09 gennaio 2025

«Tre modi per non morire» di Giuseppe Montesano

Toni Servillo

Roma, Teatro Argentina
8 gennaio 2025

IL FIORE DELLA BELLEZZA UNA E TRINA

«O Morte, vecchio capitano, è tempo! / Su l’ancora! / Ci tedia questa terra, o Morte! Verso l’alto, a piene vele! (...) E tanto brucia nel cervello / il suo fuoco, che vogliamo tuffarci nell’abisso. / Inferno o Cielo cosa importa? / Discendere l’Ignoto nel trovarvi / nel fondo alfine il nuovo!» I versi di Baudelaire (tratti da «Il viaggio») che Toni Servillo cita nel suo miracoloso canto alla curiosità come motore necessario alla vita, potrebbero proseguire, in una corsa all’indietro nel tempo, con i più famosi endecasillabi danteschi: «Li miei compagni fec’io sì aguti, / con questa orazion picciola, al cammino, / che a pena poscia li avrei ritenuti; / e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo…» (Inf. XXVI, 121/5). Un salto di qualche secolo, quindi, per imbatterci nello stesso concetto che ci invita all’esigenza di conoscere sempre di più per scoprire e onorare il senso della vita.

E l’identico avvertimento, molti secoli prima, l’abbiamo ricevuto dai greci che civilizzarono le coste del Mediterraneo e, in ogni polis da loro fondata, sentirono l’esigenza di costruire un teatro rivolto verso l’infinito del mare, un teatro per divulgare la parola che è infinita, un teatro per imparare a parlare e ad ascoltare, per rivelarci con la loro immaginazione (che abbiamo chiamato mitologia solo perché illustra le nostre atrocità) tutto quel che non siamo capaci di raccontarci come frutto delle nostre scelleratezze, per farci scoprire il senso dell’orrore, per non aver paura della verità che è crudele, per cancellare l’odio e ritrovare l’amore. Ricongiungersi con la poesia di Baudelaire, i cui Fiori del male diventano fiori di bellezza, con la Commedia di Dante e con la sapienza dei Greci è il compendio, in extremis, di Tre modi per non morire che Giuseppe Montesano suggerisce per scacciare la noia nella quale purtroppo oggi viviamo, e nella quale spesso ci rifuggiamo senza accorgerci di non riuscire a pensare più, proprio come quei dannati dell’antinferno, che non hanno speranza di morte. Una morte che Baudelaire vede come liberazione dal dolore della libertà perduta tra gli umani. Una morte che l’Ulisse di Dante (cioè Dante stesso) sfida pur di scongiurare l’ignoranza (fatti non foste a viver come bruti…) per rimanere attaccato a quel desiderio di canoscenza che dovrebbe renderci sempre migliori.

Il contrasto con la sapienza e la bellezza della poesia giunge, severo e sarcastico, da alcune brevi riflessioni dell’autore sull’odierno degrado intellettuale causato dal «feudalesimo digitale», sull’immobilità del pensiero umano sempre più impegnato soltanto a dar valore ai soldi, sulla pochezza delle idee di oggi imbrachettate in uno spleen ormai detenuto dall’informatica: non a caso Montesano, professore di filosofia, cita Platone, che con le idee ci costruì un mondo, il quale rivela che, anche avvertendoli per tempo, molti uomini preferiranno rimanere immobili nel buio della caverna anziché incamminarsi sulla via illuminata della vita. Solo il poeta trova la forza di lasciare la selva oscura per avventurarsi in un viaggio ultraterreno che lo porterà in Paradiso per ritrovare l’amore e scoprire da lassù, dall’alto della sua lungimiranza, che all’umanità piace dibattersi e angustiarsi nell’aiuola che ci fe’ tanto feroci (Par. XXII, 151). Dante capì, per tempo, che Platone aveva ragione.

Una pedana inclinata, un leggio che non ingombra, un microfono usato con dovizia, un elegante gioco di luci e un leggero commento musicale per dar piena voce alle voci dei poeti, che sono quelle degli annoiati di Monsieur Charles, il maledetto, quelle dei dannati di Dante e dei saggi di Atene e di Elea ai quali Servillo dona una cadenza partenopea e un po’ canzonatoria (nei confronti della nostra epoca, naturalmente!). L’attore ci delizia per 90’ sulle teorie dell’«arte di non morire», facendoci sentire, in un suo percorso intimo, anche le voci di quei demoni che vedendo un essere umano più determinato di loro preferirono uscire dal corpo dell’uomo per entrare nelle carni dei porci (Vangelo, Luca 8).

Il testo di Montesano andrebbe divulgato nelle scuole, tra quei giovani che affogano il loro desiderio di conoscenza nello schermo di un cellulare che, come il demonio, offre sterili nozioni e futili piaceri in cambio della loro curiosità. Andrebbe, però, divulgato subito, senza perdere tempo, perché – Montesano grida – il miglior poeta del momento è il capitalista, il miliardario, colui che riesce ad accumular bellezza soltanto di lusso: ma questa – qualcuno lo ricorderà – è la morte della bellezza. Per fortuna che il teatro riesce ancora a stupirci raccontando, appunto, una bellezza autentica e addirittura poetica. Un magnifico testo per un’ottima interpretazione. (fn)
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Tre modi per non morire (Baudelaire, Dante, i Greci), di Giuseppe Montesano con Toni Servillo, luci di Claudio De Pace. Al teatro Argentina, fino al 19 gennaio

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