22 marzo 2024

«7 minuti» di Stefano Massini

Roma, Teatro Vittoria
21 marzo 2024

UN FATTO REALMENTE ACCADUTO, UNA REGIA SINCERAMENTE ASSENTE

Trascrivo qualche riga dalle brevi note stampate sulla brochure, ché non saprei far di meglio: la commedia «trae spunto da un fatto realmente accaduto in una fabbrica tessile francese, dove alle operaie fu proposto il taglio di 7 minuti di intervallo su un totale di 15. Partendo da questa vicenda, Stefano Massini … dà voce a undici personaggi femminili che costituiscono la rappresentanza della fabbrica».

Ora copio e incollo, da Wikipedia, parte della trama di un film del 1957, di Sidney Lumet, La parola ai giurati, a cui l’autore si è dichiaratamente ispirato per riproporre il modello dello sviluppo drammaturgico: «È in corso un processo per omicidio ... I dodici giurati in una stanza ... discutendo il caso, conosceranno la personalità l’uno dell’altro. All’inizio il raggiungimento del verdetto sembra semplice: per votazione esplicita undici giurati si esprimono a favore della colpevolezza, mentre il giurato numero 8 vota per l’assoluzione, ma si dichiara in realtà dubbioso. Si passano rapidamente in rassegna le prove ... A mano a mano che si analizzano gli indizi, si ripetono le votazioni e il numero degli innocentisti aumenta...»

Massini concentra la discussione in una sala riunioni dell’opificio, dove dieci rappresentanti del consiglio di fabbrica attendono che il loro portavoce le raggiunga con la richiesta della dirigenza. La tensione è forte: si temono licenziamenti, tagli agli stipendi, ma non è così, l’azienda in una lettera chiede soltanto la possibilità di accorciare la pausa di sette minuti. Accettare, oppure no? La votazione sembrerebbe scontata: egoisticamente tutte le donne acconsentono subito pur di non perdere né il lavoro né alcuna decurtazione in busta paga, anzi sarebbero addirittura pronte a ringraziare i vertici per una proposta tanto insignificante, ma i ragionamenti della più anziana riescono a sfondare il muro di sudditanza che s’era creato e pian piano qualcuna comincia a cambiar parere a favore della giustizia, della dignità e dell’esempio. Così, dall’inequivocabile dieci contro uno, si arriva all’ultima consultazione che sembra terminare in parità: manca un solo voto quando Massini scrive la parola «sipario».

7 minuti è un testo attualissimo, socialmente drammatico, denso di quelle sciagurate «ovvietà» con le quali sono obbligati a confrontarsi ogni giorno migliaia di dipendenti nelle fabbriche e nelle aziende a struttura piramidale, dove la classe dirigente in apparenza sembra essere assente, ma invece è sempre pronta a mettere sotto pressione il lavoratore anche con una semplice lettera innocente. Oltre alle confessioni private di alcune dipendenti, si assiste a un violento confronto sia generazionale che razziale. Le più giovani sono le più propense ad accettare la richiesta perché lavoro altrove non se ne trova e la paura di rimanere senza stipendio è concreta. Le straniere non hanno alcuna difficoltà a capitolare: per chi ha dovuto rinunciare alla propria terra, sette minuti in meno di pausa sono davvero una sciocchezza. Gli animi si riscaldano e il dibattito diventa serrato e talvolta violento.

Tuttavia una rappresentazione non è composta soltanto dal testo di un autore, ma ci sono anche gli attori in palcoscenico e un regista che suggerisce loro intonazioni e movimenti, gesti e posizioni. Ecco, io trovo ingiusto che un dramma serio e avvincente, che avrebbe la forza di essere potente e coinvolgente, debba essere portato in scena come la foto-ricordo della classe di scuola: un coro a fissare l’obbiettivo della fotocamera. Già ad apertura di sipario i due tavoli laterali, inclinati verso la platea e le sedie disposte a semicerchio, frontali al pubblico, fanno pensare più a una conferenza che non a una rappresentazione. La stessa disposizione scenica l’ho notata sera fa al Teatro Tordinona, identica! Anche qui, come lì, tutte le attrici, quasi sempre, parlano guardando la platea senza mai concentrarsi sul rapporto da stabilire con l’altro personaggio.

Qualche anno fa, il signor Eschilo, per liberare gli ateniesi dalla sindrome da monologo, inventò la figura dell’antagonista proprio per creare un conflitto in scena così come accadeva nella vita, perché capì che, grazie allo scontro verbale tra protagonista e antagonista, la platea avrebbe goduto molto di più rispetto alla sterile perpetua monologante. Nella regia firmata da Claudio Boccaccini ci troviamo di fronte a undici attrici, sempre presenti in scena, che, tranne in qualche rara occasione, dialogano perennemente col pubblico, come se ognuna raccontasse il suo monologo, come se ognuna facesse sfoggio della propria prova senza curarsi della collettività. L’emozione, invece, nasce proprio dal rapporto conflittuale di cui vivono i personaggi. Pirandello docet! E queste relazioni (anche mute) debbono essere costruite dal regista dal primo all’ultimo minuto. Se ciascuno si rivolge agli spettatori (come accade al buon presentatore televisivo), ci si dimentica dell’antagonista, e il sentimento s’affloscia e al pubblico non arriva nient’altro che lo sguardo dell’attore; del personaggio non arriva niente. Di tutto questo è responsabile il regista. Capisco bene che, più è alto il numero degli attori in scena, più arduo è l’impegno, ma questa è la differenza tra l’allestimento di una commedia e quello di un monologo.

In un monologo l’attore è solo davanti agli spettatori e non ha altri a cui rivolgersi. In una commedia non è così. Mettere la sedia al centro (rivolta alla platea) per fare accomodare la prima donna, la signora Viviana Toniolo in bella vista, con tutte le altre che le girano intorno, non è un omaggio e non è nemmeno un atto di cortesia: la signora Toniolo è un’attrice e come tale deve essere rispettata, se la si tratta come una di quelle bambole che una volta addobbavano il lettone della nonna, secondo me, le si manca di rispetto, per il semplice fatto che non è una bambola ma un’attrice, e di lunga esperienza. E io, seduto in platea, sono stato a disagio per lei. Chiedo scusa. (fn)
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7 minuti di Stefano Massini; con Viviana Toniolo, Silvia Brogi, Liliana Randi, Chiara Bonome, Chiara David, Francesca Di Meglio, Mariné Galstyan, Ashai Lombardo Arop, Maria Lomurno, Daniela Moccia, Sina Sebastiani. Musiche, Massimiliano Pace. Scena, Eleonora Scarponi. Regia, Claudio Boccaccini

Foto: (© ???)

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