo un po’ si vede il fumo che esce dall’interno e si sente l’acqua gorgogliare.
Forse per questo eccesso di precisione realistica salta all’occhio una bottiglia di passata di pomodoro fuori epoca. Si parla dei quiz di Mike Bongiorno, di Portobello (trasmissione di Enzo Tortora), quindi presumibilmente è il 1978 e in quel momento le confezioni alimentari erano molto differenti da quelle odierne. Ma queste sono sciocchezze, bazzecole, rispetto al gran lavoro che i due interpreti hanno messo in atto per raggiungere una credibilità femminile, seppur nella finzione. Anche Lorenzo Gleijeses, infatti, benché sorretto da un fisico più asciutto, ha seguito le stesse indicazioni del padre e s’è affidato anche lui al grottesco. Via, quindi, tutta la matrice d’ispirazione surrealista alla Cocteau, per immergersi in un mondo molto più sensoriale e partenopeo, dove la percezione del dramma diventa irrimediabilmente teatro. Teatro di prova interpretativa e quindi finzione dichiarata.
Si parlava all’inizio di fisicità: argomento da approfondire. Un bel dilemma per un attore dover affrontare un simile personaggio, non avendo più un fisico asciutto e atletico. Gleijeses non me ne voglia – ci conosciamo da qualche decennio – e mi viene il sospetto che proprio intorno a quel leggero sovrappeso sia balenata l’idea vincente della messa in scena. Spingere il pedale del grottesco e condirlo qua e là con tocchi di kitsch (soprattutto nell’espressività e nei toni più accesi) è parsa la soluzione migliore, la più eccentrica e «strafottente» (la citazione è d’obbligo), che ha permesso a padre e figlio di giocare insieme, di jouer ensemble le rôle des femmes, di recitare insieme il ruolo di donne, ma la traduzione italiana non rende l’idea né del gioco, né della complicità. Cosicché, quando Jennifer, parrucca bionda e rossetto fiammante sulle labbra, si fa la barba con schiuma e rasoio, e quando Anna d’impeto si toglie la giacca rimanendo in sottana, mostrando improvvisamente un corpo asciutto e completamente avulso da ogni tentativo di mistificazione femminile, questi risultano i momenti chiave per dichiarare, con un linguaggio appunto kitsch, il gioco teatrale, per aprire il manuale dell’attore affinché la recita diventi smaccata, per riscoprire il cassetto dei trucchi affinché l’espressionismo diventi protagonista.
A Napoli – forse i più giovani non lo sanno – in tempi insospettabili, quando nel resto d’Italia e d’Europa (tranne qualche rara eccezione) l’omosessualità veniva immediatamente additata come una piaga da sanare, esisteva la figura del femminiello, che non era precisamente un travestito, ma un uomo in tutto e per tutto che viveva perennemente in abiti e con abitudini femminili, in casa e per strada, e veniva accettato dalla comunità, non come un diverso, ma come uno di famiglia. Partecipava alla vita di quartiere come un personaggio del Satirycon di Petronio in una scena dell’antica Magna Grecia, facendo sfoggio del suo folcloristico egotismo, divertendo e godendo del divertimento altrui. Il femminiello era espressionismo allo stato puro: vivace e colorato nei modi e nel linguaggio. Il suo unico scopo era trovare qualcuno su cui concentrare il proprio desiderio d’amore: sentimentalmente e carnalmente innamorato del primo che capita, costui (o costei, fa lo stesso) riusciva sempre a suscitare simpatia e comprensione. Il racconto del sogno d’amore perpetuo, quello che gli era sfuggito per un nonnulla, era un porto sicuro al quale approdare per creare sintonie e trovare solidarietà.
Foto: Geppy Gleijeses (© Tommaso Le Pera)