28 gennaio 2025

Eliseo, storia di un teatro chiuso da cinque anni (2)

OTTO MILIONI DI EURO «PER SPESE ORDINARIE E STRAORDINARIE»

SECONDA PARTE

Tra rimandi e altre promesse la nuova gestione dell’Eliseo debuttò nel settembre del 2015. Un anno perso, eppure, con un sorridente e compiaciuto «Ce l’abbiamo fatta», Barbareschi annunciò la riapertura in conferenza stampa, sbandierando eroicamente una spesa iniziale – pare – di quattro milioni di euro per una ristrutturazione obbiettivamente poco vistosa. I proclami non si fecero attendere, ma le effettive novità riguardarono l’apertura di un ristoro all’interno del foyer superiore e l’inizio degli spettacoli anticipato di un’ora: «… perché a Londra il teatro comincia alle 20», fu la spiegazione. Inoltre, al Piccolo, fu rimossa la targa con il nome di Giuseppe Patroni Griffi, regista e scrittore al quale la sala era stata intitolata subito dopo la scomparsa (15 dicembre 2005); in compenso i nomi degli artisti più famosi che resero glorioso il passato del teatro furono affissi (ad honorem?) tra le piastrelle del nuovo rivestimento delle toilette accanto alla sala grande, così da poterla fare sempre in buona compagnia. Stravaganza sudamericana (dove Barbareschi nacque a Montevideo, Uruguay, nel 1956) più che tradizione dell’ebraismo, giudiziosa dottrina religiosa professata dal nostro protagonista.

La prima scossa di terremoto s’avvertì il 14 marzo 2017, quando l’attore convocò d’urgenza, per il giorno dopo, i giornalisti con un comunicato che fece saltare sulla sedia molti redattori e non solo: «A causa dell’inerzia delle Istituzioni e delle promesse eluse, il direttore artistico, Luca Barbareschi, convoca urgentemente una conferenza stampa per annunciare la chiusura del Teatro Eliseo». Salvo poi chiarire, tra sorrisi e piagnistei, che l’emergenza non era così urgente e la chiusura poteva attendere, «almeno per questa stagione». Barbareschi, infatti, era in attesa, si disse, di risposta dal Ministero della Cultura su possibili altri finanziamenti richiesti per far fronte alle spese sostenute per mantenere in vita un teatro ristrutturato – con quattro milioni di euro! – da nemmeno due anni. Risposta che dal dicastero non sarebbe mai arrivata, perché già altri appelli (oltre al Fus) erano stati accolti dall’allora ministro Franceschini.

Nulla faceva trapelare che contemporaneamente, in altra sede che poco ha a che fare con arte e cultura, si stava già valutando una proposta di finanziamento straordinario (cioè, ben lungi dalla quota prevista dal Fus) a beneficio dell’Eliseo con un massimo previsto di 2 milioni di euro, per garantire la continuità delle attività. Tuttavia il 24 aprile 2017 (cioè 40 giorni dopo la conferenza stampa indetta da Barbareschi) venne pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un decreto legge (n. 50, art. 22, comma 8) in cui si legge: «In favore del teatro di rilevante interesse culturale “Teatro Eliseo”, per spese ordinarie e straordinarie, al fine di garantire la continuità delle sue attività in occasione del centenario della sua fondazione è autorizzata la spesa di 4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018». La cifra elargita, spropositata per un teatro di prosa, e la causale inappropriata accesero immediatamente gli animi di molti addetti ai lavori e della stampa più competente: il centenario dell’Eliseo era stato festeggiato già 17 anni prima (fu una serata memorabile, lo posso testimoniare in prima persona, e Barbareschi non era presente). Si venne così a sapere che già da qualche settimana un emendamento discusso in Senato mirava insistentemente al salvataggio del teatro di via Nazionale con una cifra pari a 4 milioni di euro, ma le pronte e aspre polemiche smorzarono ogni intento. Questo impellente tentativo di favorire Barbareschi (sì, proprio lui e soltanto lui, perché nessun altro parlamentare s’era mai permesso fino ad allora di riservare lo stesso trattamento a Vincenzo Monaci, per esempio) sollevò un polverone: come mai il contributo al teatro Eliseo, bocciato dal ministro competente, cioè dal titolare del dicastero della Cultura, Dario Franceschini, era invece presente in una manovra correttiva di Bilancio nazionale, approvato e sottoscritto dall’allora ministro all’Economia, Pier Carlo Padoan?

Attenti osservatori di conti e conteggi si misero al lavoro e scoprirono che la Casanova Srl, società che gestiva l’Eliseo di Barbareschi, aveva già ricevuto molte concessioni dal ministero dei Beni culturali, attraverso il Fus, ma anche attraverso fondi integrativi direttamente gestiti dal ministro Franceschini. Le cifre elargite nel 2016 risultano essere le seguenti: 514.831 euro dal Fus; 250.000 euro dal fondo integrativo per i progetti speciali gestito da Franceschini; 300.000 euro dalla Regione Lazio e 100.000 dal Comune. Totale: un milione 164 mila 831 euro. Mica poco! La domanda più gettonata era: come mai Governo e Parlamento e governatorati locali, da sempre tartassati da richieste per sovvenzioni culturali, all’improvviso dedicavano tanta attenzione alla cultura promossa da Barbareschi? Attore, regista, produttore, ma anche deputato della Repubblica dall’aprile del 2008 al marzo 2013.

In una lettera di fine maggio del 2017, indirizzata al ministro dell’Economia Padoan, e firmata da oltre trenta teatri italiani e da varie associazioni di categoria, tra le altre argomentazioni, si legge: «Illustre signor Ministro, ora sappiamo che è possibile intervenire per Legge, fuori dai ristretti confini del Fondo Unico dello Spettacolo. Non possiamo che gioire che il tanto auspicato intervento suppletivo di un Ministero non competente alla Cultura e allo Spettacolo a favore di realtà culturali e teatrali in particolare, sia finalmente una realtà a cui soggetti (che però dovranno essere meritevoli) potranno aspirare. Certo non possiamo credere che l’intervento in questione sia ad personam e rappresenti un singolo “privilegio”. Pertanto vorremmo sapere quali siano i criteri e i requisiti necessari per poter accedere a contributi straordinari come quello in oggetto, poiché criteri e requisiti “devono” esserci. La Sua storia personale e la Sua competenza sono per tutti noi una garanzia di equanimità, oltre alla immarcescibile convinzione che, in questo Paese, diritti e doveri devono essere uguali per tutti».

Un’altra missiva del 10 giugno 2017, indirizzata agli allora presidenti del Consiglio, della Camera e del Senato e firmata da Emanuele Bevilacqua e Antonio Calbi (rispettivamente presidente e direttore del Teatro di Roma), denunciando «un utilizzo privato del potere pubblico», metteva in rilievo che tanti teatri d’Italia in quel periodo erano stati costretti a chiudere, e che altri enti teatrali pubblici erano sul baratro della crisi, ma le attenzioni parlamentari si concentravano esclusivamente sul sostegno di un teatro privato. «Il sostegno e il soccorso alla cultura – è scritto – è doveroso e necessario, ma deve rispettare leggi e regolamenti».

Fermiamoci un attimo, perché certe oscure situazioni potrebbero trovare ancora nelle coincidenze qualche schiarita. Infatti, proprio nello stesso periodo (marzo 2017) Carlo Eleuteri formalizzava a Barbareschi la proposta di vendita dell’immobile di via Nazionale, stimandolo un po’ meno di 7 milioni di euro. Affare che si concluse nel giro di un anno: appena fu erogata, dal ministero dell’Economia, la seconda tranche di 4 milioni di euro in favore del teatro. Ovvio che nessuno ha mai potuto affermare con certezza che Barbareschi abbia comprato il palazzo dell’Eliseo con i soldi pubblici, tuttavia, se la matematica non è un’opinione, i conteggi avrebbero portato qualcuno, e più di qualcuno, a sospettarlo. E certamente la formula usata nel decreto che specifica «per spese ordinarie e straordinarie» svincola il destinatario da qualsiasi obbligo di investimento artistico e culturale, come invece esigono le regole che governano il Fus. Per conforto, vi invito a confrontare qui la cronistoria redatta dall’ottimo Sergio Lo Gatto, pubblicata il 28 dicembre 2017 su teatroecritica.net

Fu immediatamente palese che la motivazione del nuovo centenario fosse, da una parte, abbastanza velleitaria per giustificare un sovvenzionamento tanto sostanzioso (non a caso il patron sponsorizzò la ricorrenza con grande euforia, coinvolgendo molti addetti ai lavori, giornalisti compresi, anche coloro che avevano partecipato alla precedente commemorazione), dall’altra risultò subito evidente la grossolana confusione determinata soprattutto da una scarsa conoscenza, soprattutto nell’ambiente parlamentare e senatorio, della storia della sala. Inaugurato nel 1900 con il nome di Arena Nazionale, il teatro fu dedicato dieci anni dopo, per festeggiare la fine di una strutturale trasformazione finalmente in muratura, al dio pagano che conduce il carro del sole (e si chiamò Teatro Apollo); soltanto nel 1918 fu battezzato Teatro Eliseo. Quindi nel 2018 si sarebbe celebrato il centesimo anniversario della nuova insegna, scelta alla fine della Grande guerra, con un concorso indetto per trovare l’egida definitiva al palcoscenico che avrebbe ospitato le più importanti compagnie della prosa e della rivista italiana. Fu premiata la proposta dell’allora giovanissimo Giorgio Prosperi, destinato a diventare uno dei più valenti critici del dopoguerra, all’epoca appena diciassettenne, il quale seppe cogliere il particolare dantesco (Inf. XXVI, 34-39) in cui la similitudine del Poeta vuole che il profeta Eliseo resti spettatore incantato (vedi foto) dalla visione del carro infuocato che all’improvviso traghettò Elia nell’alto dei cieli, sì come nuvoletta, in su salire: prospettiva poetica che innalza verso il sole l’esibizione artistica che dal palcoscenico s’invola e mantiene terrena l’ammirazione di una platea in estasi. (fn)
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Foto: Olio su tela di Giuseppe Angeli: «Elia fu preso da un carro di fuoco», 1750 c. Eliseo è inginocchiato in ammirazione del prodigio divino (© Alamy)

Fine seconda parte (2/3)

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