ANCORA UN MICROFONO INVANDENTE
Il 13 novembre scorso ricorreva il 50° anniversario della morte di Vittorio De Sica. L’omaggio di Luca Mascolo giunge sul palcoscenico dell’Altrove Teatro Studio di Roma con un paio di mesi di ritardo, ma è meraviglioso che ci sia arrivato e sarebbe meglio se ci restasse ancora un po’, perché la scena alla quale ho assistito involontariamente, al termine dello spettacolo, mi ha lasciato del tutto incredulo. Un gruppetto formato da ragazze ventenni, o poco più, commentava con stupore la bellezza di alcune canzoni, eseguite da Mascolo, che non avevano mai ascoltato. Le fanciulle, quindi, ignoravano l’esistenza di Munasterio ‘e santa Chiara, di Anema e core e naturalmente anche di quelle meno famose. Preso atto di questa triste realtà e avendo di fronte la fotografia del regista di Ladri di biciclette, mi son chiesto quanto le nuove generazioni abbiano la possibilità oggi di andare a scovare in quel marasma che è la rete web notizie su De Sica e Rossellini o su Zavattini e Mattoli che pure sono nominati nello spettacolo. È bene, quindi, che il teatro possa sollecitare quelle curiosità che ormai scuola e famiglia non riescono più a provocare.
Luca Mascolo ha tracciato un itinerario che attraversa il Novecento, accompagnando il percorso creativo di Vittorio De Sica, andando poi ad esplorare poesie e canzoni, personaggi e brani letterari legati al mondo del grande attore: da Di Giacomo a Marotta. Detto così, potrebbe sembrare – per chi conosce un poco quel che accadde nell’ampio panorama culturale dal 1901 al 1974 – una mostra enciclopedica, ma lo spettacolo, invece, non ha questa pretesa soffermandosi più sul versante canoro che su quello parlato. Mascolo, però, se nella solitudine della sua stanza prepara sulla carta un materiale interessante da presentare, riuscendo a ricavare un’ottima struttura musicale, in palcoscenico si rintana, prima ancora di cominciare, in una timidezza che gli procura una evidente incertezza. E pensa: se mi faccio schermo con un leggio, mi si nota di meno; se porto il testo scritto in scena, sono più tranquillo per la sequenza delle battute; se resto seduto sul trespolo, vado incontro a meno inciampi; se sostengo la voce con un microfono, nessuno si accorge della mia insicurezza.
Caro Luca, c’è una risposta per ogni dubbio. Quando sul palco si porta un leggio, si rischia l’infermità scenica. Il leggio è necessario agli orchestrali che stanno fermi per suonare; è consentito ai fini dicitori quando sono la voce narrante di qualcosa che accade a centro scena; è concesso a chi legge e interpreta la Commedia di Dante, a chi costruisce una regia sull’immobilità (che non è mai perennemente statica). Un leggio, come tu lo hai usato, ti ha costretto soltanto a rimanere chiuso in un angolo, bloccando anche la vitalità delle macchiette. Una macchietta, che è la caratterizzazione teatrale di un tipo curioso che passa per la via, non è animata dalla canzonetta (Magnate ‘o limone, tié tié tié), ma è la riproposizione di un atteggiamento fisico assai curioso. La macchietta diventa tale quando vive di ridicolo davanti agli occhi degli spettatori. Se la si riduce a una canzoncina eseguita da un tipo seduto, perde ogni fascino umoristico.
Proseguo. Quando un attore legge un testo, difficilmente riesce a interpretarlo. E ancora più complicata diventa la lettura disinvolta, fingendo di parlare all’impronta. Portare il testo in scena è un azzardo che, sì, tranquillizza la memoria, ma rischia di diventare un collare attaccato a una catena troppo corta. Le conseguenze di questo disagio possono essere due: ribellarsi e rimanere in piedi per poter scappare dal leggio appena possibile; oppure sedersi e prendersi un tè!
E veniamo al microfono. La sala dell’Altrove non è certamente una piazza d’armi e oltretutto è dotata di una buona acustica. Insieme con Mascolo suonano due ottimi musicisti, Donato Cedrone al violoncello e Valentina Di Silvestro alla chitarra, strumenti usati spesso per accompagnare musiche da camera, con una voce naturale. Se, invece, gli si accosta un canto amplificato (in un ambiente piccolo) gli equilibri saltano, le tonalità si sbilanciano e il suono prodotto dal microfono provoca dissidi sonori. A un certo punto – com’è bello il teatro, alla fine vince sempre – i tre intonano un breve ensemble e, per bilanciare i volumi, anche Mascolo si allontana dal microfono che per un attimo sparisce dal sonoro, ed è finalmente poesia canora.