24 gennaio 2025

«Controfigura» di Antonello Toti

Roma, Teatro Tordinona
23 gennaio 2025

I DUBBI SULLA REALTÀ E L’EQUILIBRIO DELL’AMORE

«Il mondo non è di per se stesso in nessuna realtà se non gliela diamo noi; e dunque, poiché gliel’abbiamo data noi, è naturale che ci spieghiamo che non possa essere diverso. Bisognerebbe diffidare di noi stessi, della realtà del mondo posta da noi». Lo scriveva Luigi Pirandello il 2 settembre 1920, per il Discorso alla Reale Accademia d’Italia di Catania, in omaggio a Giovanni Verga, sette anni prima che uno strabiliante fatto di cronaca divenne l’affasciante caso giudiziario, denominato «Bruneri-Canella», altrimenti conosciuto come lo smemorato di Collegno. Tale signora Canella riconobbe suo marito, professor Giulio, in una fotografia pubblicata nel febbraio del 1927 dalla Domenica del Corriere, sotto la quale si poteva leggere di un ricoverato nel manicomio di Collegno che non ricordava più nulla di sé, nemmeno il nome. Era uno dei tanti dispersi della Grande guerra. La probabile consorte andò a trovarlo, lo abbracciò e amorevolmente se lo riportò a casa. Dopo qualche tempo, però, una lettera anonima riaprì il caso. Il Momento, quindicinale milanese, appoggiando la tesi della missiva, cominciò a sostenere che l’identità dello smemorato non fosse quella del Canella, piuttosto di un tipografo, Mario Bruneri, più volte condannato per truffa e falsa personalità. Malgrado la sentenza del tribunale, in seguito, stabilì che si trattasse effettivamente del losco Bruneri, la signora Canella continuò a riconoscere l’uomo che ormai viveva accanto a sé come suo marito, e continuò a chiamarlo Giulio.

Il percorso creativo che portò Pirandello a scrivere nel 1929 «Come tu mi vuoi» parte, quindi, da un’intuizione generica, descritta nel discorso accademico, e si concretizza in un episodio di cronaca, che offre all’autore, invertendo i personaggi dell’uomo e della donna, di ritrattare la storia dello smemorato con l’altra «inventata» dell’Ignota. Christian Angeli, che ha ideato il testo per il suo spettacolo in omaggio a Pirandello, sembra voler procedere nel senso inverso: da un fatto di cronaca «realmente accaduto» (ma è un soltanto un gioco che consente al regista di entrare più facilmente nell’affascinate labirinto del metateatro) punta dritto alla dimostrazione che «bisognerebbe diffidare di noi stessi» con più impegno e meno timori, e sospettare «della realtà del mondo posta da noi» con maggior consapevolezza dei nostri probabili errori. E va elogiata la chiarezza con cui Antonello Toti ha tradotto, in drammaturgia contemporanea, l’idea di Angeli, spostando l’azione ai giorni nostri (o quasi) sull’altra sponda dell’Adriatico, dove tra il 1992 e il ’95 si svolse il conflitto del Kosovo tra le truppe serbe e l’esercito bosniaco: guerra che coinvolse l’intera popolazione civile con violenze e vessazioni inaudite a causa anche delle intolleranze etniche e religiose.

L’Ignota, secondo Toti, si chiama Sacha, la quale grazie alla sua attività di attrice di film pornografici, mantiene il suo compagno Goran, ex soldato bosniaco, costretto, per un incidente di guerra, alla sedia a rotelle. Con loro, in Serbia, c’è anche Milena, la figlia di Goran, innamorata della matrigna (proprio come la Mop pirandelliana). Nelle campagne di Sarajevo, in compagnia del nipote Borislav, vive Faruk, fattore bosniaco e musulmano, in attesa del ritrovamento di sua moglie. Le ricerche di Boris porteranno le due famiglie a incrociarsi e a far dubitare Sacha della realtà che si è costruita dopo una lunga amnesia. Tuttavia, se in Pirandello il dramma messo in evidenza è quello della protagonista, costretta a scegliere tra due mariti – e dagli eventi coglie l’occasione per rifarsi una vita nuova con una diversa identità, come già accadde a Mattia Pascal – nella Controfigura sono gli altri che si dibattono nella più totale incertezza, fino a quando il sentimento puro dell’amore ristabilirà un più convincente equilibrio. Pardon, un più probabile equilibrio!

In questo contesto drammatico il regista si diverte, come in una recita a soggetto, che in realtà è una prova, a prendere parte all’intrigo, a chiamare per nome gli attori, a trattarli come tali e non da personaggi e a ideare una non-scena che sarà il mondo serbo e il mondo bosniaco, non prima, però, d’essere stato quel luogo dove si giuoca a far sul serio, ma non troppo. E mi pare evidente che un tema che tocchi una tragedia a noi ancora molto vicina (e al momento sempre più minacciosa, anche se geograficamente un po’ più distante), sia di tanto in tanto alleggerito dalle solite baruffe tra gli attori, per uno schiaffo più pesante che interrompe la prova e indispone l’interpretazione che poi riprende dopo un ballo simbolo di pace.

Non si può, però, tralasciare il particolare piccolo, ma importante e anche determinante, dell’evento della serata: si chiama Vittoria Vitiello, una giovane attrice da tener in considerazione a cui auguro un ottimo futuro. (fn)
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Controfigura, di Antonello Toti (da un’idea di Christian Angeli), ispirato a «Come tu mi vuoi» di Luigi Pirandello. Luci, Massimiliano Maggi. Musiche, Federica Clementi. Con Patrizia Bernardini (L’Ignota), Simone Destrero (Faruk), Andrea Lami (Borislav), Francesco Polizzi (Goran), Vittoria Vitiello (Milena). Regia di Christian Angeli. Al teatro Tordinona, fino al 26 gennaio

Foto: (da sin.) Vittoria Vitiello, Andrea Lami, Patrizia Bernardini, Simone Destrero (© ???)

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