LE MANI IN TASCA IN SCENA NON SONO TOLLERABILI
Siccome i testi comici, quando sono ben scritti, sono ormai quasi sempre migliori della loro realizzazione scenica, possiamo anche cominciare a raccontare gli applausi. Che invece hanno riservato qualche novità degna di nota. Con le luci di sala già accese e la compagnia schierata in ribalta, infatti, appena il clamore del pubblico della prima romana era in fase calante, Gianluca Guidi ha preso la parola e, benché dichiarasse di avere «il palato incollato», s’è avventurato in una serie di ringraziamenti che ha sfidato il più famoso chiasmo: «Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, / le cortesie, l’audaci imprese io canto». Passi per i tecnici della compagnia (applauso), passi per il produttore Bellomo seduto in platea (applauso), per lo scenografo e costumista De Marino seduto in platea (applauso), per il musicista Abeni seduto in platea (applauso), passi finanche per il teatro ospitante e per i tecnici e l’organizzazione del Quirino, ma ringraziare anche gli attori che non fanno più parte del cast e chiamarli ad alzarsi dalle loro poltrone per omaggiarli della ricompensa che si riserva ai calciatori in panchina, mi sembra esagerato e anche un pochettino avvilente, tanto che quando Ingrassia ha cominciato a ringraziare anche i suoi amici (quelli noti), salutandoli dalla ribalta con l’oscillazione della manina, m’è sembrato davvero di trovarmi nel bel mezzo di una rustica fiera paesana.
Bene! Credo che l’incipit dedicato all’esodo sintetizzi in maniera non troppo distante dalla realtà quale sia stato lo stile della recitazione e della regia. Commedia eccelsa, non v’è dubbio. Nata dalla penna ispirata di Neil Simon, La strana coppia descrive comicamente una situazione ancora oggi attualissima, per niente invecchiata: due amici, entrambi separati, si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto scoprendo le insormontabili difficoltà della convivenza tra uomini. L’adattamento che Guidi ne ha fatto, però, non è collocabile nello stesso periodo in cui l’ha ideata l’autore. Sembrano gli anni Sessanta, ma forse potrebbero essere anche i Settanta: l’arredamento scenico e i costumi ne suggeriscono l’ambientazione. Tuttavia se si nomina giustamente una nota marca di sapone venduta all’epoca nel fustino, contrasta il programma televisivo che Mike Bongiorno lanciò nel 1989; se tutti sono vestiti rispettando abbastanza certi canoni di una moda ormai vintage, le scarpe da ginnastica nere indossate dal protagonista sono un pugno nell’occhio, molto più dell’infradito (in palcoscenico sempre assai imprudente!). Anche il dialogo risente di qualche modernismo eccessivo, ma nel complesso questo appare un rilievo meno grave. Così come meno gravi diventano le annotazioni sui microfoni, sui nomi in locandina messi tutti in un calderone senza possibilità di riconoscimento; meno grave diventa l’imbarazzante coretto delle sorelle cinesi, e meno grave anche l’entrata in battuta totalmente fuori tempo di un comprimario. Innocuo addirittura l’inconveniente della valigia che non si chiude.
Le cose gravi sono altre. Gianluca Guidi ride in scena più di quanto reciti, o forse no, mi sbaglio, sto esagerando: forse un po’ meno! Giampiero Ingrassia, invece, si lascia andare a carrettelle che non se ne vedevano dai tempi di Franco e Ciccio (quelle fatte da Franco e mai da Ciccio che era un grande attore, serio ed elegantissimo). Ma il punto nevralgico, quello che tramuta la comicità in pressappochismo, quello non tollerabile perché suscita tristezza, è determinato dalle mani in tasca che Guidi non riesce a usare altrimenti, se non per prendere qualcosa, per rispondere al telefono, per giocare a carte, per indicare un oggetto, o per esibire un gesto eclatante. Con le mani in tasca – non sembri una facezia – si perde facilmente il controllo del ritmo che, in un andamento comico, è essenziale. Prova ne è che, durante alcune piccole gag mute, la comicità è venuta fuori molto più limpida.
Foto: Gianluca Guidi e Giampiero Ingrassia (© Luigi Cerati)