PER FESTEGGIARE UN SONTUOSO MATRIMONIO, IN SCENA SONO SOLTANTO IN TRE
Straordinario! Loro sono soltanto tre attori, ma i personaggi della storia, ricordandoli sommariamente, sono almeno una ventina che danno vita ai preparativi dei festeggiamenti di un ricco e sontuoso matrimonio. Un giorno da incorniciare per gli sposi, pupilli di due facoltose famiglie – il padre della sposa addirittura arriva in elicottero per prelevare la riottosa figlia da accompagnare in chiesa – eppure l’organizzazione del ricevimento si svolge in uno squallido cortiletto, dove c’è l’ingresso secondario alla villa, il capanno del guardiano, l’angolo di raccolta delle immondizie, la discesa per la cantina, la porta di servizio che conduce in cucina e il passaggio per la casa patronale. Protagonisti sono i servitori, i segretari e il cuoco, ma poi si avvicendano i camerieri, i garzoni, gli sposi, il suocero, e qualche invitato. E, a sorpresa, giunge inaspettata una donna incinta che cerca riparo. Ha con sé un grosso zaino, è timorosa e subito si nasconde dietro i sacchi colmi di rifiuti: è debole e affamata, ma, dopo una presentazione un po’ burrascosa, è lei, con la sua presenza, a ristabilire serenità.
Questo il semplice riassunto della trama con la presentazione del luogo e dei personaggi, ma Feste dei Familie Flöz è molto di più. Prima di tutto un gioco teatrale davvero entusiasmante: fa parte di quegli eventi felici a cui raramente si assiste. Eppure – si diceva in apertura – gli interpreti sono soltanto tre: uno in meno rispetto alla passata stagione, quando la stessa compagnia portò, sempre alla Sala Umberto, Hotel Paradiso. Si chiamano Andres Angulo, Johannes Stubenvoll e Thomas van Ouwerkerk e si alternano in scena con ritmo incessante, come in una precisa coreografia d’ensemble, vestendo sempre costumi differenti. Travestimenti repentini, veloci passaggi dietro le quinte, per rientrare côté cour quando si è appena usciti côté jardin, sono gli stratagemmi per incantare il pubblico e regalare l’illusione di un riuscitissimo e apprezzatissimo «inganno». Peccato che lo spazio tra il fondale della scenografia e la parete di fondo del teatro è eccessivamente ridotto e l’andirivieni, facendo vibrare la stoffa ad ogni transito, anticipa l’effetto sorpresa.
Al di là dell’abilità nei travestimenti è il linguaggio del corpo che va esaminato. I Familie Flöz non usano mai parole, i dialoghi sono muti, e rivestono il volto con grosse maschere, create appositamente (qui da Hajo Schüler) per ogni spettacolo e ciascun personaggio. A osservarle bene, si direbbe che le maschere discutono incessantemente tra loro come delle comari, cambiano espressione, giocano con vezzi e ammiccamenti anche con il pubblico, cercando conforto per il loro mutismo nella comprensione della platea. Ostentando quelle espressioni tenere e significative, e talvolta anche un po’ rassegnate, che siamo abituati a vedere sul muso dei cani o dei gatti sorpresi a fissare qualcosa o qualcuno. Naturalmente, però, una maschera non è in grado da sola di esprimere sentimenti o emozioni, né sensazioni e nemmeno esternazioni; allora cos’è che le rende tanto eloquenti da riuscire a tradurre un dialogo senza parole? Certamente l’abilità dell’interprete: la sua gestualità impercettibile, la postura delle spalle, il movimento della testa, l’inclinazione, l’accompagnamento delle mani, l’armonia del corpo che rivela l’esatto sentimento di ciascun personaggio.
Foto © SimonWachter